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Il Codice di Diritto Canonico promulgato dal Papa Benedetto XV nel 1917 riconosceva l’esistenza di un certo numero di reati canonici o “delitti” riservati alla competenza esclusiva della Sacra Congregazione del Sant’Uffizio, che, in quanto tribunale, era governata da una legge propria (cfr. can. 1555 CIC 1917).
Pochi anni dopo la promulgazione del Codice del 1917, il Sant’Uffizio emanò un’Istruzione, la “Crimen Sollicitationis” (1922), che dava istruzioni dettagliate alle singole Diocesi e ai tribunali sulle procedure da adottare quando si dovevano trattare il delitto canonico di sollecitazione. Questo gravissimo delitto riguardava l’abuso della santità e della dignità del Sacramento della Penitenza da parte di un prete cattolico, che sollecitasse il penitente a peccare contro il sesto comandamento, con il confessore o con una terza persona. La normativa del 1922 aveva lo scopo di aggiornare alla luce del nuovo Codice di Diritto Canonico le indicazioni della Costituzione Apostolica “Sacramentorum Poenitentiae” promulgata dal Papa Benedetto XIV nel 1741. Si dovevano considerare diversi elementi che vanno a sottolineare la specificità della fattispecie (con risvolti meno rilevanti dal punto di vista del diritto penale civile): il rispetto della dignità del sacramento, l’inviolabilità del sigillo sacramentale, la dignità del penitente e il fatto che in molti casi il prete accusato non poteva essere interrogato su tutto quello che fosse capitato senza mettere in pericolo il sigillo sacramentale. Questa procedura speciale, perciò si basava su un metodo indiretto di raggiungere la certezza morale necessaria per giungere ad una decisione definitiva sul caso. Questo metodo indiretto includeva di indagare sulla credibilità della persona che accusava il prete e la vita e il comportamento del prete accusato. L’accusa stessa era considerata come una delle accuse più gravi che si potevano muovere contro un prete cattolico. Perciò, la procedura ebbe cura di assicurare che il prete che poteva essere vittima di un’accusa falsa o calunniosa venisse protetto dall’infamia finché non si provasse la sua colpevolezza. Ciò venne garantito dalla stretta riservatezza della procedura stessa, intesa a proteggere da un’indebita pubblicità tutte le persone coinvolte, fino alla decisione definitiva del tribunale ecclesiastico.
L’Istruzione del 1922 includeva una breve sezione dedicata ad un altro delitto canonico: il crimen pessimum, che trattava della condotta omosessuale da parte di un chierico. Questa ulteriore sezione determinava che le procedure speciali per i casi di sollecitazione fossero applicate anche per questa fattispecie, con i necessari adattamenti dovuti alla natura del caso. Le norme che riguardavano il crimen pessimum venivano estese all’odioso crimine dell’abuso sessuale di bambini prepuberi e alla bestialità.
L’Istruzione “crimen sollicitationis” pertanto non ha mai inteso rappresentare l’intera policy della Chiesa cattolica circa condotte sessuali improprie da parte del clero, ma solo istituire una procedura che permettesse di rispondere a quella situazione del tutto singolare e particolarmente delicata che è la confessione, in cui alla completa apertura dell’intimità dell’anima da parte del penitente corrisponde, per legge divina, il dovere di assoluta riservatezza da parte del sacerdote. Solo progressivamente e per analogia essa è stata estesa ad alcuni casi di condotta immorale di sacerdoti. L’idea che sia necessaria una normativa organica sulla condotta sessuale di persone con responsabilità educativa è assai recente, perciò rappresenta un grave anacronismo voler giudicare in questa prospettiva i testi normativi canonici di buona parte del secolo scorso
L’Istruzione del 1922 veniva inviata ai Vescovi che avessero la necessità di trattare casi particolari che riguardavano la sollecitazione, l’omosessualità di un chierico, l’abuso sessuale di bambini e la bestialità. Nel 1962, il Papa Giovanni XXIII autorizzò una ristampa dell’Istruzione del 1922 con una breve aggiunta sulle procedure amministrative nei casi che coinvolgevano chierici religiosi. Le copie della ristampa del 1962 sarebbero dovute essere distribuite ai Vescovi radunati nel Concilio Vaticano II (1962-1965). Alcune copie della ristampa furono consegnate ai Vescovi che, nel frattempo, avevano bisogno di trattare casi riservati al Sant’Uffizio; tuttavia, la maggior parte delle copie non venne mai distribuita. Le riforme proposte dal Concilio Vaticano II comportavano anche una riforma del Codice di Diritto canonico del 1917 e della Curia romana. Il periodo fra il 1965 e il 1983 (l’anno in cui fu pubblicato il nuovo Codice di Diritto Canonico per la Chiesa latina) fu contrassegnato da differenti tendenze fra gli studiosi di diritto canonico in merito ai fini della legge penale canonica e alla necessità di un approccio decentralizzato ai casi, valorizzando l’autorità e il discernimento del Vescovi locali. Venne preferito un “atteggiamento pastorale” nei confronti delle condotte inappropriate; i processi canonici venivano da alcuni ritenuti anacronistici. Spesso prevalse il “modello terapeutico” nel trattamento dei casi di condotte inappropriate dei chierici. Ci si attendeva che il Vescovo fosse in grado di “guarire” più che di “punire”. Un’idea fin troppo ottimista a proposito dei benefici delle terapie psicologiche determinò molte decisioni che riguardavano il personale delle diocesi e degli istituti religiosi, a volte senza considerare adeguatamente le possibilità di una recidiva.
