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1. La “via pulchritudinis” e la “Tota Pulchra”. La bellezza è l’evento di una donazione, in cui il Tutto infinitamente al di là di ogni nostra cattura viene a farsi presente in un frammento: nella finitezza di una forma l’Infinito si affaccia; nella fragilità di un evento l’Eterno viene a narrarsi nel tempo. Il Tutto si offre nel frammento! Questo è bellezza, perché – come scrive Hans Urs von Balthasar – “l’esperienza estetica è data dall’unità della massima concretezza della forma singola con la massima universalità del suo significato”[1]. Attraverso il frammento in cui si offre, il bello costituisce una via privilegiata di accesso al significato ultimo dell’esistenza umana, una finestra sulla profondità del vero, che illumina e salva. Con la crisi delle presunzioni totalizzanti della ragione moderna e la caduta dei mondi ideologici da essa prodotti, questa via di approccio alla verità è stata fatta oggetto di una generale riscoperta. Il bello come splendore del vero si risveglia nelle anime! “In un mondo senza bellezza – dichiarava von Balthasar – anche il bene perde la sua forza di attrazione, l’evidenza del suo dover-essere-adempiuto… In un mondo che non si crede più capace di affermare il bello, gli argomenti in favore della verità hanno esaurito la loro forza di conclusione logica”[2]. In alternativa a un pensiero che pretendeva di essere totalmente trasparente a se stesso e di abbracciare la realtà intera, si apprezza il valore di ciò che tiene insieme il minimo e l’Infinito, avvicinando quanto è immensamente lontano pur senza annullare le differenze. La bellezza apre all’intelligenza del simbolo (da “syn-bállein”), eccedenza di senso nella pur permanente continuità del significato, tale da tener insieme i distanti senza confonderli. Un pensiero senza ombre o rimanenze non è più ricco di un pensiero simbolico: l’ideale non assorbe il reale, deve anzi riconoscerne l’eccedenza; il concetto è chiamato a trascendersi verso spazi più vasti. Come osserva il teologo ortodosso Pavel Evdokimov, “non è la conoscenza che illumina il mistero, è il mistero che illumina la conoscenza. Noi possiamo conoscere solo grazie alle cose che non conosceremo mai”[3].
L’approccio estetico e la conoscenza simbolica – che risultano dunque oggi più che mai necessari nella ricerca di orizzonti di senso – appaiono adatti in modo peculiare alla riflessione credente intorno alla Madre del Signore, che la narrazione evangelica descrive come la “symbállousa”, colei che tiene insieme nel suo cuore le lontananze senza confonderle: “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole (symbállousa) nel suo cuore” (Lc 2,19). Colei che fra tutte le creature è la più prossima al mistero del Verbo incarnato, dove una volta per sempre il Tutto divino si offrì nel frammento di una vicenda umana, non può non essere plasmata da questa vicinanza. La Vergine Madre tiene insieme il cielo e la terra, il Totalmente Altro e il Totalmente Dentro: il disegno dell’Altissimo, cui ella acconsente, la trascende ed insieme la pervade; ad esso ella si apre nell’“eccomi” della fede, accogliendo il dono della pura Grazia. La relazione di Maria col Mistero può essere dunque espressa al meglio proprio da un pensiero simbolico, che non è concorrente o alternativo rispetto a quello storico-critico, ma dipende da esso, sviluppandone l’efficacia. La lettera e lo spirito, lungi dall’opporsi, si richiamano e si arricchiscono reciprocamente nel discorso di fede sulla Madre del Signore, la Tutta Bella abitata dalla grazia dell’Altissimo. Si comprende allora come la via della verità e la via della bellezza, il racconto argomentativo e la ragione simbolica, vengano ad integrarsi quando si parla di Maria nella luce della fede.
