Eucaristia per la vita quotidiana

Il Card. Scola apre a Fabriano la 61ma Settimana liturgica nazionale

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ROMA, lunedì, 23 agosto 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito ampi stralci della relazione pronunciata dal Cardinale Angelo Scola, Patriarca di Venezia, nell’aprire a Fabriano la 61ma Settimana liturgica nazionale sul tema “Eucaristia e condivisione. ‘Dacci oggi il nostro pane quotidiano’ (Matteo 6, 11)” che si concluderà il 27 agosto.

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Nel titolo della relazione — Eucaristia per la vita quotidiana — introduttiva ai lavori della sessantunesima Settimana liturgica nazionale, la preposizioneper che unisce le due parti apre una strada feconda di riflessione. Il per dice, infatti, l’intrinseco dono dell’evento salvifico di Gesù Cristo fatto agli uomini. Egli, infatti, si è fatto uno come noi, in tutto simile tranne che nel peccato, è morto e risorto e ha donato il Suo Spirito, per noi e per la nostra salvezza.

Ma perché possa emergere in tutta la sua potenza il valore di questo per come trait d’union tra l’Eucaristia e la vita quotidiana, è necessario dire una parola su entrambi questi termini: Eucaristia e vita quotidiana.

Con un’espressione icastica, Benedetto xvi si è riferito al Santissimo Sacramento affermando: «L’Eucaristia è Cristo che si dona a noi, edificandoci continuamente come suo corpo» (14). In modo geniale vengono qui indicati gli elementi essenziali della teologia eucaristica: il suo essere celebrazione sacramentale (Eucaristia), la presenza reale (Cristo), il sacrificio (si dona — tradens), la Chiesa come res sacramenti (suo corpo). Inoltre l’uso dei participi presenti — tradensaedificans — dice l’immediato riferimento all’altro termine del nostro titolo: il quotidiano, cioè, l’hic et nunc. Ed in esso trova oggettiva collocazione il tema della radice eucaristica della condivisione, messo a titolo di questa sessantunesima Settimana Eucaristica Nazionale. Questa poi ha voluto esplicitamente collegarsi all’ormai imminente Congresso Eucaristico Nazionale il cui significativo titolo recita: «Signore da chi andremo? L’Eucaristia per la vita quotidiana».

Una riflessione organica sull’Eucaristia non potrà dimenticare nessuno di questi elementi fondamentali. Anzi, è possibile affermare che le distorsioni riscontrabili lungo i secoli, nella teologia e nella prassi eucaristica, potrebbero essere descritte a partire dall’esame delle verità a essa relative che sono state trascurate. Così, senza la pretesa di essere esaustivi, possiamo riconoscere che dimenticare la dimensione liturgico-sacramentale condurrebbe inevitabilmente a disincarnare il rapporto con Cristo. Non parlare della presenza reale equivarrebbe a confinare la specificità dell’evento cristiano nelle strette maglie di una generica religiosità. Dimenticare la dimensione sacrificale sradicherebbe l’Eucaristia dalla singolare missione redentrice di Gesù. O, infine, trascurare che la res sacramenti è la Chiesa e la sua unità, sfocerebbe nella riduzione individualistica del cristianesimo.

L’Eucaristia, quindi, in forza della sua propria e specifica integralità, deve essere per la vita quotidiana.

Cosa dire, ora, sull’espressione «vita quotidiana»? Essa si presenta in modo molto più complesso di quanto a prima vista si potrebbe pensare.

Innanzitutto occorre affermare che tale espressione si riferisce all’esperienza della vita comune propria di tutti gli uomini. Se si è precisi, infatti, il succedersi degli istanti non costituisce vita quotidiana né per il mondo inanimato, né per quello animale. Il quotidiano esige che il soggetto protagonista ne sia consapevole, possa riconoscerlo come tale. Pertanto l’espressione «vita quotidiana» dice qualcosa di specificamente umano. Parliamo della vita, ciò in cui tutti noi, per il fatto di essere uomini e donne, siamo immersi. Il quotidiano è l’humanum in sé e per sé.

