Indonesia: Aceh nel post-tsunami, una speranza per Haiti

MEDAN, lunedì, 15 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Dal male può derivare del bene; dalla tragedia, la speranza e la nuova vita.

E’ il messaggio che Aceh, provincia dell’estremo nord dell’isola di Sumatra, distrutta dallo tsunami del 2004, lancia ad Haiti, colpita dal terremoto il 12 gennaio.

Secondo cifre ufficiali, Haiti lamenta 112.000 morti, 196.000 feriti e due milioni di persone bisognose di aiuti umanitari di base, tra cui 200.000 orfani, ha reso noto questo mercoledì “Eglises d’Asie”, l’agenzia delle Missioni Estere di Parigi (MEP).

Ad Aceh, lo tsunami del dicembre 2004 devastò la costa, provocando 160.000 morti e 500.000 rifugiati e spazzando via interi villaggi.

Aceh venne allora definita “provincia ribelle” per gli scontri militari molto forti tra un movimento separatista locale, il GAM, e le forze armate governative.

Bastione di un islam rigoroso, è l’unica provincia del Paese in cui la sharia è in vigore, dal 2002.

A cinque anni dalla catastrofe, Banda Aceh, capitale della provincia, è attualmente il simbolo del “trionfo sullo tsunami”.

E’ un luogo in cui la qualità di vita è aumentata, l’armonia interreligiosa è una realtà e “c’è una rinascita che porta speranza al mondo intero, soprattutto alla popolazione di Haiti”.

Lo ha dichiarato all’agenzia Fides monsignor Antonius Sinaga, Arcivescovo cattolico di Medan, la principale città di Sumatra Nord, per il quale lo tsunami ha dato impulso a un nuovo inizio.

Secondo il presule, “la gente oggi è molto aperta, umanamente e socialmente. Banda Aceh è divenuta una città internazionale e dalla tragedia dello tsunami è rinata una città socialmente molto diversa”.

“C’è grande riconoscenza per gli aiuti giunti dall’esterno, soprattutto dagli Stati Uniti e dai Paesi europei, chiamati ‘Paesi cristiani’, che hanno permesso di ricostruire oltre 140mila case”, ha aggiunto.

Grazie agli aiuti, per un valore totale di oltre 6,7 milioni di dollari, è stato possibile ricostruire anche 1.700 scuole, 996 edifici pubblici, 36 aeroporti e porti, 3.800 moschee, 363 ponti e più di 20.000 chilometri di strade.

“Si comprende perché oggi i cittadini dei Paesi donatori sono chiamati amici o perfino fratelli”, ha segnalato l’Arcivescovo.

Il miglioramento, ha aggiunto, “è sensibile”: “la città è pacificata a tutti i livelli. Non vi è tensione sociale, né interreligiosa, e il clima politico è molto favorevole. Il benessere sociale ed economico è più alto che in altre zone di Sumatra”.

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I cristiani, che formano una piccola minoranza nella provincia di Aceh, vivono liberamente e in pace.

“La Chiesa cattolica ha instaurato un ottimo rapporto con il governo e le autorità civili, in un clima di dialogo e di sereno confronto. Anche le relazioni con i leader musulmani locali sono più che buone”.

L’Arcivescovo vuole tranquillizzare anche sul tema della sharia: “la legge islamica, in vigore nella provincia, non rappresenta un problema: le autorità, i mass-media, i tribunali ripetono che essa è valida per i cittadini musulmani e che i credenti di altre religioni possono vivere liberamente”.

Ad ogni modo, ha ricordato che “questo è molto chiaro a livello ufficiale, mentre a livello popolare – soprattutto nei villaggi remoti e culturalmente tradizionalisti, che non sono venuti a contatto con la modernità – la situazione è più difficile e vi sono restrizioni che a volte causano problemi alla popolazione”.

Per questo motivo, alcuni gruppi per la difesa dei diritti umani denunciano “la violazione dei diritti umani e della stessa legislazione statale indonesiana, nell’applicazione delle punizioni previste dalla sharia”.

“Nonostante tutto, nel complesso le condizioni sociali della popolazione e dei cristiani (4.000 fedeli su 3,5 milioni di abitanti di Aceh) sono notevolmente migliorate”, ha sottolineato il presule, osservando che le prospettive sono buone.

Alla Chiesa cattolica non è ancora permesso di creare nuove opere sociali, come scuole o ospedali, ma la speranza aumenta.

Quanto al progetto di aprire una clinica ad Aceh, il Governo ha dichiarato che sostiene l’iniziativa ma pensa di rinviarla a un momento in cui il clima culturale e sociale di Aceh sia più favorevole.

“Credo che quel momento si stia avvicinando”, ha concluso.

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ZENIT Staff

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