di Maurizio Tripi
ROMA, lunedì, 29 novembre 2010 (ZENIT.org).- Possono dialogare tra loro discipline, culture e religioni diverse sulle questioni poste dall’ identità europea? E’ questo il tema centrale del convegno “Oltre le identità. Sulla questione delle radici storiche, culturali e religiose dell’Europa” che si è svolto il 27 novembre presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma.
Si è voluto dare evidenza alle più preziose eredità storiche, culturali e religiose dell’Europa per combattere la moderna deriva “presentista”, che tende a recidere ogni legame con il passato e la memoria e a dar valore assoluto alla contemporaneità.
L’AIEMPR (Association Internationale d’Etudes Médico-Psychologiques et Religieuses) che ha organizzato questo convegno, promuove sin dagli anni ’50 la ricerca e la riflessione nei campi della psicoanalisi, della psicologia, dell’antropologia e delle altre scienze umane nei loro rapporti con la religione. E’ costituita da un gruppo di medici, psicoanalisti e umanisti europei, che lo fa organizzando incontri periodici e congressi internazionali.
Per meglio conoscere ragioni e finalità dell’incontro ZENIT ha intervistato uno degli organizzatori del convegno il dr. Salvatore Zipparri psicologo, specialista in psicologia clinica e psicoterapeuta ad orientamento psicoanalitico, docente di psicologia clinica e sociologia dello sviluppo presso i corsi di laurea in Tecnica della Riabilitazione Psichiatrica dell’Università Cattolica di Roma.
Più che mai si parla di un’Europa laica priva delle sue radici giudaico-cristiane quindi questo incontro ha voluto dimostrare l’esatto opposto?
Zipparri: Negare le radici giudaico-cristiane dell’Europa è impossibile. Non solo esse sono presenti nella storia dell’arte e dell’architettura, nei simboli e negli ordinamenti giuridici di tutti i Paesi europei (come pure nelle parole di molti inni nazionali) ma lo stesso pensiero laico, senza queste premesse, sarebbe impensabile: così è stato detto che Voltaire e persino Nietzsche, senza il cristianesimo, non sarebbero mai esistiti.
Il vostro convegno ha inteso ridimensionare il timore per l’“Eurabia”, di cui parlava la Fallaci?
Zipparri: Io credo che il dialogo interculturale e interreligioso (perlomeno tra i tre grandi monoteismi abraminici) sia possibile. Proprio l’Europa, con la sua storia e le sue tradizioni molteplici, mi sembra poi particolarmente adatta ad essere il laboratorio ideale per una simile apertura antropologica. Questo non contraddice l’inequivocabilità delle premesse giudaico-cristiane dell’Europa: parlare di un integralismo (quando non addirittura di un fondamentalismo) cristiano, seppure da qualcuno invocato, risulta una contraddizione in termini in contrasto con lo spirito autenticamente “ecumenico” del messaggio evangelico.
Oggi anche il Buddismo, anche se in una interpretazione spesso errata, fa proselitismo in Occidente. Non ritiene si tratti solo di un’alternativa relativista?
Zipparri: L’Occidente oggi “consuma” di tutto e questo consumismo finisce con l’estendersi anche al fenomeno religioso: in realtà gli occidentali che si avvicinano alle filosofie orientali lo fanno partendo da premesse completamente diverse da quelle degli orientali e ne snaturano completamente il significato profondo. Se mi si passa il paragone un po’ prosaico, io credo che le cose non vadano molto diversamente da quanto avviene nei ristoranti cinesi delle nostre città in cui si consumano pietanze che nulla hanno a che fare con la vera cucina cinese e soprattutto lo si fa dopo la pizza della sera prima e prima della bistecca della sera dopo!
In ultimo new age, neo-paganesimo, satanismo si fanno largo tra i più giovani: il vostro incontro è stato un modo per tracciare una strategia comune per arginarli?
Zipparri: Questa tematica resta in realtà un po’ al di fuori degli obiettivi specifici del nostro incontro, ma non si può dire che non vi si stagli sullo sfondo. In un mio libro di qualche anno fa (“Nel nome del Padre e di Edipo. Appunti di psicoanalisi e religione per il nuovo millennio”, di S. Zipparri, edizioni Armando, 2000 n.d.r), ho proposto di considerare queste “nuove spiritualità” non tanto come un fenomeno di deviazione rispetto alla religione ufficiale, quanto piuttosto una distorsione di modelli psicoterapeutici e psicoanalitici (primo fra tutti Jung). Appiattendosi su un riduttivo scientismo la psicoanalisi odierna rischia di smarrire il senso più autenticamente “spirituale” del proprio intervento. Recuperando invece questa sua originaria dimensione può riuscire a fornire una risposta “alta” e rigorosa al bisogno che si cela in questa confusa e contraddittoria domanda di “magico”, offrendo una visione antropologica unitaria nella quale scienza e religione risultino maggiormente integrate.