L'educazione per dialogare su un piano d'uguaglianza

ROMA, venerdì, 9 luglio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo la relazione tenuta dal Cardinale Jean-Louis Tauran, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, il 21 giugno scorso in occasione dell’incontro a Beirut del Comitato scientifico internazionale della Fondazione Oasis (www.oasiscenter.eu) sul tema “L’educazione fra fede e cultura. Esperienze cristiane e musulmane in dialogo”.

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Immanuel Kant affermava che l’uomo diventa uomo soltanto attraverso l’educazione. Insegnare significa trasmettere un sapere, un’arte, una tecnica, una serie di abilità diverse. Educare significa impegnarsi a garantire lo sviluppo di tutte le facoltà (fisiche, intellettuali e morali) della persona. Insegnare dunque è sempre educare, ma educare non equivale automaticamente a insegnare! Ciò che è essenziale nell’educazione è rendere ogni individuo in grado di affrontare, in particolare attraverso la cultura, da solo o con altri, le sfide che la sua esistenza personale o collettiva gli proporranno.

L’articolo 26 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo parla di un «diritto all’istruzione». Tale diritto viene menzionato anche negli articoli 10, 13 e 14 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali. Questi articoli riconoscono i seguenti principi: la famiglia come «elemento naturale e fondamentale della società» al quale spetta di provvedere al «mantenimento e all’educazione dei figli che da essa dipendono» (articolo 10); obbiettivo dell’educazione è il pieno sviluppo della personalità umana e del suo senso di dignità, e il rafforzamento del rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (articolo 13); è compito dell’educazione mettere ciascuno in grado di svolgere un ruolo utile in una società libera e «favorire la comprensione, la tolleranza e l’amicizia tra tutte le nazioni e i gruppi razziali, etnici o religiosi», contribuendo così alla pace (articolo 13).

Le stesse idee sono contenute nella Convenzione sui diritti dell’infanzia (articoli 23, 28, 29, 40). Se educare è trasmettere valori e saperi, il suo legame con la religione è evidente e del tutto naturale. Infatti anche le religioni insegnano, educano, trasmettono: dogmi, libri sacri, liturgia. In genere esse chiamano al rispetto della persona umana, al rispetto dei suoi beni (materiali o morali) nonché alla salvaguardia della natura… Anche se al giorno d’oggi i valori delle religioni non sono sempre considerati come valori fondativi, essi ispirano molti progetti di società e i credenti, anche dove sono in minoranza, costituiscono tuttavia minoranze che agiscono e che contano.


Religioni e modernità

Direi che oggi ci troviamo di fronte a due crisi fondamentali. Una è la crisi dell’intelligenza. Siamo superinformati, ma sappiamo ragionare? Il rumore, la mobilità, la selva di messaggi virtuali ci sottopongono a un vero e proprio stress. In molti trovano difficoltà a organizzare le loro conoscenze. Domina la regola del «Tutto e subito», al punto che ciò che si chiamava «vita interiore» è diventato una rarità.

La seconda è la crisi della trasmissione generazionale. I valori familiari, morali e religiosi non sono patrimonio scontato. L’ignoranza in materia religiosa è dilagante nella società occidentale. A forza di dar retta al famoso graffito tracciato sui muri della Sorbona nel maggio 1968, «Vietato vietare», abbiamo trasformato la nostra terra in una zattera alla deriva. In una fase nella quale il nostro mondo si presenta come uno spazio globalizzato e tutte le culture, nelle quali ovunque si rintraccia l’elemento religioso, vengono messe in discussione, non si può lasciar da parte quella chiave di lettura che è costituita dalla religione: senza di essa non è possibile comprendere la coscienza, la storia, la fraternità. Oggi noi incontriamo troppi giovani che sono eredi senza eredità e costruttori senza progetto. Per questo c’è chi torna a perorare la causa dell’insegnamento della tematica religiosa a scuola.

Il ritorno

Sotto la pressione di queste due crisi assistiamo a un ritorno del religioso (non parlo di un ritorno del cristianesimo). In Occidente i musulmani reclamano per sé luoghi di culto e visibilità. Atti di violenza e omicidi perpetrati in nome di convinzioni religiose rendono le religioni temibili. Ci si interroga. Si vuole sapere. Tanto più che la globalizzazione favorisce il dialogo interreligioso. Alcune iniziative concrete hanno distrutto gli stereotipi: penso alla festa dell’Annunciazione che cade il 25 marzo di ogni anno, come festa nazionale, qui, in Libano, o alla formazione (non religiosa) degli imam di Francia, garantita dall’Istituto cattolico di Parigi.