Lo aveva intuito magistralmente Paolo VI: “La via della verità, cioè della speculazione biblico-storico-teologica, concerne l’esatta collocazione di Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa… la via della bellezza (è quella) alla quale conduce, alla fine, la dottrina misteriosa, meravigliosa e stupenda… su Maria e lo Spirito Santo. Infatti, Maria è la creatura ‘tota pulchra’; è lo ‘speculum sine macula’; è l’ideale supremo di perfezione che in ogni tempo gli artisti hanno cercato di riprodurre nelle loro opere; è ‘la donna vestita di sole’ (Ap 12,1), nella quale i raggi purissimi della bellezza umana si incontrano con quelli sovrumani, ma accessibili, della bellezza soprannaturale”[4]. Come nell’esperienza del bello il tutto si fa presente nel frammento per via dell’armonia delle forme e delle proporzioni o mediante l’irruzione e l’evocazione dell’infinito nel finito, così in Maria la totalità del Mistero si relaziona a noi grazie all’elezione gratuita di cui Dio l’ha fatta oggetto[5]: nell’umile serva Egli ha fatto grandi cose; nella sua piccolezza si riflette la battaglia cosmica che attraversa la storia intera, nella quale Dio abbatterà i potenti dai troni e innalzerà gli umili.
La via della bellezza e la via della verità, pertanto, conducono entrambe a riconoscere in Maria il valore di un’icona, che rimanda densamente alla Trascendenza entrata nell’immanenza del mondo proprio nel Suo grembo di Vergine Madre. Chi abbia preso sul serio l’avventura della modernità ed il complesso insorgere del post-moderno, avvertirà come l’incontro di queste due vie sia tutt’altro che insensato o marginale: una mariologia simbolico – narrativa[6] spezza il cerchio di ogni presunzione di totalità ideologica, e attraverso i concreti eventi della storia della salvezza si approssima alle insondabili profondità del Mistero, offerte in Maria per la salvezza del mondo. Il discorso argomentativo si congiunge alla narrazione e all’inno: la ragione prigioniera di se stessa si apre nello stupore a ciò che infinitamente la supera. Nella Vergine Madre il bello appare più che mai come lo splendore del vero…
2. La “Tota Pulchra”: Maria, frammento abitato dall’Eterno. Nel grembo della Madre di Dio una volta per sempre il Tutto dell’Eterno si è offerto nel tempo: proprio così, Maria è nel suo essere Vergine, Sposa e Madre il frammento vivente in cui ci è offerta l’infinita bellezza. Afferma San Giovanni Damasceno, che l’Oriente ama chiamare il “sigillo dei Padri”: “Il solo nome della Madre di Dio contiene tutto il mistero dell’economia dell’Incarnazione”[7]. Questa frase riassume una convinzione costante della fede cristiana riguardo alla Vergine Madre: in lei, la “Tota pulchra”, si affaccia nel tempo l’infinita bellezza di Dio e del Suo progetto sull’uomo. Proprio per questo artisti e poeti l’hanno celebrata: un esempio altissimo è costituito da Dante, che nel XXXIII Canto del Paradiso presenta l’incontro paradossale di umiltà e grandezza, di creaturalità e grazia, di tempo ed eternità, compiutosi in Maria: “Vergine Madre, figlia del tuo Figlio, / umile e alta più che creatura, / termine fisso d’eterno consiglio…”. Prima di lui, San Pietro Celestino aveva celebrato la bellezza di Maria con linguaggio corposo: “Vergine gloriosa, Madre de pietate, / fonte de omne bellezza, giglio de castitate, / castello de Amore, foco de caritate, / altezza de virtude, radice de sanctitate, / scola de sapientia, armario de veritate…”. Francesco Petrarca si rivolge così a Maria: “Vergine bella, che di sol vestita, / coronata di stelle, al sommo Sole / piacesti sí, che ‘n te Sua luce ascose”. Infine, per citare solo due voci dell’epoca moderna, Paul Claudel esclama: “Semplicemente perché tu esisti, madre di Gesù, che tu sia ringraziata”, e il poeta romantico tedesco Novalis dice: “Chi, Madre, t’ha veduta una volta, non subirà mai più l’incanto del male”.
