I cristiani a Damasco lottano per la sopravvivenza

Intervista all’arcivescovo Samir Nassar

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DAMASCO, lunedì, 19 luglio 2010 (ZENIT.org).- Il Cristianesimo a Damasco risale a tempi precedenti a quelli di San Paolo. Eppure la piccola comunità attuale lotta per la sua sopravvivenza.

Proprio perché la Chiesa è una minoranza così ristretta in terra musulmana, i cristiano rischiano di uscire dal loro contesto culturale, spiega l’arcivescovo di Damasco Samir Nassar.

Il presule, che ha compiuto 60 anni il 5 luglio scorso, serve la Chiesa locale dal 2006.

In questa intervista rilasciata al programma televisivo “Where God Weeps”, realizzato da Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre, l’arcivescovo parla delle difficoltà che la Chiesa di Damasco affronta, ma anche dei suoi motivi di speranza.

Damasco, sede del suo arcivescovato, è una città nel cuore del Cristianesimo, dove San Paolo ha perso la vista per poi recuperarla. Ci può parlare della situazione attuale dei cristiani a Damasco?

Monsignor Nassar: La Siria è un Paese cristiano molto antico. In Siria esistevano 33.000 chiese. Era un Paese a maggioranza cristiana e dove vi sono ancora molti luoghi cristiani importanti. Abbiamo molte chiese cristiane che sono ancora molto vive. I cristiani in Siria non sono degli ospiti. Hanno lì le loro radici, dove hanno vissuto gomito a gomito con i musulmani sin dal VII secolo.

Il Cristianesimo era quindi profondamente radicato in Siria ben prima dell’Islam. Il Cristianesimo esisteva a Damasco prima ancora di San Paolo, perché San Paolo è stato battezzato e gli è tornata la vista proprio a Damasco.

Come vivono oggi i cristiani in Siria?

Monsignor Nassar: Abbiamo tre tipi di Chiese. Anzitutto abbiamo le Chiese monofisite: sono quella ortodossa siriaca e quella ortodossa armena e hanno il loro patriarca che vive a Damasco. Poi abbiamo la Chiesa greco-ortodossa, la Chiesa più grande in Siria, e poi abbiamo molte Chiese cattoliche e certamente alcune Chiese protestanti.

Tutte queste Chiese sono molto antiche, salvo quelle protestanti che sono arrivate nell’ultimo secolo. Le altre Chiese risalgono all’epoca dei primi apostoli. Io appartengo alla Chiesa maronita che è stata fondata nel V secolo da San Marone, un monaco che viveva in un luogo tra Aleppo e Antiochia.

I primi mille anni siamo stati in Siria, poi ci siamo trasferiti sui monti libanesi, e da lì adesso siamo ovunque: dall’Australia all’America. Più della metà della popolazione si trova fuori dal Medio Oriente.

Torniamo in Siria. Qual è percentuale cristiana in questo paese?

Monsignor Nassar: Ufficialmente siamo tra l’8% e il 10%. Alcuni dicono tra il 4% e il 5%. Siamo una minoranza. Dovremmo essere più o meno un milione di persone, in una popolazione di 21 milioni.

Quali sono le altre tradizioni religiose in Siria oltre a quelle cristiane?

Monsignor Nassar: Esiste l’Islam sunnita, o Islam ortodosso se vuole, che rappresenta quasi l’80%, e l’altro tipo di Islam chiamato alauita [gli alauiti sono il gruppo religioso minoritario più importante in Siria e si considerano una setta dell’Islam sciita. Gli alauiti si distinguono dalla setta religiosa degli aleviti turchi, anche se ne condividono un’origine comune, ndr], che è il 10%, mentre il resto sono cristiani.

Come descriverebbe attualmente il rapporto tra cristiani e musulmani in Siria?

Monsignor Nassar: Abbiamo vissuto insieme per 1.400 anni. Alcune volte abbiamo avuto problemi, però abbiamo vissuto insieme e continuiamo a vivere insieme. Nel mio vescovato di Damasco ho una moschea proprio accanto alla mia residenza, da cui ascolto le loro preghiere e loro possono ascoltare le nostre. Coesistiamo nel quotidiano.

Lei ha contatti personali con gli imam e gli altri rappresentanti?

Monsignor Nassar: Sì, certamente, in molte occasioni. Vengono da noi per Natale e Pasqua e noi rendiamo loro visita durante l’Ashura o il Ramadan o l’Id al-fitr. Siamo veramente una famiglia.

Perché la tolleranza verso i cristiani in Siria si è conservata, mente in ogni altra parte della regione, come in Iraq e in altri Paesi, il rapporto tra musulmani e cristiani si è deteriorato?

Monsignor Nassar: Si è conservata grazie al Governo che si prende cura delle minoranze. Non permettono che sorgano problemi tra musulmani e cristiani. Il Governo svolge un ruolo molto importane in questo e ha avuto successo.

Quali sono le sfide della Chiesa in Siria, essendo una minoranza in un contesto di predominio musulmano?

