di Jason Adkins
ST. PAUL (Minnesota), martedì, 9 novembre 2010 (ZENIT.org).- Essere portavoce del Papa Benedetto XVI sulle questioni di “giustizia e pace” deve essere un compito enorme, perché implica l’applicazione di principi forgiati nei secoli ad una vasta quantità di questioni e in ambiti geografici, politici e culturali molto diversi.
Spesso, soluzioni a problemi difficili, che hanno senso in un dato contesto, possono apparire avventate o errate se applicate in altre parti del mondo.
Ma secondo il nuovo capo del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, occorre cercare di comprendere terminologie e idee complesse, partendo dal punto di vista dell’oratore. In altre parole, dobbiamo chiederci cosa l’oratore sta cercando di comunicare a quel determinato pubblico.
L’adozione di questo atteggiamento iniziale, può anche alimentare in noi una profonda esperienza di apprendimento, secondo il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, un ruolo a cui è stato chiamato da Benedetto XVI nell’ottobre del 2009.
Turkson, 62 anni, è nato a Nsuta Wassaw, in Ghana, ed è arcivescovo emerito di Cape Coast, Ghana. Ha frequentato il seminario St. Anthony-on-Hudson a New York e ha poi studiato presso il Pontificio Istituto biblico di Roma, dove ha ottenuto il dottorato in Sacre scritture.
Ordinato nel 1975, è stato nominato arcivescovo di Cape Coast nel 1992 e creato cardinale da Papa Giovanni Paolo II nel 2003.
Durante un suo recente viaggio in Minnesota, il cardinale Turkson si è incontrato con ZENIT per parlare, tra le altre cose, delle difficoltà nel comprendere e applicare l’insegnamento sociale cattolico, dell’importanza della solidarietà e del lavoro cruciale portato avanti dalla Santa Sede presso le Nazioni Unite.
In quanto capo del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, lei deve affrontare temi molto variegati, dall’economia all’ambiente. Quali sono le sue principali fonti di ispirazione nell’affrontare questo compito?
Cardinale Turkson: Sostanzialmente ho tre fonti principali. La prima è lo stesso Papa Benedetto, che è, appunto, il motivo per cui sono a Roma. Ho chiesto a lui quale sia la visione e gli obiettivi che lui vede per questo Ufficio, perché la natura del mio lavoro è di sostenere la visione del Papa.
La seconda è il mio lavoro come Pastore, che ho svolto prima di arrivare a Roma. La mia esperienza pastorale costituisce un punto di riferimento e una fonte particolarmente ricca per il mio lavoro.
Ho assunto la guida di questo Ufficio con molti sentimenti propri di un pastore: essere creativo, innovativo e mostrare iniziativa in qualunque situazione mi trovi.
La terza fonte d’ispirazione è la mia formazione biblica. Ogni cosa concernente l’applicazione della nostra fede deriva, in ultima analisi, dalle Scritture. La considero una preparazione molto utile.
Non mi sono mai dedicato in modo particolare allo studio della dottrina sociale della Chiesa. Non ne ho fatto oggetto di studi accademici e l’ho approfondita solo per ciò che mi era necessario nel mio lavoro pastorale. Quindi, un grande sostegno nel mio lavoro viene dal considerare la base spirituale di tutto ciò che avviene.
Qual è la visione di Benedetto XVI sul suo Ufficio?
Cardinale Turkson: Il mio incontro con lui è avvenuto dopo il Sinodo sull’Africa. Durante il Sinodo, il Santo Padre ha detto che nel nostro lavoro dobbiamo saper distinguere tra l’azione pastorale e l’azione politica. Tutto ciò che facciamo deve essere in linea con l’azione pastorale.
Per esempio, nella situazione africana, tutte le importanti questioni relative allo sviluppo umano, in qualche modo riguardano il Governo, ma dobbiamo pensare alla situazione pastorale.
L’approccio alle soluzioni politiche deve essere in linea con ciò che intendiamo per Chiesa come famiglia di Dio.
Chiunque conosca la vita dei vescovi o dei preti in zone di missione sa che non si tratta solo di essere un pastore o un amministratore, si tratta di indossare molti cappelli: quello da architetto, da consigliere economico, da progettista.
Questo significa che noi come Pastori dobbiamo sviluppare un forte senso dell’innovazione, della creatività e dell’iniziativa. E il nostro lavoro presso il Pontificio Consiglio deve assumere le stesse caratteristiche.
Il Pontificio Consiglio della giustizia e della pace è uno dei molti dipartimenti del Vaticano che, in quanto tali, devono essere in linea con il Papa. Quando si rappresenta il Papa, si deve parlare come parlerebbe lui.
Negli Stati Uniti c’è molta confusione sul termine “giustizia sociale”, in quanto alcuni lo considerano una virtù o un’azione umanitaria, mentre altri sostengono che debba essere del tutto abbandonato perché è stato distorto e requisito dagli attivisti della sinistra. Ci può chiarire l’esatto significato di “giustizia sociale”?
Cardinale Turkson: In definitiva, la giustizia sociale è propria della fede e della dottrina della Chiesa. Un gruppo di studiosi, è venuto recentemente a Roma, dagli Stati Uniti, per visitarci e per parlare dell’ultima enciclica.