La ragione profonda che conduce la sensibilità di artisti, poeti e mistici a riconoscere in Maria la
“tutta bella” sta precisamente nel suo essere il frammento, in cui l’Infinito è venuto a mettere la sua tenda fra noi. È già la testimonianza biblica a far intravedere come in Lei la totalità venga ad offrirsi nell’umiltà della Sua vicenda: da una parte, risulta evidente che non si può parlare di lei che in rapporto al Figlio e all’economia totale della salvezza in lui realizzata; dall’altra, i testi biblici mostrano la concretezza della Sua storia di donna, vergine, madre e sposa. È insomma dal Figlio suo – l’Universale concreto, norma e archetipo dell’umano – che la Vergine Madre riceve una sua specifica e singolare partecipazione all’universalità del disegno salvifico, “benedetta fra tutte le donne” come è “benedetto il frutto del suo grembo”, Gesù (cf. Lc 1,42). Si può dire, allora, che la storia di Maria è “la storia del mondo in compendio, la sua teologia in una sola parola”, e che ella è “il dogma vivente, la verità sulla creatura realizzata”[8]. Maria, insomma, è la “tutta bella” perché è la donna, icona del Mistero: il riferimento al Suo essere donna evidenzia la densa realtà del frammento di cui si parla, la storicità di questa giovane della casa d’Israele, cui è stato dato di diventare la madre del Messia. Maria non è un mito, né un’astrazione, come mostrano i tratti della sua personalità di donna ebrea, che ha saputo vivere nel modo più alto la spiritualità dello “shemà”, dell’ascolto nutrito dalla fede e dalla speranza messianica, sperimentandone in se stessa il compimento e il nuovo inizio. Confermano la storicità della sua figura l’umiltà della sua condizione, la quotidianità delle sue fatiche nella famiglia di Nazaret, l’oscurità dell’itinerario di fede in cui è avanzata, i condizionamenti ricevuti dall’ambiente circostante, l’aver conosciuto in prima persona gli stati differenti dell’esperienza femminile di vergine, madre e sposa.
Il significato universale di Maria sta o cade con la sua singolarità di donna concreta, di “Virgo singularis”: quanto più questo aspetto sarà colto, tanto più il valore di archetipo della “Tota Pulchra” per tutto l’essere umano e per ogni essere umano si lascerà percepire e il mistero in lei riposto si farà scandagliare. È questo gioco di visibile concretezza e di invisibile profondità, che fa parlare di lei come di una icona: Maria è tale perché in lei si attua il duplice movimento, che ogni icona tende a trasmettere, la discesa e l’ascesa, l’antropologia di Dio e la teologia dell’uomo. In lei risplende l’elezione dell’Eterno e il libero consenso della fede in Lui. Come “l’icona è la visione delle cose che non si vedono”[9], così la Vergine Madre si offre allo sguardo della fede come il luogo della divina Presenza, l’arca dell’alleanza, coperta dall’ombra dello Spirito (cf. Lc 1,35 e 39-45. 56), la dimora santa del Verbo tra gli uomini. Guardare a Maria “icona” significa, allora, rivolgere al dato biblico che la riguarda un’attenzione aperta a sondare le profondità divine che in esso si comunicano, così come ha saputo leggerle l’ininterrotta tradizione credente della Chiesa, a partire dalle sue prime origini. Meditando Maria nella Scrittura, diventa possibile rileggere la Scrittura in Maria, cogliere cioè nella concreta figura biblica della Madre del Signore l’intera economia dell’alleanza narrata nello splendore di questo umile e meraviglioso frammento.