Entro qualche decennio è probabile che l’uomo padroneggerà la materia inerte (il globo terrestre, per non parlare degli spazi siderali). Sappiamo che la padronanza della materia vivente progredisce di giorno in giorno. Ma quando tutto sarà stato spiegato, resterà da sapere chi sia davvero l’uomo. Quando disporremo di tutti gli strumenti più sofisticati, si porrà il problema del loro utilizzo. E poi ci sono il male e la morte. Tutti ci poniamo, prima o poi, immancabilmente, il problema del senso e prima o poi il «sacro» si impone come componente essenziale dell’anima umana.

I cristiani e l’educazione

Le prime scuole monastiche che apparvero nel continente europeo si sono ispirate a Platone e ad Aristotele per proporre un’educazione intellettuale e una formazione morale che si fecondassero a vicenda.

Attraverso l’elaborazione dei concetti di dovere e sacrificio, temperati dall’amore divino (Bergson) e dalla conversione del cuore, i cristiani sono stati condotti a occuparsi della libertà. Così la tensione tra libertà, ragione e verità si è posta al centro della vita intellettuale del Medio Evo. Dialettica edisputatio costituivano il nucleo vitale dell’universitas medievale. Sono stati i chierici del Medio Evo a diffondere un’educazione rivolta alla totalità della persona: per loro non si trattava tanto di imparare un mestiere quanto piuttosto di formare persone capaci di autonomia e di spirito critico.

L’educazione cristiana ha voluto essere anche enciclopedica (totalità del sapere umano). I monasteri hanno ordinato gerarchicamente tutto ciò che si conosceva delle cose divine e umane (più tardi Descartes formulerà l’immagine dell’albero del sapere). Tutto ciò costituiva una preparazione ad accogliere la Rivelazione del Verbo e della verità nella Storia. I cristiani hanno sempre coltivato l’ambizione di conciliare ragione e fede: «comprendere per credere e credere per comprendere» (Sant’Agostino).

Musulmani e educazione

Mi pare si possa dire che, per l’islam, l’educazione consista in un modellamento dell’anima che deve realizzarsi fin dalla più tenera età. Al bambino vengono trasmessi due valori fondamentali: la fede e la conoscenza contenuta nel Corano. Quando la sua anima sarà stata così colmata, non ci sarà più posto per le falsità. È il ruolo assegnato alla ragione, il suo spazio, a differenziare la concezione cristiana dell’educazione da quella musulmana.

La vita interiore

Qual è dunque il ruolo specifico delle religioni nell’educazione? Trasmettere il gusto della vita interiore. In fondo, tutte le religioni dicono che «l’uomo non vive di solo pane». Si tratta di sviluppare la capacità, che è in ognuno, di riflettere, di organizzare il proprio pensiero, di ragionare (di servirsi della ragione per conoscere e giudicare). «Tutta l’infelicità dell’uomo deriva da una sola cosa, il non saper stare tranquillo in una stanza», scriveva già il mio compatriota Pascal. Promuovere inoltre la coscienza della propria identità: l’uomo è la sola creatura che interroga e si interroga. La sola che cerca «il senso del senso» (secondo la formula di Ricoeur). L’uomo si rivela a se stesso come un mistero, il mistero di ciò che egli è, delle sue potenzialità, del suo posto nell’universo ed è per questo suo rivelarsi a se stesso come mistero che la dimensione religiosa si profila inevitabilmente all’orizzonte.

Le religioni favoriscono una pedagogia dell’incontro. Aiutano a vivere la differenza nel rispetto. Affermando la mia identità io scopro che la persona che sta di fronte a me possiede parimenti un’id
entità, molto diversa dalla mia. Esse facilitano l’accettazione della pluralità sostenendo, nel quadro della famiglia, il mescolarsi delle generazioni, e promovendo nella scuola l’attenzione agli insegnamenti della storia e dunque al contributo delle diverse civiltà.

Per finire, le religioni contribuiscono a garantire il rispetto della persona umana e dei suoi diritti. Ognuno di noi è unico, ognuno è sacro. Perciò ci si ascolta, si impara a esprimere le rispettive identità non con i pugni e con le armi ma con argomenti ragionati e ragionevoli.


Una sfida comune

Prendiamo in considerazione la gioventù nel suo insieme. In ambito cristiano: nelle società occidentali i giovani spesso vivono il cristianesimo come una forma di deismo ma recentemente quelle che vengono chiamate «le nuove comunità» hanno dato vita a forme di spiritualità che producono una pratica cristiana più motivata e più missionaria, e l’affermarsi di un desiderio di ricevere una formazione dottrinale completa.

In ambito musulmano: non si può non rimanere colpiti dalla visibilità della pratica religiosa, dal modo in cui la religione impregna tutte le dimensioni della vita di un musulmano, comunitaria e personale. Va sottolineato tuttavia come il clima di indifferenza religiosa, in particolare in Europa, possa produrre tra i musulmani giovani alcune conseguenze: il secolarismo dell’ambiente può spingere all’affermazione di un’identità religiosa aggressiva; lo stesso secolarismo può condurre all’abbandono di qualsiasi pratica religiosa.

