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Uno dei punti dottrinali più importanti e anche più noti della dottrina di Scoto, accanto all’altro sulla Concezione Immacolata di Maria, riguarda il cosiddetto “Primato assoluto di Cristo”. Data la sua grande importanza, ci sembra opportuno presentarlo prima della sua dottrina sulla Vergine, in quanto quest’ultima può essere adeguatamente compresa solo alla luce di quanto Scoto insegna riguardo a Cristo.
Tra molti teologi dei secoli XII-XIII, come Roberto Grossatesta, san Tommaso d’Aquino e san Bonaventura, era piuttosto diffusa una domanda: Cristo si sarebbe incarnato ugualmente anche senza il peccato di Adamo? Ci si chiedeva, cioè, se l’Incarnazione era davvero avvenuta solo a causa del peccato originale, per redimere l’umanità dal peccato, oppure c’era la possibilità che il Figlio di Dio, il Verbo, si incarnasse lo stesso, magari per altri motivi.
Questa domanda però rimaneva solo una “curiosità” o un’ipotesi di lavoro, una bella possibilità, alla quale non si riusciva a dare una risposta certa. E perciò vi erano diverse opinioni in proposito.
Per il beato Giovanni Duns Scoto, invece, la cosa era molto diversa. Egli, attraverso lo studio molto approfondito della Rivelazione, e stando anche alle esigenze della ragione, si è reso conto che quella non era solo un’ipotesi curiosa e inutile, ma un dato di fatto, una certezza che trova pienamente conferma sia nella Sacra Scrittura, sia nella Tradizione; e su questa certezza egli ha costruito gran parte del suo sistema teologico. Per Scoto, nelle sue opere, questa diventa solo una domanda “per intendersi”. Ma vediamo che uso fa il nostro Dottore di questa mirabile scoperta.
Il vero ragionamento che sta alla base del pensiero del Beato possiamo riassumerlo nel modo seguente.
Secondo il beato Giovanni Duns Scoto, tutta la creazione, ogni essere appartenente al regno minerale, vegetale o animale, è qualcosa che poteva anche non esistere. Dio non era obbligato a creare l’universo con quanto vi è in esso, come pure non era obbligato a creare l’uomo o addirittura ad incarnarsi in Gesù Cristo. Tutto dipende soltanto dalla Sua volontà infinita, assolutamente libera: «La causa della creazione – dice Scoto – è questo stesso volere di Dio per cui vuole questo effetto e lo produce nel tale momento».
Per questo motivo, dice il nostro Dottore, sarebbe assurdo farsi domande sul perché Dio ha voluto questo mondo e non un altro. Tuttavia di un’unica cosa possiamo essere assolutamente certi, dice egli, e cioè che Dio vuole tutto in un modo «sommamente razionale». Tutto ciò che è creato risponde ad una logica e ad un ordine che solo la sapienza infinita di Dio poteva dargli. Ora noi quest’ordine possiamo già coglierlo con le nostre forze intellettuali, col nostro ragionamento, anche se solo in minima parte.
Per andare oltre, e sapere di più di Dio e dei suoi progetti, vi è bisogno che Dio stesso si faccia conoscere e ci istruisca; e questo è esattamente quanto avviene nella Rivelazione, e prima di tutto nella Sacra Scrittura. Dio si rivela a noi come Uno e Trino e come Amore per essenza; ci fa conoscere il mistero della salvezza; si fa conoscere nel Figlio Suo Gesù Cristo e ci fa sapere che «in Lui [Cristo] sono state create tutte le cose, in Cielo e sulla terra, le visibili e le invisibili […] , tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui» (cf. Col. 1,15-17). Su questi punti appare chiarissimo come sia il Vangelo di Giovanni che le lettere di san Paolo hanno un influsso particolare su Duns Scoto.
Quando la creatura intelligente, continua Scoto, nella sua ricerca si lascia illuminare anche da tutte queste verità oltre che dalle leggi del ragionamento filosofico, allora ella scopre sempre più le meraviglie di Dio nella creazione, conosce sempre meglio Dio stesso ed è in grado anche di amarlo con tutto il cuore e con tutte le sue forze.