3. Il Tutto divino in Maria: la Vergine Madre Sposa e la Trinità. Frammento vivo e vero di umanità, Maria è inseparabilmente il terreno d’avvento del Tutto divino. Proprio così la si può definire donna icona del Mistero: gloria nascosta sotto i segni della storia[10], il mistero implica contemporaneamente la visibilità degli eventi in cui si compie e la profondità invisibile dell’opera divina che in essi si realizza. Il mistero appare già nella scena dell’annunciazione, dove la Trinità si lascia riconoscere come il grembo adorabile che accoglie la Vergine santa, al tempo stesso in cui Maria si offre come il grembo del Figlio di Dio[11]. Fra Maria e la Trinità è stabilito un rapporto di profondità unica: ella è “il santuario e il riposo della santissima Trinità”[12]. La Trinità si fa presente in Lei nella ricchezza delle relazioni che la legano alle tre Persone divine secondo i vari aspetti della sua vicenda terrena: in quanto Vergine, ella sta davanti al Padre come recettività pura e si offre perciò come icona di Colui che nell’eternità è puro ricevere, il Generato, l’Amato, il Figlio eterno, la Parola uscita dal Silenzio. In quanto Madre, Maria si rapporta al Verbo incarnatosi in lei quale sorgente di amore che dona la vita, ed è perciò icona materna di Colui che da sempre e per sempre ha iniziato ad amare, il Generante, l’eterno Amante, il Padre. In quanto arca dell’alleanza nuziale fra il cielo e la terra, Sposa in cui l’Eterno unisce a sé la storia e la ricolma del suo dono, Maria si offre come icona dello Spirito Santo, che è nuzialità eterna, vincolo di carità infinita ed apertura permanente del Dio vivo alla storia degli uomini. Nella Vergine Madre viene così a specchiarsi il mistero stesso delle relazioni divine: nell’unità della sua persona riposa l’impronta dell’unico Dio tripersonale.
Proprio così, Maria è anche la donna Chiesa, la figlia di Sion del tempo messianico giunto al suo inaudito compimento. “Fra la Chiesa e la Vergine, i legami non sono soltanto numerosi e stretti: sono essenziali”[13]. Se da una parte la vita di Maria è “sostanza e rivelazione del mistero della Chiesa”, dall’altra “veramente la Chiesa è la Maria della storia universale”[14]. Come nella Madre del Verbo incarnato, così nel mistero della Chiesa si riflette la comunione trinitaria: icona della Trinità, la comunione ecclesiale trova nell’adorabile mistero la sua origine, il suo modello e la sua patria. Il rapporto fra Maria e la Chiesa è di un’identità simbolica, intuita già dalla testimonianza della fede delle origini, come rivela la scena del dialogo del Crocifisso con Maria e Giovanni ai piedi della Croce: la Donna e il Discepolo amato, figura di ogni discepolo, si coappartengono profondamente. La divina bellezza li avvolge entrambi ed in entrambi vuole risplendere. Come Maria, la Chiesa riflette la bellezza divina: nella notte del mondo, essa è – secondo l’intuizione dei Padri – la luna che accoglie e irradia i raggi del solo Sole, Cristo[15].
Infine, Maria è anche semplicemente la creatura umana davanti a Dio: su di lei scende l’ombra dello Spirito, evocando la prima creazione, quando “lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque” (Gen 1,2); in lei è evocata la figura della donna delle origini (cf. Gen 3,15 e l’uso del termine “donna” per designare Maria nel quarto Vangelo); è la serva del Signore, beata perché “ha creduto all’adempimento delle parole del Signore” (Lc 1,45), l’umile, cui l’Onnipotente ha rivolto lo sguardo, compiendo in lei grandi cose (cf. Lc 1,48s). Nel “sì” di Maria risplende il capolavoro dell’azione creatrice di Dio: la dignità della creatura, resa capace di dare l’assenso libero al progetto dell’Eterno e di diventare perciò in qualche modo collaboratrice di Dio. Questa antropologia di Dio – rivelata nell’annunciazione – manifesta quello che fu il disegno dell’Eterno sin dal primo mattino del mondo. La Vergine Madre si offre come icona dell’uomo, chiamato ad acconsentire all’opera della divina bellezza nella libertà e nella generosità del dono. Per l’eccezionale sua vicinanza all’uomo nuovo e perfetto, Gesù, la biografia totale di Maria – dall’immacolato concepimento all’assunzione corporea nella gloria di Dio – rivela in pienezza il progetto divino sulla creatura umana. Modello e Madre, Maria aiuta in ciascuno dei discepoli il compimento del disegno dell’Eterno, manifestato in lei. La sua bellezza
chiama e aiuta la nostra: in entrambe viene a parteciparsi l’infinita bellezza di Dio, Trinità Amore. L’essere umano, rivelato nella donna Maria, è sete del bello, che solo l’eterna bellezza potrà veramente appagare.
