CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 15 novembre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'intervento pronunciato dal Vescovo Jean Khamse Vithavong, o.m.i, Vicario apostolico di Vientiane e Capo della delegazione della Santa Sede, alla riunione degli Stati Parte della Convenzione sulle munizioni a grappolo (Vientiane, 9-12 novembre 2010).




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Signor Presidente!

La Santa Sede esprime il suo apprezzamento al Governo del Laos per l'organizzazione della 1 Riunione degli Stati Parte della Convenzione sulle munizioni a grappolo (Ccm), per il suo impegno, in quanto Paese più colpito dal problema delle munizioni a grappolo, e per la calorosa accoglienza a questa Delegazione. È un messaggio forte d'incoraggiamento e di speranza e un appello a una azione urgente per tutti i Paesi colpiti e per tutte le vittime. La Santa Sede, unendosi agli altri membri del Gruppo di sostegno al Laos, ha voluto esprimere la sua vicinanza al popolo e al Governo di questo Paese, in modo particolare, a tutte le vittime delle munizioni a grappolo.

In questa stessa ottica, la Santa Sede accoglie favorevolmente l'offerta generosa del Libano di organizzare la prossima riunione degli Stati Parte. Ciò mostra che questa Convenzione è percepita dai Paesi colpiti come un importante modello di un'azione multilaterale che risponde meglio a un problema specifico, quello delle munizioni a grappolo. Inoltre, una riunione di questo tipo in Libano va sostenuta per incoraggiare i Paesi della regione a impegnarsi più risolutamente lungo la vita del disarmo umanitario.

La Ccm è stata ratificata da 43 Stati e firmata da 108. Ciò dimostra la correttezza dell'approccio globale adottato per rispondere ai problemi posti da una categoria specifica di armi. Tutti gli attori e i partner dovrebbero compiere sforzi sostenuti per universalizzare la Convenzione. È il mezzo migliore per porre rimedio ai problemi esistenti in questo ambito. È soprattutto il modo migliore per assicurare una politica di prevenzione. La Convenzione, nel suo approccio globale, ha il merito di permettere di fare entrambe le cose: porre rimedio e prevenire.

Il processo di Oslo si è concluso con successo con l'adozione della Ccm perché ha saputo mettere al centro delle preoccupazioni la persona umana e, in primo luogo, coloro che meritano maggiormente la nostra attenzione, vale a dire le vittime. Al contrario, se gli Stati non riescono, in altri ambiti, a trovare soluzioni soddisfacenti agli stessi tipi di problemi è proprio perché si è più concentrati sulle armi, sulla tecnologia, e, più in generale, sulla dimensione militare che sulla persona già vittima o vittima potenziale di tali munizioni, che, per loro natura, pongono un problema umanitario durante e dopo il conflitto.

Gli Stati Parte della Ccm hanno il dovere di continuare a mettere le vittime al centro dei loro sforzi di applicazione della Convenzione. Da qui il sentimento di urgenza che dovrebbe nutrire l'insieme degli Stati Parte, delle organizzazioni non governative e delle organizzazioni internazionali. Non c'è tempo da perdere proprio perché ogni persona conta e ogni vittima conta. La responsabilità è condivisa: lo spirito di questa Convenzione risiede nell'idea di partenariato e di cooperazione. Ciò si può tradurre in modi diversi per gli uni o per gli altri, ma siamo tutti parti in causa nel raccogliere la stessa sfida. L'insuccesso degli uni è l'insuccesso di tutti. Il successo degli uni è il successo di tutti.

In questo contesto, la Riunione di Vientiane è fondante. Si tratta di gettare le basi per tradurre la visione esaltante della Convenzione in una politica concreta fatta di piani, di programmi, di cooperazioni pratiche, affinché la messa in atto degli obblighi contratti da tutti diventi una realtà, in primo luogo, per i Paesi colpiti e per le vittime. Da qui l'importanza di questa riunione e delle prime riunioni che seguiranno. La Dichiarazione di Vientiane trasmette un messaggio politico forte per rinnovare l'impegno a favore degli obiettivi della Convenzione. Il Piano di Azione risponde proprio a questo bisogno di tradurre la visione in una politica concreta che cambi la vita dei Paesi e delle persone colpite dal flagello delle munizioni a grappolo.

Il sentimento di urgenza non dovrebbe però portare ad agire precipitosamente. Gli Stati Parte sono chiamati a prendere fin da questa riunione un certo numero di decisioni indispensabili per il procedere dinamico e risoluto di questa Convenzione. In un atteggiamento di cooperazione e di partenariato, queste decisioni dovrebbe essere prese senza indugi. Ma su altre questioni, non ancora mature o che devono essere chiarite dall'esperienza, gli Stati Parte sono chiamati a impegnarsi in un dialogo aperto e sincero, che porterà nel corso delle prossime riunioni a risultati fecondi per la vita futura della Convenzione.

Al momento della firma della Ccm a Oslo, la Santa Sede ha fatto una serie di osservazioni interpretative della Convenzione. In occasione della 1 Riunione degli Stati Parte, vorrei completare la sua interpretazione su due punti particolari:

- Una lettura attenta della Convenzione ci porta a sostenere che è vietato a uno Stato Parte stoccare o far transitare munizioni a grappolo nel suo territorio nazionale, tenendo conto dei paragrafi 6, 7 e 8 dell'articolo 3 della Convenzione.

- In un mondo sempre più globalizzato e interdipendente, alcuni Paesi producono, possiedono mezzi di produzione o investono nell'industria militare, al di fuori dei loro confini nazionali. È importante per l'integrità della Convenzione e per la sua applicazione includere questi investimenti nell'elenco dei divieti.

Signor Presidente!

Per concludere, la Santa Sede ribadisce la sua determinazione a lavorare con tutti i partner, Stati Parte, organizzazioni internazionali, Cicr e Cmc, in spirito di cooperazione, poiché tutti gli attori hanno lo stesso obiettivo, che è quello di rafforzare il diritto umanitario internazionale e di aiutare i Paesi colpiti e le vittime delle munizioni a grappolo a trovare, il più rapidamente possibile, il cammino della riabilitazione e dell'integrazione.

La mia Delegazione ribadisce l'invito rivolto dal Santo Padre «a tutti gli Stati ad aderire alla Convenzione», soprattutto quando si pensa «alle numerose vittime che hanno sofferto e continuano a soffrire gravi danni fisici e morali». Di fatto, l'applicazione della Convenzione rappresenta una sfida giuridica e umanitaria per gli anni a venire. Per questo la Delegazione della Santa Sede spera, come ha sottolineato Papa Benedetto xvi, che «si continui con sempre maggior vigore su questa strada, per la difesa della dignità e della vita umana, per la promozione dello sviluppo umano integrale, per lo stabilimento di un ordine internazionale pacifico e per la realizzazione del bene comune di tutte le persone e di tutti i popoli» (Dopo Angelus, 1 agosto 2010).

[Traduzione a cura de “L'Osservatore Romano”]