Verso un’economia al servizio della famiglia umana

ROMA, giovedì, 1° luglio 2010 (ZENIT.org).- Per la rubrica di Dottrina Sociale riportiamo parte dell’intervento che il Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, ha tenuto al VII Simposio Internazionale dei Docenti universitari che si è svolto a Roma dal 24 al 27 giugno sul tema “Caritas in veritate. Verso un’economia al servizio della famiglia umana. Persona, società, istituzioni”.

Il Simposio è stato organizzato dall’Ufficio per la pastorale universitaria del Vicariato di Roma in collaborazione con il Pontificio Consiglio Giustizia e Pace.

 

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Economia e bene comune

Nel contesto di una globalizzazione che porta in sé l’impulso all’unificazione dei popoli e dei loro destini, e che domanda un’economia a servizio del bene comune della famiglia umana, sprigionando tutte le sue potenzialità positive, comprese quelle che generano coesione sociale, la CIV sollecita l’economia stessa a ripensarsi come attività umana che concorre allo sviluppo integrale dei popoli.

Secondo Benedetto XVI, l’economia deve vincere la tentazione di un’autonomia assoluta, che finisce quasi per svincolarla da ogni umanesimo, ritenendola capace di produrre non solo ricchezza ma anche salvezza per tutti (cf CIV n. 34). Essa invece è realtà che, per la sua esistenza, deriva e dipende dall’uomo. È dell’uomo e per l’uomo: un essere che non è autore assoluto di se stesso, che anzi è incline al male, avendo una natura ferita dal peccato. «All’elenco dei campi in cui si manifestano gli effetti perniciosi del peccato, si è aggiunto ormai da molto tempo – scrive il Pontefice – anche quello dell’economia. Ne abbiamo una prova evidente anche in questi periodi. La convinzione di essere autosufficiente e di riuscire ad eliminare il male presente nella storia solo con la propria azione ha indotto l’uomo a far coincidere la felicità e la salvezza con forme immanenti di benessere materiale e di azione sociale. La convinzione poi della esigenza di autonomia dell’economia, che non deve accettare “influenze” di carattere morale, ha spinto l’uomo ad abusare dello strumento economico in modo persino distruttivo» (CIV n. 34).

Questa assolutizzazione dell’economia finisce per sovvertire l’ordine tra fini e mezzi. L’unità del mondo globalizzato è ricercata sul piano delle cause strumentali: il finito è assolutizzato come realtà compiuta ed onnicomprensiva; il fine terreno è confuso con quello trascendente. Ne deriva la fine di quel senso del divino, a cui pur si riferivano sistemi morali e filosofie laiche dei secoli scorsi. Il bene comune del genere umano è depotenziato dal punto di vista antropologico ed etico e, anziché essere promosso, finisce per implodere.

La CIV, grazie all’apporto sapienziale, epistemologico ed etico, del fecondo intrecciarsi tra Carità e Verità, che allarga l’esercizio della ragione e che rende disponibile una sintesi armonica di saperi, propone il recupero della «ragione economica» come ragione amica della persona e dei popoli, nonché un nuovo modello di sviluppo, quale punto di riferimento imprescindibile per l’attività economica. L’economia, a giudizio di Benedetto XVI, va pensata, organizzata ed orientata in modo da contribuire alla realizzazione dello sviluppo umano integrale, come è segnalato, sia pure indirettamente, nel sottotitolo dell’enciclica.

Si tratta di un’affermazione che non è nuova. Essa, infatti, è mutuata da Paolo VI, e precisamente dalla Populorum progressio, di cui la CIV vuole essere il prolungamento nell’oggi. Ma sul concetto di sviluppo, Benedetto XVI esplicita un pensiero originale e arricchente. Egli sottolinea come l’economia, che deve favorire il bene comune della famiglia umana, deve avere come punto di riferimento un modello di sviluppo corretto dalle sue disfunzioni e dalle sue distorsioni tecnocratiche, materialistiche e consumistiche.

Quale, dunque, in positivo, il modello di sviluppo che deve guidare la realizzazione del bene comune mondiale e, conseguentemente, l’economia?