4. La “via pulchritudinis” e la luce di Maria assunta in cielo. Maria è dunque l’icona pura dell’infinita bellezza di Dio perché in lei, nella concretezza del suo essere donna, il Figlio eterno è venuto ad abitare nella carne come il Tutto in un frammento. La bellezza di Lei non è che l’irradiazione purissima della presenza di Lui, “il bel Pastore” (Gv 10,11), nel suo grembo accogliente. La verginità perpetua e la maternità divina sono in questo senso il punto di partenza di ogni affermazione circa la “Tota Pulchra”, come peraltro di ogni prerogativa e funzione di Maria. Da queste verità di fede – definite dai due dogmi mariani del primo millennio – si irradiano – come esplicitazione luminosa – le definizioni dogmatiche del secondo millennio riguardo all’immacolata concezione e alla gloriosa assunzione. Non è difficile cogliere la continuità profonda fra le quattro formulazioni dogmatiche, che rinviano tutte all’unità del mistero che si compie in Maria: se “la fede della Chiesa nella Divina Maternità e Verginità di Maria è inscindibilmente collegata con la fede in Cristo e la sua formulazione storico-dogmatica”[16], la formulazione dei cosiddetti dogmi “moderni”, partendo dallo stesso orizzonte cristologico, si muove all’interno del primario interesse antropologico dell’età moderna. Come la concentrazione sulla cristologia nei dibattiti della Chiesa antica reagiva al duplice riduzionismo, rispettivamente dell’umano e del divino in Cristo, propri delle eresie doceta e adozionista, così la domanda antropologica, che anima la riflessione teologica moderna si muove fra i due opposti estremismi della celebrazione della gloria di Dio a prezzo della negazione dell’uomo, caratteristica della Riforma, e della celebrazione della gloria dell’uomo a prezzo della morte di Dio, propria del “secolo dei Lumi”.
La continuità fra le quattro definizioni dogmatiche sta nel mantenimento dello scandalo cristologico quale riferimento normativo e fontale per ogni affermazione della fede: come il dogma dell’età patristica non ha dissolto il Cristo, ma ha mantenuto alto e puro il paradosso della convergenza in Lui della divinità con una umanità integra e vera nell’unità della persona divina, così il dogma mariano dell’età moderna non annulla la rivelazione e l’opera del Cristo, perché mantiene alto e puro il paradosso del rapporto fra l’umano e il divino che in Lui ci è stato partecipato. Se il dogma dell’Immacolata Concezione celebra l’assoluta gratuità dell’elezione divina, affermando in Maria – caso assolutamente singolare ed esemplare – la certezza che Dio viene sempre prima ed è sempre più grande, e reagisce così ad ogni presunzione totalizzante da parte della ragione umana, il dogma dell’assunzione della Vergine nella gloria celeste mostra l’altissima destinazione finale della creatura umana presso il Signore, e perciò la dignità e la responsabilità della persona, che nella libertà può accettare o meno di conseguire questa meta. Il paradosso cristologico è mantenuto intatto; la continuità è sostanziale, pur nella diversità di prospettive e di linguaggio.