In secondo luogo parlare di vita quotidiana significa primariamente riferirsi alla dimensione del tempo come costitutiva dell’umana esperienza dell’esistenza. L’etimologia di «quotidiano» ci rimanda all’avverbio latino quotidie, di ogni giorno. Esso da una parte ci richiama la dimensione del presente: è quotidiano ciò che è oggi. Dall’altra ci ricorda la dimensione della continuità: è quotidiano ciò che è di ogni giorno. Le due dimensioni, presente e continuità, ci permettono di identificare le costanti dell’esperienza umana che, riproponendosi in ogni tempo e in ogni luogo, ci fanno appunto parlare di «vita quotidiana».

Possiamo indicarne almeno due: gli affetti e il lavoro, cui aggiungeremo qualche considerazione decisiva sul sacrificio. A partire da queste costanti, e da tutto ciò che in esse è implicato (fecondità, dono di sé, riposo, edificazione sociale, sofferenza, condizione di prova…), può essere descritta la vita quotidiana degli uomini.

La «vita quotidiana»,  in quanto espressione propriamente umana, si gioca, innanzitutto, nell’esperienza che ogni uomo fa, e non può non fare, del tempo.

Il tempo, come sappiamo, è rilevabile dall’uomo anzitutto nel presente. Occorre, tuttavia, affermare che non è possibile parlare di presente fuori dalle dimensioni del passato e del futuro. Infatti, possiamo parlare di presente solo perché sta in relazione con quanto è già avvenuto e con quanto deve ancora accadere. E proprio in questo doppio intrinseco riferimento il presente trova la sua consistenza. Da questa insuperabile connessione tra presente, passato e futuro si evince che così come il presente è l’ambito specifico della libertà, il passato lo è della memoria e il futuro della speranza. Memoria, libertà e speranza esprimono un io in cammino, individuano cioè un uomo che, dall’origine (passato), possiede una sua effettiva consistenza (presente), ma che ancora si trova sulla strada del compimento definitivo (futuro).

In che modo l’Eucaristia illumina l’esperienza che inevitabilmente l’uomo fa del tempo a cui, con rapidissimi tratti, abbiamo accennato?

Anzitutto occorre ricordare che il presente eucaristico, il nostro partecipare alla santa messa, sta sotto una precisa ingiunzione di nostro Signore: «Fate questo in memoria di me» (Luca, 22, 19). La «ripetizione» dell’azione eucaristica (che non va mai confusa con la ripetitività) è un dato liturgico di primissimo ordine che sta alla radice non solo del ritmo celebrativo domenicale, ma anche di quello feriale. Essa è legata al mistero della presenza reale di Cristo, mistero sacramentale che assicura la contemporaneità del Crocifisso Risorto a ogni uomo di ogni tempo.

In secondo luogo, non possiamo dimenticare la natura di memoriale propria del sacramento eucaristico.

Questo radicamento dell’evento eucaristico nella storia provoca la libertà del fedele al riconoscimento del dono che la precede e la costituisce: l’Eucaristia, come afferma Benedetto xvi, dice «la precedenza non solo cronologica ma anche ontologica del suo averci amati “per primo”. Egli è per l’eternità colui che ci ama per primo» (Sacramentum caritatis, n. 14).

Se consideriamo la rilevanza antropologica dell’Eucaristia nelle dimensioni essenziali dell’esperienza umana dobbiamo prendere in considerazione l’ambito degli affetti.

Con questo vocabolo intendo indicare i cardini costitutivi dell’amore nell’umana esperienza.

Innanzitutto la dimensione del corpo e, quindi, della differenza sessuale. La vita quotidiana è inevitabilmente vissuta da ciascuno di noi nel suo proprio corpo, interamente maschile o femminile, e ogni azione e passione esprimono sempre un io situato nella differenza sessuale.