In un contesto culturale in cui la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica (cf CIV n. 75), oltre a tener presente una nozione di sviluppo definita da indici materiali o cognitivi – quali il reddito, la sicurezza della casa, la salute, l’istruzione – occorre che i soggetti siano messi in grado di compiere scelte buone. In definitiva, essi devono poter avere la possibilità di agire rettamente. Ma ciò può avvenire solo quando possono accedere alla conoscenza del telos umano, ossia di quell’insieme ordinato di beni disponibile grazie ad una sintesi armoniosa dei saperi, sulla base della capacità universale di vero, di bene e di Dio: capacità praticata ed educata mediante virtù.

Senza il riferimento al vero, al bene e a Dio, considerato come Sommo Vero e Sommo Bene, non è possibile stabilire una gerarchia tra i beni umani e, quindi, non si potrà condurre una vita unificata nel senso e nel compimento umano. Detto altrimenti, per Benedetto XVI, l’economia è chiamata a realizzarsi come una condizione d’esistenza – il bene comune si definisce, infatti, come un’insieme di condizioni – che favorisce una pienezza umana, ove i beni etici e spirituali godono del primato su quelli materiali e tecnici. Ciò importa che, in tutte le sue fasi, l’economia si strutturi secondo modalità personalistiche, comunitarie, in una parola, secondo dimensioni di trascendenza.

Si avrà, allora, un’economia omogenea al bene comune universale, un’economia che i vari soggetti sociali debbono cercare di favorire per l’unificazione della famiglia umana.

Economia e fraternità

Un tratto distintivo del pensiero di Benedetto XVI è rappresentato dalla riproposta della fraternità, come principio base della vita economica e sociale (cf ad es. CIV n. 19).

La fraternità dev’essere considerata come quella dimensione costitutiva dell’essere e della relazionalità umani che è donata da Dio-Amore (cf CIV n. 34) e che, per ciò stesso, include tutte le persone nell’unica famiglia umana. La fraternità è quella forza morale che si esplica in dedizione e in dono gratuito di sé, nel conseguimento del bene dell’altro e dell’umanità intera e, per conseguenza, in creatività architettonica sul piano delle istituzioni, riformandole o inventandone di nuove, perché esse siano sempre più commisurate all’altissima dignità delle persone e del loro compimento umano in Dio.

Con la sua tensione disinteressata al bene dell’altro, la fraternità diviene movente essenziale nella configurazione di un nuovo Stato sociale, che intenda rendere disponibili beni e servizi commisurandoli alle persone concrete, nella loro individualità, ritenute esseri integrali, aventi bisogni anche “meta-materiali”, di tipo psicologico, affettivo, religioso.

La fraternità è quel bene-valore universale che consente di potenziare e di rafforzare l’anima etica dell’economia sul piano della trascendenza relazionale, del servizio alla persona e al bene comune.

Per Benedetto XVI, è proprio lo spirito di fraternità che, quando permea l’attività economica, le consente di essere solidale, inclusiva, competitiva, e di intercettare i bisogni delle persone e delle società. È un tale spirito ad obbligarla, in certo modo, ad essere creativa, ad arricchire il tessuto della società civile, oltre a quello statale, con molteplici istituzioni imprenditoriali (cf CIV n. 41), a realizzare così una prima forma di giustizia, che consente di offrire a ciascuno ciò di cui ha bisogno. In tal modo, si viene ad ovviare al pregiudizio secondo cui il mercato è neutro dal punto di vista morale (cf CIV n. 36).

Ma la fraternità, che è così decisiva per umanizzare la globalizzazione e per migliorare le istituzioni in vista del soddisfacimento del diritto e del dovere allo sviluppo umano integrale – rammenta il Pontefice –, non è una realtà che riusciamo a fondare o a raggiungere con le nostre semplici forze umane. Essa ha origine da Dio e ci viene dal suo Spirito, dallo Spirito di Carità del Cristo (cf CIV n. 19). Diventano, allora, ultimamente decisive le parole con cui Benedetto XVI conclude la sua enciclica: «Lo sviluppo ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio nel gesto della preghiera, cristiani mossi dalla consapevolezza che l’amore pieno di verità, caritas in veritate, da cui procede l’autentico sviluppo, non è da noi prodotto ma ci viene donato».

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ZENIT Staff

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