Lo sviluppo del dogma mariano è allora “proprio uno sviluppo e non una ‘evoluzione’, cioè un cambiamento eterogeneo… Immacolata Concezione e Assunzione non sono il frutto di un nuovo messaggio di Dio, ma un’integrazione dei dati della storia della salvezza e del destino di Maria, secondo la luce dello Spirito, che illumina la pienezza di quel che Cristo ha insegnato (Gv 14,26 e 16,13)”[17], riguardo all’uomo e al suo destino. Come scrive Giovanni Paolo II nell’Enciclica Redemptoris Mater (1987) “col mistero dell’assunzione al Cielo si sono definitivamente attuati in Maria tutti gli effetti dell’unica mediazione di Cristo … A lui singolarmente unita nella sua prima venuta, per la sua continuata cooperazione con lui lo sarà anche in attesa della seconda: redenta nel modo più sublime in vista dei meriti del Figlio suo, ella ha anche quel ruolo, proprio della madre, di mediatrice di clemenza nella venuta definitiva, quando tutti coloro che sono di Cristo saranno vivificati, e ‘l’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte’ (1Cor 15,26). A tale esaltazione dell’‘eccelsa figlia di Sion’ mediante l’assunzione al Cielo, è connesso il mistero della sua eterna gloria” (n. 41). Nella varietà delle sue formulazioni dogmatiche, la fede della Chiesa riguardo a Maria contempla in Lei l’unico mistero salvifico dell’offrirsi del Tutto divino nel frammento della sua persona e della sua storia veramente umana: è la bellezza che deriva alla “Tota Pulchra” dal Suo Figlio che viene celebrata, tanto nell’affermarne la perpetua verginità e la divina maternità, quanto nell’attestarne l’immacolata concezione e l’assunzione in cielo.
In particolare, nel dogma dell’Assunta viene confessata la biografia totale di Maria, che dall’umiltà della scena dell’annunciazione giunge a partecipare in pienezza alla gloria del Dio tre volte Santo: la bellezza che si affacciava a Nazaret nella giovane donna coperta dall’ombra dell’Altissimo, risplende ora nella Sposa delle nozze eterne. Scriveva ancora Giovanni Paolo II: “Colei che all’annunciazione si è definita ‘serva del Signore’, è rimasta per tutta la vita terrena fedele a ciò che questo nome esprime… Per questo, Maria è diventata la prima tra coloro che, servendo a Cristo anche negli altri, con umiltà e pazienza conducono i loro fratelli al Re, servire al quale è regnare, ed ha conseguito pienamente quello stato di libertà regale, proprio dei discepoli di Cristo: servire vuol dire regnare! Cristo, fattosi obbediente fino alla morte e perciò esaltato dal Padre, è entrato nella gloria del suo Regno… Maria, serva del Signore, ha parte in questo Regno del Figlio. La gloria di servire non cessa di essere la sua esaltazione regale: assunta in Cielo, ella non termina quel suo servizio salvifico, in cui si esprime la mediazione materna, fino al perpetuo coronamento di tutti gli eletti” (ib.).
La Tutta Bella, assunta in cielo, si offre in tal modo ai credenti ed all’umanità intera quale segno di sicura speranza e pegno della partecipazione futura alla bellezza eterna, che in Lei si è resa accessibile nel Figlio. Maria ci mostra la meta, cui dobbiamo tendere, e la via, che lei per prima ha percorso: “In realtà, l’incarnazione del Verbo non può essere pensata a prescindere dalla libertà di questa giovane donna che con il suo assenso coopera in modo decisivo all’ingresso dell’Eterno nel tempo. Ella è la figura della Chiesa in ascolto della Parola di Dio che in lei si fa carne… ascolto attivo, che interiorizza, assimila, ed in cui la Parola diviene forma della vita” (Benedetto XVI, Esortazione Apostolica Post-sinodale Verbum Domini, 2010, 27). Attraverso l’ascolto della Vergine – Madre il Verbo entra nel tempo: e sarà grazie alla fede di cui Lei è modello che il tempo potrà entrare nell’eternità, come vi è entrata Lei in pienezza nella sua assunzione corporea, quale segno e profezia per tutti noi. Perciò la Chiesa guarda all’Assunta come alla Madre della speranza, alla stella che orienta la navigazione dei pellegrini della fede sul grande mare della storia verso il porto dell’eternità.