È augurabile che constatazioni di questo genere inducano cristiani e musulmani a gareggiare in iniziative: al livello delle élites, stimolando il desiderio di conoscersi e riconoscersi. Poiché il dialogo non può fondarsi sulle ambiguità, l’educazione mostra qui la sua funzione fondamentale. I giovani d’oggi (cristiani e musulmani) dovrebbero dialogare su un piano di uguaglianza. Perciò dovrebbero avere le stesse possibilità di accedere all’insegnamento delle religioni così come dovrebbero conoscere la religione degli altri (è questo il problema della religione a scuola). Le autorità religiose dovrebbero essere meglio informate sulle altre religioni, così da abbattere i timori e promuovere un arricchimento reciproco, condividendo il meglio delle varie tradizioni spirituali. Non si tratta di fare concessioni sul terreno della verità ma di conoscere l’altro, di ascoltarlo, di scoprire quel che abbiamo in comune. Questa conoscenza profonda dell’altro può avvenire in vari campi, come la letteratura e la musica, per arrivare poi all’approfondimento della cultura biblica, coranica, teologica.

In questo modo l’incontro finalizzato al dialogo permette di agire insieme per il bene comune. Tutti insieme possiamo agire per il bene della famiglia, della scuola, dell’Università, dell’impresa.

Non dovrebbe risultare impossibile, fin da oggi, che i capi religiosi cristiani e musulmani sensibilizzino i legislatori e gli insegnanti circa l’opportunità di fissare regole di condotta come: il rispetto verso la persona che cerca la verità di fronte all’enigma dell’umano; il senso critico che permette di scegliere tra il vero e il falso; l’insegnamento di una filosofia umanistica che consente di dare risposte umane alle domande relative all’uomo, al mondo, a Dio; la valorizzazione e la diffusione delle grandi tradizioni culturali aperte alla trascendenza, che esprimono la nostra aspirazione alla libertà e alla verità.

Tutti insieme, cristiani e musulmani (ma io direi: tutti i credenti) abbiamo la possibilità di condividere convinzioni che traiamo dai nostri rispettivi retaggi spirituali e culturali: la solidarietà che induce a impegnarsi a favore dei poveri e degli esclusi; la responsabilità che ci ammonisce a non dimenticare che risponderemo davanti a Dio di ciò che avremo fatto oppure omesso di fare per la giustizia e per la pace; la libertà che presuppone una coscienza ferma e una fede illuminata (fede e ragione!); la spiritualità che richiama la dimensione religiosa della persona umana e illumina di sé l’avventura umana; la sete di conoscenza che rende attenti a ciò che l’uomo, dotato com’è di una coscienza e di un’intelligenza, realizza (nel bene e nel male); la pluralità che ci sollecita a considerarci differenti ma uguali, rifiutando tutte le forme di esclusione, in particolare quelle che invocano a propria giustificazione una religione o una convinzione. Possiamo fare tutte queste affermazioni perché crediamo che l’uomo e la donna, in ogni tempo e in ogni circostanza, abbiano una dignità inalienabile e abbiano diritto alla libertà, al rispetto della loro persona e anche a un’esistenza decente.


Il patrimonio dell’uomo

L’educazione nel senso più ampio della parola non può essere avara quanto alla dimensione religiosa della persona umana. L’insegnamento scientifico e tecnico negli ultimi decenni si è sviluppato in maniera esponenziale così che le materie dette umanistiche (filosofia, storia, letteratura) sono divenute marginali nella trasmissione culturale. Ma i popoli della terra hanno accumulato da millenni un patrimonio artistico e letterario che è comune a tutta l’umanità e che ha sempre espresso credenze religiose (non esiste civiltà che non abbia rivolto le sue attenzioni alla presenza del religioso).

Noi, i cristiani, sappiamo che Dio ha voluto farsi conoscere dall’uomo in Gesù, vero Dio e vero uomo. Ma sappiamo anche che Dio è all’opera nel cuore dei credenti delle altre religioni, come lo è in ogni persona umana. Ecco perché tutti insieme, nel rispetto delle nostre specificità e dei nostri itinerari, abbiamo il dovere di purificare la nostra memoria, non per imporre ma per indicare il senso da assegnare all’avventura umana. L’uomo, incaricato della gestione del pianeta, l’uomo capace delle più grandi scoperte, quest’uomo «carnale» è anche lo stesso uomo che si organizza per recare soccorso a tutte le vittime di tutte le violenze e delle catastrofi naturali. Pur nel mezzo di tutte le contraddizioni della storia, l’uomo è capace di generosità! Cristiani e musulmani, uniamo i nostri sforzi perché in futuro non manchino mai quegli uomini e quelle donne che, grazie al loro coraggio, alla loro dolcezza, alla loro perseveranza, siano capaci di purificare la loro memoria e il loro cuore così da operare perché la saggezza umana si incontri con la saggezza di Dio. E se fosse questa, l’educazione?

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ZENIT Staff

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