ROMA, mercoledì, 21 luglio 2010, (ZENIT.org).- Di fronte al prevalere degli interessi individuali nella gestione della cosa pubblica la Chiesa è chiamata a rimettere al centro il bene comune, come criterio di ogni interazione sociale e istituzionale.

Lo ha detto mons. Mariano Crociata, Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), intervenendo il 20 luglio a un Corso breve di pastorale integrata per seminaristi dal titolo “Educare le relazioni”, tenutosi a Sebato-Brunico (BZ).

Nel suo intervento il presule ha esplorato diverse piste di riflessione da cui partire per costruire fecondi cammini educativi: dal confronto con la cultura di oggi alle istanze dell’affettività, alla responsabilità per la società.

Affrontando il tema della cittadinanza, mons. Crociata ha osservato che in questo ambito si constata come “la gestione della cosa pubblica spesso appare condotta nei termini dettati dalla sola razionalità tecnica e calcolante, scevra da ogni sensibilità di tipo etico o valoriale, incapace di coniugare la considerazione degli interessi, delle esigenze organizzative ed economiche [...] con l’attenzione alla persona come vero termine ultimo di riferimento e fine di ogni attività economica, sociale e politica”.

Dall’altro lato, ha continuato, “il ripiegamento prodotto da una esasperazione dell’individualismo estetico conduce molti di quanti non sono direttamente impegnati nella gestione della cosa pubblica e nell’organizzazione sociale, al disinteresse per il bene comune, all’indifferenza nei confronti delle conseguenze del proprio agire sulla collettività, all’estraneazione nei confronti di ogni forma di responsabilità sociale”.

“In questo modo – ha affermato il Segretario generale della CEI –, anche nel rispetto della legalità, tutto l’impegno finisce con il concentrarsi nella cura dei propri interessi individuali e con l’esaurirsi nella chiusura in un privato che estranea dalla collettività e allo stesso tempo sottrae ad essa apporti significativi”.

“C’è nondimeno – ha proseguito –, in questa logica individualistica e privatizzante, una tendenza sottile all’illegalità quando l’estraneazione progressivamente arriva a forme di auto-giustificazione di una distanza di fronte a una realtà percepita come ostile. In ogni caso ci troviamo di fronte ad un elemento che erode dall’interno la compagine sociale e il tessuto di relazioni su cui si regge la convivenza”.

In questo contesto, ha affermato ancora il presule, “una predicazione e una pratica cristiana centrate su un vago senso del volersi bene, e sulla trasmissione di un valore consolatorio del rapporto religioso, hanno facilmente assecondato una tendenza alla indulgenza nei confronti di tutti i comportamenti poco o molto irresponsabili nei confronti del bene comune”.

Al contrato, ha sottolineato, “l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa deve inverarsi in credenti e in istituzioni ecclesiali che mettono il bene comune al centro”.

“Cammini educativi – ha continuato – possono allora diventare anche proposte di studio e di riflessione, magari mirate a formare cittadini attivi, che attingono alla fede il senso di un servizio al bene comune capace di testimoniare la forza motivante e trasformante della fede e della presenza ecclesiale anche in questo ambito della vita”.

“Un aspetto specifico di questo compito tocca il passaggio di singoli fedeli dalla formazione e dall’esperienza ecclesiale all’assunzione di responsabilità politiche – ha detto –. In questo caso si tratta di vigilare perché, senza smettere di accompagnare il cammino credente di chi è chiamato a tale servizio, la comunità ecclesiale non si ritrovi da una parte sola di quel gioco di interessi che è sempre la politica, nel suo cercare da ottiche specifiche e spesso opposte il bene di tutti”.

“Tocca infatti alla comunità cristiana – ha concluso – il compito di ricordare e accompagnare la ricerca del bene comune non a partire da una componente politica soltanto, ma facendo sentire la propria presenza e conservando la propria libertà di giudizio e di iniziativa nei confronti di tutti, per un bene sempre più vasto e condiviso”.