“Con un inno dell’VIII/IX secolo – scrive Benedetto XVI concludendo l’Enciclica Spe salvi (2007) – la Chiesa saluta Maria, la Madre di Dio, come ‘stella del mare’: Ave maris stella. La vita umana è un cammino. Verso quale meta? Come ne troviamo la strada? La vita è come un viaggio sul mare della storia, spesso oscuro ed in burrasca, un viaggio nel quale scrutiamo gli astri che ci indicano la rotta. Le vere stelle della nostra vita sono le perso
ne che hanno saputo vivere rettamente. Esse sono luci di speranza. Certo, Gesù Cristo è la luce per antonomasia, il sole sorto sopra tutte le tenebre della storia. Ma per giungere fino a Lui abbiamo bisogno anche di luci vicine – di persone che donano luce traendola dalla sua luce ed offrono così orientamento per la nostra traversata. E quale persona potrebbe più di Maria essere per noi stella di speranza – lei che con il suo ‘sì’ aprì a Dio stesso la porta del nostro mondo?” (n. 49). A Lei, assunta negli splendori eterni, “Madre della speranza”, si rivolge perciò Benedetto XVI, facendosi voce dell’invocazione di tutti i credenti, pellegrini verso la patria: “Santa Maria, Madre di Dio, Madre nostra, insegnaci a credere, sperare ed amare con te. Indicaci la via verso il suo regno! Stella del mare, brilla su di noi e guidaci nel nostro cammino!” (n. 50). A Maria, associata alla gloria del Figlio, contemplata nella sua biografia totale, canta così la fede della Chiesa nei secoli: “Tota pulchra es, Maria / Et macula originalis non est in Te / Vestimentum tuum candidum quasi nix, / et facies tua sicut sol / Tu gloria Ierusalem / Tu laetitia Israel / Tu honorificentia populi nostri / Tu advocata peccatorum” – “Tutta bella sei, Maria, / e il peccato originale non è in te / La tua veste è bianca come la neve / e il Tuo volto come il sole / Tu gloria di Gerusalemme, / tu letizia d’Israele, / tu onore del nostro popolo, / tu avvocata dei peccatori”.
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1) Gloria. 1. La percezione della forma, Jaca Book, Milano 1975, 217.
3) La donna e la salvezza del mondo, Jaca Book, Milano 1980, 13.
4) Paolo VI, Discorso per la chiusura del VII Congresso mariologico e l’inizio del XIV Congresso mariano, Roma 16.5.1975.
5) Cf. Images et visages de Marie. Étude pluridisciplinaire sur la «via pulchritudinis», in Études mariales 32-33 (1975-1976) 5-84; D. M. Turoldo – S. De Fiores, Bellezza, in NDM 222-231.
6) Ho cercato di offrirne un esempio nel mio volume Maria la donna icona del Mistero. Saggio di mariologia simbolico – narrativa, Milano 19892.
7) S. Giovanni Damasceno, De fide orthodoxa, III, 12: PG 94,1O29 C.
8) P. Evdokimov, La donna e la salvezza del mondo, o.c., 54 e 216.
9) P. Evdokimov, La donna e la salvezza del mondo, o.c., 133. Cf. dello stesso, Teologia della bellezza. L’arte dell’icona , Paoline, Roma 19823.
10) Cf. Rm 16,25; 1Cor 2,7s; Ef 1,9; 3,3; 6,19; Col 1,25-27; 1Tm 3,16.
11) Si tratta di una scena di significato trinitario: “La sua struttura narrativa rivela in un modo assolutamente chiaro per la prima volta la Trinità di Dio”: H. Urs von Balthasar, Maria nella dottrina e nel culto della Chiesa, in J. Ratzinger – H. Urs von Balthasar, Maria Chiesa nascente, Paoline, Roma 1981, 48s.
12) S. Luigi M. Grignion da Montfort, Trattato della vera devozione alla Santa Vergine, in Id., Opere, 1, Edizioni Monfortane, Roma 1990, n. 5.
13) H. de Lubac, Meditazione sulla Chiesa, Paoline, Milano 1965, 392s.
14) H. Rahner, Maria e la Chiesa, Paoline, Milano 1974, 79 e 68.
15) Cf. H. Rahner, Mysterium Lunae, in Id., L’ecclesiologia dei Padri. Simboli della Chiesa, Paoline, Roma 1971, 145-287.