di Mariaelena Finessi
ROMA, giovedì, 11 novembre 2010 (ZENIT.org).- «Fu un episodio meschino, vile, perché diretto contro uno Stato inerme e indifeso» come la Santa Sede, dove «ci si chiedeva che senso potesse avere un evento di quel genere se non quello dell’insulto». Il presidente del Governatorato della Città del Vaticano, il Cardinale Giovanni Lajolo, ricorda così il bombardamento che il 5 novembre del 1943 colpì il piccolo Stato neutrale.
Intervenendo nei giorni scorsi alla presentazione del libro di Augusto Ferrara “1943. Bombe sul Vaticano”, Lajolo spiega che quello «fu l’unico atto di violazione della sovranità territoriale dello Stato del Vaticano da quando è stato creato». E che, ciò nonostante, quest’ultimo «dimostrò, per quanto fosse piccolo, l’efficacia della sua funzione di usbergo per il Papa», di cui assicurò «la libertà e l’indipendenza».
Sconosciuto ai più, l’episodio è stato ammantato dal mistero per tutti questi anni. Il volume di Ferrara finalmente getta la luce sull’accaduto grazie a una completa documentazione fatta di ritagli di giornali dell’epoca e, soprattutto, di immagini, rimaste finora inedite e che l’autore, noto filatelico, ha scovato fortuitamente su una bancarella a Verona.
In tutto una trentina di fotografie scattate il 6 novembre 1943, giorno successivo al bombardamento. Una nota personale del fotografo, ugualmente custodita nella busta, indicava l’ora dell’avvenimento.
Risparmiata durante la guerra, quella sera la Città del Vaticano venne sorvolata da un aereo. Alle 20,15 furono sganciate cinque bombe, di cui una rimasta inesplosa. Le conseguenze sono impresse in quelle foto: andarono distrutti il serbatoio dell’acqua presso la stazione ferroviaria, uffici del Governatorato. Il laboratorio del mosaico della fabbrica di San Pietro venne devastato mentre andarono in frantumi le vetrate posteriori della Basilica.
L’avvenimento ebbe una larga eco sia sull’Osservatore Romano, che nei giornali italiani ed esteri. Per risalire all’artefice di quel triste gesto, la Segreteria di Stato Vaticano chiese chiarimenti alle cancellerie delle potenze dell’epoca, Stati Uniti, Inghilterra e Germania. Nel libro sono pubblicati i relativi carteggi: il generale Eisenhower, il governo inglese e il governo del Reich negarono ogni responsabilità.
La Repubblica di Salò accusò gli Stati Uniti e la stampa fascista speculò sull’avvenimento, accusando gli Alleati di aver violato le norme internazionali e di aver offeso il luogo simbolo del cristianesimo. In realtà Antonio Ferrara rivela che ad ordire il piano contro la Santa Sede furono invece proprio i fascisti.
L’aereo, che oggi sappiamo essere un SIAI Marchetti S.M. 79 – “Sparviero” decollato da Viterbo, era in dotazione alla Repubblica di Salò. A sostegno della tesi, secondo la quale ad ordinare il bombardamento fu il gerarca fascista Roberto Farinacci, c’è un intercettazione telefonica, trascritta nel libro, tra un sacerdote e il gesuita Pietro Tacchi Venturi, vicino al Segretario di Stato Vaticano dell’epoca, cardinal Luigi Maglione.
Nel dialogo, il sacerdote afferma: «Sono stati gli italiani. Lo abbiamo potuto appurare attraverso le persone che sono state presenti a tutto lo svolgimento della manovra. Era un apparecchio Savoia Marchetti, con a bordo cinque bombe destinate a colpire la stazione Radio Vaticana, perché Farinacci era convinto che essa trasmettesse al nemico notizie di carattere militare».
La notizia venne confermata dal direttore dell’Osservatore Romano, conte Dalla Torre. Per una settimana non si parlò d’altro sulla stampa. Poi calò il silenzio. Pare, per un invito di monsignor Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI, allora sostituto alla Segreteria di Stato di Pio XII, «per non alimentare – chiarisce Lajolo – il rischio di una possibile guerra civile».
Il libro, co-edito da Libreria Editrice Vaticana e Augusto Ferrara Editore, è stato consegnato al Pontefice il 3 novembre. Ignaro della vicenda raccontata nel volume, all’autore Benedetto XVI ha chiesto: «Chi è stato?».