In ogni modo, casi riguardanti la dignità del Sacramento della Penitenza, invece, dopo il Concilio rimasero alla Congregazione per la Dottrina della Fede (già Sant’Uffizio; il nome venne cambiato nel 1965), e l’Istruzione “Crimen sollicitationis” fu ancora usata per questi casi fino alle nuove norme fissate dal motu proprio “Sacramentorum sanctitatis tutela” del 2001.
Nel periodo seguente al Concilio Vaticano II, furono presentati alla Congregazione per la Dottrina della Fede pochi casi riguardanti condotte sessuali inappropriate del clero relative a minori: alcuni di questi casi erano legati all’abuso del Sacramento della Penitenza; alcuni altri possono essere stati inviati tra le richieste di dispensa dagli obblighi dell’ordinazione sacerdotale e dal celibato (prassi talvolta definita “laicizzazione”), che furono trattate dalla Congregazione per la Dottrina della Fede sino al 1989 (dal 1989 al 2005 la competenza per tali dispense è passata alla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti; dal 2005 ad oggi, gli stessi casi vengono trattati dalla Congregazione per il Clero).
Il Codice di Diritto Canonico promulgato dal Papa Giovanni Paolo II nel 1983 rinnovò la disciplina in materia al can. 1395, § 2: “Il chierico che abbia commesso altri delitti contro il sesto precetto del Decalogo, se invero il delitto sia stato compiuto con violenza, o minacce, o pubblicamente, o con un minore al di sotto dei 16 anni, sia punito con giuste pene, non esclusa la dimissione dallo stato clericale, se il caso lo comporti”. Secondo il CIC 1983 i processi vengono celebrati nelle Diocesi. Gli appelli dalle sentenze giudiziali possono essere presentati presso la Rota Romana, mentre i ricorsi amministrativi contro i decreti penali vengono proposti presso la Congregazione per il Clero.
Nel 1994, la Santa Sede concesse un indulto per i Vescovi degli Stati Uniti: l’età per definire il delitto canonico di abuso sessuale di un minore fu elevata a 18 anni . Inoltre, il tempo per la prescrizione fu esteso ad un periodo di 10 anni calcolato a partire dal compimento del 18° anno di età della vittima. Venne indicato esplicitamente ai Vescovi di svolgere i processi canonici nelle Diocesi. Gli appelli furono riservati alla Rota Romana, i ricorsi amministrativi alla Congregazione per il Clero. Durante questo periodo (1994-2001) non si fece alcun riferimento all’antica competenza del Sant’Uffizio per que
sti casi.
L’indulto del 1994 per gli Stati Uniti fu esteso all’Irlanda nel 1996. Nel frattempo, la questione di procedure speciali per casi di abuso sessuale venne discussa nella Curia romana. Alla fine, il Papa Giovanni Paolo II decise di includere l’abuso sessuale di un minore di 18 anni commesso da un chierico nel nuovo elenco di delitti canonici riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede. La prescrizione per questi casi venne fissata in 10 anni a partire dal compimento del 18° anno di età della vittima. La nuova legge, un motu proprio dal titolo “Sacramentorum sanctitatis tutela”, fu promulgata il 30 aprile 2001. Una lettera firmata dal Cardinal Joseph Ratzinger e dall’Arcivescovo Tarcisio Bertone, rispettivamente Prefetto e Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, fu inviata a tutti i Vescovi cattolici il 18 maggio 2001. La lettera informava i Vescovi della nuova legge e delle nuove procedure che sostituivano l’Istruzione “Crimen Sollicitationis”.