Inoltre, in questo modo, possiamo apprendere che Dio, sommo amore, ha creato ogni essere intelligente col solo fine di renderlo partecipe, liberamente, di questa Sua bontà infinità. Ogni essere umano è amato da Dio ed è allo stesso tempo destinato a ricambiare questo amore non solo su questa terra, ma anche e soprattutto nella gloria eterna. E’ chiamato cioè a partecipare di questo amore eterno e beatifico di Dio, dice Scoto, in qualità di “co-amante”: insieme con la Trinità stessa, con Cristo, con gli angeli e gli altri Santi. Insomma, tutti noi esistiamo per questo fine: per amare Dio e per gioire di questo amore.
In pratica, in questa realtà concreta in cui viviamo, Dio – spiega il beato Giovanni – nel crearci, ha voluto fosse ordinato tutto gerarchicamente, così da far dipendere l’uno dall’altro, e ognuno possa essere aiuto per l’altro. Il mondo è stato creato per l’uomo e ogni singolo uomo è legato all’altro dal vincolo della carità reciproca. L’umanità intera poi è legata a Cristo dal vincolo dell’amore e della grazia, attraverso la sua Madre Santissima e Immacolata.
Gesù Cristo sta all’apice, come colui che può amare Dio nel maggior grado e intensità possibile alla sua condizione di uomo-Dio.
La seconda creatura, invece, capace di un amore singolarissimo perché perfezionata dalla grazia di Dio (piena di grazia), benché naturalmente inferiore a Cristo, è la Vergine Immacolata. Cristo è per l’umanità «via, verità e vita», Redentore e Salvatore, Primogenito, Modello, Guida. «Dio – dice il Beato – vuole il mondo per l’uomo destinato alla gloria e di questi il primo è Cristo».
Secondo la teologia del beato Giovanni Duns Scoto, dunque, Cristo costituisce l’apice e il culmine della creazione, l’essere più perfetto voluto da Dio e colui che più di qualsiasi altra creatura è capace di amare Dio in grado sommo. Il “primato” di Cristo consiste in questa Sua superiorità di perfezione e di eccellenza rispetto ad ogni altra realtà creata. E la si dice “assoluta” per il fatto che la Sua stessa esistenza non dipenda da quella di altre creature, e non è motivata primariamente da qualche loro bisogno. Il Verbo Incarnato, Gesù Cristo, ha un valore in sé, anche a prescindere dall’esistenza di qualsiasi essere o da qualsiasi condizione del creato, fosse anche il peccato originale.
Per intenderci, secondo Scoto, Cristo, così come lo conosciamo dalla Rivelazione, ha un valore tale, rende così tanta gloria a Dio, e può amare Dio in una misura così eccelsa, che ha motivo di esistere, anche se non esistesse nessun’altra creatura e anche se non vi fosse stato nessun peccato.
Pertanto, la situazione di peccato, in cui l’umanità si trova a causa di Adamo, non fa altro che aggiungere qualcosa di nuovo all’Incarnazione di Cristo. Fa in modo, cioè, che sia anche redentiva. «Cristo – dice Scoto – di fatto è venuto non solamente per la Redenzione, perché la Sua gloria [di Cristo] da sola supera infinitamente tutta la gloria dei Beati riuniti».
«Il primato della volontà mette in luce che Dio è prima di tutto carità. Questa carità, questo amore, Duns Scoto lo tiene presente quando vuole ricondurre la teologia ad un abito unico, cioè alla teologia pratica. Secondo il suo pensiero, essendo Dio “formalmente amore e formalmente carità”, comunica con grandissima liberalità al di fuori di sé i raggi della sua bontà e del suo amore. E in realtà, è per amore che Dio “ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo” (Ef. 1, 3-4). Fedele discepolo di san Francesco d’Assisi, il beato Giovanni contemplò e predicò assiduamente l’incarnazione e la passione salvifica del Figlio di Dio» (Benedetto XVI, Lettera Apostolica Laetare Colonia).
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