Monsignor Nassar: Siamo una minoranza molto piccola – tra il 5% e l’8% – e questa è la sfida principale. Siamo veramente pochi, in una società a predominanza musulmana.

I musulmani non ci costringono alla conversione, ma se una famiglia cristiana vive, per esempio, in un edificio con 12 famiglie musulmane, i figli giocano con i loro figli, vanno a scuola con i loro figli e, poco a poco, imparano più della fede musulmana che di quella cristiana. Stiamo perdendo terreno perché siamo pochi numericamente e non riceviamo un appoggio locale sufficiente per rimanere uniti, per rafforzare la nostra fede, insegnare ai nostri figli e conservarli nelle nostre Chiese locali.

I bambini cristiani vanno alle scuole locali, a maggioranza musulmana, imparano il Corano e l’Islam. Diventano quindi musulmani?

Monsignor Nassar: Poco a poco prendono confidenza con il Corano e con Maometto, più che con Gesù Cristo. Noi gli diamo un’ora di catechismo, ma dobbiamo mandare un autobus o una macchina per andarli a prendere e per riaccompagnarli. Talvolta vengono, altre volte no, e un’ora di catechismo non è sufficiente. Così dobbiamo cercare il modo per conservare viva la nostra Chiesa in questa terra della Bibbia.

Se una giovane si vuole sposare con un musulmano si deve convertire?

Monsignor Nassar: Sì. È un problema. Lo stesso avviene se un cristiano si vuole sposare con una ragazza musulmana: si deve convertire. È una legge molto antica e non può essere cambiata. Nessuno obbliga il ragazzo a sposarsi con una musulmana, ma il 95% delle ragazze sono musulmane e solo il 5% sono cristiane; c’è più scelta tra il 95%, e così perdiamo cristiani anche in questo modo.

Come va la questione della conversione? Avete musulmani che vengono alle chiese cattoliche maronite interessati a convertirsi? Come risponderebbe a questo tema della conversione, dato che nell’Islam la conversione è punita con la morte?

Monsignor Nassar: Questo è fanatismo. Molti musulmani vengono alla nostra Chiesa, imparano il catechismo, seguono i nostri incontri, ma non possono battezzarsi. Possono essere cristiani, se vogliono, nel loro cuore, ma non possono mostrarlo.

Sono quindi… cristiani clandestini?

Monsignor Nassar: Non possono mostrarlo. Noi li riceviamo a cuore aperto e alcuni vengono a messa quotidianamente, agli studi sulla Bibbia e al catechismo. Vengono, ma devono rimanere, esteriormente, musulmani.

Occorre quindi molta attenzione: quando un giovane viene da lei e desidera convertirsi, come gestisce lei la situazione?

Monsignor Nassar: Posso riceverlo, ma non posso battezzarlo, se no avrei problemi con il Governo… Ma è una Chiesa felice. Non siamo molti, siamo una piccola Chiesa, ma molto attiva e dinamica e abbiamo una vita ecumenica molto bella.

Lavoriamo insieme. A Damasco siamo nove vescovi: cinque ortodossi e quattro cattolici. Ci riuniamo una volta al mese per condividere il nostro lavoro pastorale, per pregare insieme e organizzare il nostro lavoro. Va molto bene. In chiesa, quando la gente viene a Messa, non sono solo cattolici: alcuni sono ortodossi e altri cristiani; e anche la mia gente va a Messa alla chiesa ortodossa, e questo ci rende quasi una famiglia.

Cosa sarebbe del Medio Oriente senza la Siria? Nel senso che la Chiesa cattolica in Iraq sta scomparendo rapidamente e così
anche in tutto il Medio Oriente salvo che in Libano. Ma anche in Libano i giovani se ne stanno andando…

Monsignor Nassar: Se consideriamo il Medio Oriente, vediamo la guerra tra Turchia e Kurdistan, la guerra in Iraq, la guerra tra palestinesi e Israele, e la guerra in Libano. La Siria è l’unico Paese pacifico della zona. È per questo che vengono tutti in Siria, perché è l’unico luogo pacifico in cui vivere, lavorare, pregare e imparare; è una città universitaria. Senza la Siria, la maggioranza della gente abbandonerebbe il Medio Oriente, se ne andrebbe, emigrerebbe.

Ha speranze per la Chiesa?


Monsignor Nassar: Devo averne. Siamo la Chiesa della speranza. Non possiamo essere pessimisti. Questa è la nostra fede, che ci chiama ad essere martiri. Ho visto alcuni cristiani iracheni che sono felici nonostante la persecuzione. Gesù Cristo, dopo tutto era un rifugiato, un martire, e questo mi dà la forza per avere fede in questo mondo, ed è molto bello dimostrare quanto sia importante rimanere qui.

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Questa intervista è stata condotta da Marie-Pauline Meyer per “Where God Weeps”, un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l’organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.

Per maggiori informazioni: www.WhereGodWeeps.org

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ZENIT Staff

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