In essa erano innanzitutto indicati quali fossero i delitti più gravi, sia contro la morale sia nella celebrazione dei sacramenti, riservati alla Congregazione; inoltre venivano indicate le speciali norme procedurali da osservarsi nei casi riguardanti tali gravi delitti, comprese le norme riguardanti la determinazione delle sanzioni canoniche e la loro imposizione.
I delicta graviora riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede venivano elencati nel modo seguente:nell’ambito dei delitti contro la santità dell’augustissimo sacramento e sacrificio dell’Eucaristia:
1° l’asportazione o la conservazione a scopo sacrilego, o la profanazione delle specie consacrate (can. 1367 CIC e can. 1442 CCEO);
2° l’attentata azione liturgica del sacrificio eucaristico o la simulazione della medesima (can. 1378 § 2 n. 1 CIC e cann. 1379 CIC e 1443 CCEO);
3° la concelebrazione vietata del sacrificio eucaristico insieme a ministri di comunità ecclesiali, che non hanno la successione apostolica né riconoscono la dignità sacramentale dell’ordinazione sacerdotale (cann. 908 e 1365 CIC; cann. 702 e 1440 CCEO);
4° la consacrazione a scopo sacrilego di una materia senza l’altra nella celebrazione eucaristica, o anche di entrambe al di fuori della celebrazione eucaristica (cf. can. 927 CIC);
nell’ambito dei delitti contro la santità del sacramento della Penitenza:
1° l’assoluzione del complice nel peccato contro il sesto comandamento del Decalogo (can. 1378 § 1 CIC e can. 1457 CCEO);
2° la sollecitazione, nell’atto o in occasione o con il pretesto della confessione, al peccato contro il sesto comandamento del Decalogo, se è finalizzata a peccare con il confessore stesso (can. 1387 CIC e 1458 CCEO);
3° la violazione diretta del sigillo sacramentale (can. 1388 § 1 e 1456 CCEO);
nell’ambito, infine, dei delitti contro la morale:
1° il delitto contro il sesto comandamento del Decalogo commesso da un chierico con un minore al di sotto dei 18 anni di età (cf. can. 1395 § 2 CIC ).
Le norme processuali da seguirsi in questi casi venivano così indicate:
– qualora l’Ordinario o il Gerarca avesse notizia, almeno verosimile, della commissione di un delitto riservato, dopo aver svolto un’indagine preliminare, lo stesso la segnalasse alla Congregazione per la Dottrina della Fede, la quale (tranne l’ipotesi, per particolari circostanze, di avocazione a sé del caso) avrebbe indicato all’Ordinario o al Gerarca come procedere, fermo restando il diritto di appellare la sentenza di primo grado unicamente innanzi il Supremo Tribunale della medesima Congregazione;
– l’azione criminale, nei casi di delitti riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede, si estinguesse per prescrizione in un decennio. Veniva inoltre previsto che la prescrizione decorresse a norma dei cann. 1362 § 2 CIC e 1152 § 3 CCEO, con l’unica eccezione del delitto contra sextum cum minore, nel qual caso venne sancito che la praescriptio decorresse a far data dal giorno in cui il minore avesse compiuto il 18° anno di età;
– nei Tribunali costituiti presso gli Ordinari o i Gerarchi, relativamente a queste cause, potessero ricoprire validamente l’ufficio di giudice, di promotore di giustizia, di notaio e di patrono solamente dei sacerdoti e che, quando l’istanza nel Tribunale fosse in qualsiasi modo conclusa, tutti gli atti della causa fossero trasmessi quanto prima ex officio alla Congregazione per la Dottrina della Fede;
Veniva inoltre stabilito che tutti i Tribunali della Chiesa latina e delle Chiese orientali cattoliche fossero tenuti ad osservare i canoni sui delitti e le pene e sul processo penale, rispettivamente dell’uno e dell’altro Codice, unitamente alle norme speciali, date dalla Congregazione per la Dottrina della Fede.
A distanza di nove anni dalla promulgazione del Motu Proprio «Sacramentorum sanctitatis tutela», la Congregazione per la Dottrina della Fede, nell’intento di migliorare l’applicazione della legge, ha ritenuto necessario introdurre alcuni cambiamenti a queste norme, senza modificare il testo nella sua interezza, ma solo in alcune sue parti.
Dopo un attento e accurato studio dei cambiamenti proposti, i membri della Congregazione per la Dottrina della Fede hanno sottoposto al Romano Pontefice il risultato delle proprie determinazioni che, lo stesso Sommo Pontefice, con decisione del 21 maggio 2010, ha approvato, ordinandone la promulgazione.
La versione delle Norme sui delicta graviora attualmente in vigore è quella approvata dal Santo Padre Benedetto XVI il 21 maggio 2010.