Da subito è emerso con chiarezza che determinati termini come solidarietà non sono apprezzati dagli americani e sono difficili da tradurre. Ma esiste una certa esperienza di apprendimento che è utile.
Così come facciamo per ogni studio letterario, è sempre bene tenere in considerazione l’autore e il suo punto di partenza.
Dobbiamo comprendere il punto di vista dell’autore e ciò che lui pone sul tavolo. Certi termini e concetti potrebbero non essere apprezzati se non vengono considerati da quella prospettiva.
Per quanto riguarda l’espressione giustizia sociale, è stata usata di frequente durante il Sinodo per l’Africa.
Bisogna prima considerare il termine giustizia e poi aggiungervi l’aggettivo sociale. A quel punto si può vedere dove questa espressione ci porta. Credo che questo sia utile per comprendere il senso di questa espressione.
La giustizia può essere considerata come la necessità di rispettare le esigenze di qualunque rapporto in cui siamo coinvolti.
Quando io rispetto la mia controparte, posso stare certo di essere giusto. Questo è vero per il mio rapporto con Dio ed è vero per il rapporto tra marito e moglie, studente e insegnante, datore di lavoro e lavoratore.
Le esigenze di ogni rapporto, le aspettative delle parti coinvolte, costituiscono terreno di giustizia. Detto questo, se noi traduciamo questo nell’ambito sociale, significa semplicemente che consideriamo una serie di rapporti e di aspettative tra i membri della società.
In questo senso, non si tratta di un tema conservatore o progressista. Consideriamo le esigenze di determinati rapporti in cui siamo coinvolti, in termini di giustizia.
Dobbiamo fare attenzione a non rimanere troppo teorici. Esiste un rapporto tra il legislatore e il cittadino, tra il falegname e l’operaio, tra i capi e i dipendenti di un’azienda, che deve essere portato avanti e rispettato.
La giustizia sociale non riguarda tanto la redistribuzione o il fare in modo che le classi socialmente più elevate aiutino quelle più basse.
Il punto di partenza è riconoscere il senso di giustizia nei rapporti e prendere questo come guida. Se prendiamo questo come riferimento, diventa più facile comprendere meglio l’espressione utilizzata.
Bisogna guardare alla giustizia sociale in termini relazionali.
Negli Stati Uniti, esiste una polarizzazione nel modo in cui i cattolici impegnati in politica interpretano e applicano l’insegnamento sociale della Chiesa. Per esempio, alcuni credono che tutti i problemi sociali debbano essere risolti in ambito privato dagli individui, da organizzazioni o da soggetti non governativi. Secondo altri lo Stato dovrebbe mettere mano
suquasi tutti i problemi della società. Un esempio è l’accesso di tutti i cittadini all’assistenza sanitaria di base. A cosa è dovuta, secondo lei, questa polarizzazione?
Cardinale Turkson: Potrebbe esserci una lieve asimmetria tra l’insegnamento del Papa e la realtà della particolare situazione che si vive negli Stati Uniti.
Non so se la riforma sanitaria sia un tentativo di dare attuazione al pensiero del Papa in questo senso.
La situazione può forse essere connessa con la presenza di due campi politici in questo Paese. Potrebbe avere la sua propria ermeneutica.
Se si pensa al carattere comunitario dell’insegnamento del Santo Padre, questo si basa sull’antropologia cristiana della persona. La persona è creata per essere parte di una famiglia. La famiglia è il punto di partenza della concezione del Papa sulla persona.
Le persone appartengono a una famiglia. Ma la fraternità è un concetto che non è ben compreso qui.
Essendo membri di una famiglia noi siamo in un certo senso tutti fratelli e sorelle. È questo il punto di partenza comunitario. Possiamo perseguire iniziative individuali, ma in base al punto di partenza originario dobbiamo essere consapevoli di non pover trascurare i nostri fratelli.
In questo contesto si applica la logica del dono illustrata dal Santo Padre.
Noi non trascuriamo i nostri fratelli perché riconosciamo cosa è la persona: un essere creato a immagine e somiglianza di Dio. La nostra solidarietà con tutti gli uomini è espressione dell’amore di Dio Padre per tutti noi.
La persona deve imitare l’amore che Dio ha per noi. Dobbiamo diventare amore o dono per gli altri.
Il senso è che la persona umana deve appartenere a una famiglia. La solidarietà è il fondamentale punto di partenza: la fratellanza umana sotto la paternità di Dio.
Non so se la discussione politica nella società americana ha questo stesso punto di partenza.
Per questo motivo, la missione è quella di far adottare come punto di partenza questa concezione della persona umana e questa necessità di solidarietà. Dobbiamo usare la dottrina sociale della Chiesa come mezzo di evangelizzazione. Dobbiamo condividere questo con i non cristiani.
Qualsiasi normativa che viene adottata deve essere espressione di solidarietà, espressione della natura dell’amore di Dio e della gratuità con cui Dio ci ama e ci tratta.
[Mercoledì 10 novembre, la seconda parte dell’intervista]