Alla considerazione del corpo sessuato la nostra umana esperienza lega immediatamente la dimensione del desiderio, quindi dell’attrazione che l’altro esercita sull’io e, pertanto, dell’uscita da sé, della strada verso il dono di sé. È la strada dell’amore, inscindibile intreccio di eros e agape.

A
nessuno di noi sfugge il livello di confusione in cui queste dimensioni fondamentali dell’avventura umana vengono oggi vissute e, ciò che è più grave, proposte dalla cultura dominante. La pretesa di poter prescindere dalla differenza sessuale e, contemporaneamente, un’esaltazione astratta del corpo, la separazione di amore e fecondità — o perché si cerca un preteso sterile dono di sé o perché si vuol essere fecondi senza consegna di sé —, l’orizzonte assai inquietante della clonazione umana che abolirebbe l’esperienza originaria della paternità-figliolanza… e l’elenco potrebbe continuare.

Di fronte a tutti questi elementi che rendono il travaglio del nostro tempo particolarmente doloroso e che, senz’altro, lasceranno non poche ferite, l’Eucaristia ha qualcosa da dirci?

Benedetto xvi, nel numero 27 di Sacramentum caritatis, risponde affermativamente a questa domanda: «L’Eucaristia, sacramento della carità, mostra un particolare rapporto con l’amore tra l’uomo e la donna, uniti in matrimonio. Approfondire questo legame è una necessità propria del nostro tempo».

Per farlo è opportuno partire da un dato: l’Eucaristia è il Corpo del Signore. La modalità con cui Gesù ha voluto rendersi permanentemente presente alla libertà degli uomini è stata quella di farli prendere parte al dono del Suo Corpo e al Suo Sangue: la comunione. Ma parlare del Corpo del Signore — a un tempo l’Eucaristia e la Chiesa (la communio eucaristica e quella ecclesiale) — implica riconoscere il legame che esiste, nella Sacra Scrittura e quindi nella riflessione teologica, tra il linguaggio somatologico (del corpo) e quello nuziale.

Così, attraverso la partecipazione quotidiana all’Eucaristia, i fedeli vengono educati all’esperienza del «bell’amore». Nell’Eucaristia il Corpo del Signore viene loro amorosamente offerto sempre come l’Altro gratuitamente donato.

Una seconda dimensione che caratterizza l’esperienza elementare di ogni uomo, vissuta nella vita quotidiana, è il lavoro. L’ambito del lavoro esprime la capacità di interagire con la realtà, in tutte le sue dimensioni, ivi comprese quelle economica e socio-politica.

Infatti, nel suo rapporto con la realtà, l’uomo impegna la propria capacità creativa per edificare la vita sociale in tutti i soggetti personali e comunitari che la costituiscono, cominciando da quelle più prossime. Basti pensare, ad esempio, alla necessità di «lavorare per mangiare» (cfr. Seconda lettera ai Tessalonicesi, 3, 10). Questo dato elementare — l’uomo lavora per guadagnarsi il pane — rivela, a uno sguardo attento, l’intreccio di una serie di rapporti e fattori non privi di una certa complessità.

Come l’Eucaristia può illuminare tutti questi elementi riferiti al lavoro inteso in questo senso largo come fattore costitutivo della vita quotidiana?

L’Eucaristia è sempre azione eucaristica  (tutta la teologia del rito viene qui chiamata in causa). Certamente il soggetto proprio, il protagonista di questa azione eucaristica è lo stesso Cristo Signore. E proprio per questo possiamo dire che l’Eucaristia è, nel presente della Chiesa, il compimento permanente delle parole di Gesù: «Pater meus usque modo operatur, et ego operor — Il Padre mio agisce anche ora e anch’io agisco» (Giovanni, 5, 17). Ma, come ben sappiamo, l’opera del Padre e del Figlio coinvolge, nello Spirito, la libertà degli uomini, li rende co-agonisti dell’azione eucaristica (ministri e assemblea). Infatti l’Eucaristia è azione nella forma del dono e questo chiede sempre una libertà che lo accolga, che si metta in rel-azione e riceva quanto le viene offerto gratuitamente. In questo modo, nell’azione eucaristica, l’uomo impara quotidianamente anche in cosa consista la verità del suo agire, perciò anche del suo lavoro. Il suo agire non è mai come l’agire del Creatore, ma è sempre un co-agire, un agire che è rel-azione e in quanto tale non si può attuare in modo autonomo rispetto a ciò che lo precede: la realtà in tutta la sua alterità. L’Eucaristia è quella azione paradigmatica che precede e provoca l’azione dell’uomo.

In secondo luogo, vale la pena soffermarsi sull’Eucaristia in quanto communio. La celebrazione eucaristica è invito a partecipare al Corpo e al Sangue del Signore senza limiti di parentela o affinità. Nella comunione eucaristica siamo fatti uno in Cristo Gesù, ogni divisione viene superata e l’io personale incontra il proprio compimento nella comunità. La comunione fa di noi una cosa sola, senza che nessuno debba rinunciare alla propria identità. Nulla è più lontano dalla comunione cristiana dell’annullamento dell’io nel collettivo. Così l’Eucaristia diventa scuola di vita perché è dono offerto contemporaneamente a tutti — dimensione universale della communio christifidelium — e a ciascuno personalmente: nessuno, infatti, si può comunicare al mio posto! Nello stesso tempo, l’amore eucaristico (agape per eccellenza) compie l’esigenza di giustizia, come ben mostra la necessità di essere riconciliati con Dio per poter ricevere la comunione. Nell’Eucaristia le esigenze della giustizia vengono accolte dall’orizzonte più compiuto della carità, mostrando in questo modo la potenza edificatrice della carità nello scrupoloso rispetto dell’ordine giusto.

Per dare conto dell’importanza decisiva dell’Eucaristia nella vita quotidiana dobbiamo fare riferimento ad un dato che, tra l’altro, fa parte dell’essenza del sacramento. Mi riferisco alla condizione di sacrificio che costituisce una costante dell’esperienza elementare degli uomini. Possiamo tentare di descrivere sommariamente questa condizione a partire da alcune considerazioni sintetiche.

La prima l’abbiamo già enunciata proprio parlando del sacrificio come condizione. Il termine «condizione» situa immediatamente la realtà del sacrificio come punto di passaggio, evitando dall’origine di confonderlo con la meta o il fine del cammino. Passando ora al secondo livello implicato nel sacrificio come condizione, l’esperienza storica dell’uomo non è segnata solo da una libertà creata, bensì anche da una sua cattiva autodeterminazione. Mi riferisco, ovviamente, al peccato. Davanti all’inevitabile dinamica del sacrificio, l’umana libertà si ribella e si oppone, giungendo fino a determinarsi al male.

In che modo l’Eucaristia illumina il sacrificio come condizione della vita quotidiana in entrambi questi aspetti? Non possiamo dimenticare che il Corpo e il Sangue del Signore offerti come alimento per il cammino, sono sempre il «Corpo offerto in sacrificio per voi» e «il Sangue sparso versato per voi e per tutti», sono la Pasqua del Signore. In questo modo, la morte di Cristo quale passaggio verso la risurrezione assume in sé ogni possibile sacrificio, e fa sì che la croce nella vita dell’uomo sia, per quanto dolorosa, soltanto una condizione. Nella potenza salvifica del Redentore persino il peccato, se riconosciuto, perde la sua sembianza di morte.

La Chiesa non cessa di obbedire quotidianamente al comando del Suo Signore: «Fate questo in memoria di me» (Luca, 22, 19). Ai cristiani, soprattutto oggi, è chiesto di non ridurre questo comando a puro pretesto da lasciare alle spalle nella vita quotidiana, cadendo in quella separazione tra fede e vita denunciata con forza straordinaria già da Paolo vi. In ogni circostanza, in ogni rapporto, la presenza eucaristica di Cristo deve brillare come l’Evento che spalanca al desiderio di Dio.

[L’OSSERVATORE ROMANO – Edizione quotidiana – del 23-24 agosto 2010]

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ZENIT Staff

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