Beata povertà: convinzione della necessità di Dio

Il Cardinale Geraldo Agnelo sul Discorso della Montagna

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

SALVADOR, mercoledì, 10 novembre 2010 (ZENIT.org).- “La povertà sociologica non è proclamata beata di per sé. Considerata in se stessa e in quanto tale, sarebbe un vero male”, afferma il Cardinale Geraldo Majella Agnelo.

L’Arcivescovo di Salvador e primate del Brasile ha commentato questo lunedì in un articolo diffuso alla stampa il Discorso della Montagna, tema del brano evangelico di domenica.

Secondo il Cardinale, la povertà che è chiamata beata è quella che deriva dalla “semplicità del cuore, dalla convinzione profonda della necessità che l’uomo ha di Dio, dall’integrità della vita e dall’apertura agli altri”.

Affrontando la beatitudine dei “miti”, l’Arcivescovo di Salvador ha spiegato che “si tratta di un atteggiamento molto vicino alla prima beatitudine”, visto che interessa quanti sono “umili, poveri, bisognosi, piccoli”.

“La vita di Gesù è un’illustrazione pratica di questa beatitudine: Egli ha lottato contro la malattia, la fame e il dolore, e allo stesso tempo ha camminato con sicurezza verso la resurrezione”, ha spiegato.

La beatitudine degli “afflitti”, secondo il Cardinale, deve essere compresa “partendo dal premio che la giustifica: la consolazione”. “La consolazione è una realtà messianica, portata dal Messia, e abbraccia tutto il dolore per il quale l’uomo ha bisogno di essere consolato”.

Circa quanti hanno fame e sete di giustizia, il porporato ha osservato che, “più che un atteggiamento, qui è chiamata beata la tendenza di voler ricevere qualche cosa”.

“Dio la concederà a quanti ora sono oppressi dall’ingiustizia. La ricompensa non è attesa solo per il momento del giudizio finale. La fame e la sete della giustizia gridano perché cessi l’ingiustizia attuale. La speranza si vede soddisfatta unicamente nell’apparizione del Messia, che è chiamato ‘Yahvè-nostra-giustizia’”.

Affrontando la beatitudine dei misericordiosi, il Cardinale commenta che la loro condotta “è sulla stessa linea della condotta di Dio: amore, compassione, perdono, comprensione, aiuto”.

Beati sono ancora i puri di cuore, perché Dio “è aperto a chi ha le mani e il cuore puri, una purezza di vita, senza intenzioni distorte e inconfessabili”.

“Quanti lavorano per la pace tra gli uomini agiscono come Dio stesso, perché Dio è il Dio della pace, che offre la riconciliazione al peccatore”.

Per quanto riguarda “i perseguitati a causa della giustizia”, infine, il Cardinale conclude affermando che “la sorte che è toccata al Maestro tocca anche ai suoi discepoli, in ogni tempo”.

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

ZENIT Staff

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione