ROMA, domenica, 7 febbraio 2010 (ZENIT.org).- “L’origine vera della crisi è il crollo della natalità nei Paesi occidentali”. A sostenerlo è il prof. Ettore Gotti Tedeschi, Presidente dell’Istituto per le Opere di Religione (IOR), in una intervista al settimanale informativo “Octava Dies” del Centro Televisivo Vaticano.
Oggi nel mondo occidentale, ha ricordato il prof. Gotti Tedeschi, il tasso di crescita della popolazione è arrivato allo zero per cento, cioè a 2 figli per coppia, fatto che ha comportato un cambiamento profondo della struttura della società.
A questo proposito, ha osservato, “invece di stimolare le famiglie e la società a ricominciare a credere nel futuro e a fare figli […] abbiamo smesso di far figli e abbiamo creato una situazione, un contesto economico negativo di decrescita, e decrescita vuol dire maggior austerità”.
“Crollando le nascite – ha sottolineato –, ci sono meno persone giovani che entrano nel mondo del lavoro produttivamente e ci sono molte più persone anziane che escono dal sistema produttivo e diventano un costo per la collettività”.
“In pratica – ha spiegato –: se la popolazione non cresce, i costi fissi di questa struttura economica e sociale aumentano, quanto drammaticamente dipende da quanto è evidentemente squilibrata la struttura della popolazione e quant’è la sua ricchezza. I costi fissi però aumentano: aumentano i costi della sanità e aumentano i costi sociali. Non solo: non si possono più diminuire le tasse”.
“C’è poi un altro fenomeno che impatta grazie al non tasso di crescita delle popolazione nell’economia, ed è il crollo del risparmio – hacontinuato l’economista –. I giovani che non hanno lavoro spostano il ciclo di accumulazione del risparmio di anni; le famiglie non si formano; molto spesso non si formano famiglie con un certo numero di impegni nei confronti dei figli, cosicché il risparmio si estingue”.
“A questo punto quando il crollo dello sviluppo del mondo occidentale è dovuto alla non natalità diventa un fatto preoccupante – ha affermato Gotti Tedeschi –. Ci si inventa il tentativo di compensare questo crollo dello sviluppo attraverso attività finanziarie e quindi anzitutto con la delocalizzazione – si cerca di trasferire tutte quelle produzioni in Asia, per riportarle al nostro interno a costi minori; e con una maggior produttività, ma la maggior produttività ha dei limiti”.
“Negli ultimi 10 anni – ha spiegato –, il tasso di indebitamento delle famiglie americane, già abbastanza alto (che era il 68 per cento del prodotto interno lordo nel 1998 circa) dal 68 per cento passa nel 2008 al 96 per cento del prodotto interno lordo, aumenta cioè di 28 punti”.
“Se lei prende 28 punti percentuali di crescita su 10 anni e lo divide per 10 anni, ha una media del tasso di crescita del 2.8 per cento all’anno dovuto esclusivamente al consumismo a debito delle famiglie americane”.
“In pratica, questa è stata l’origine della crisi, fino poi ad arrivare agli eccessi dei cosiddetti subprime – ha dichiarato –. L’origine per cui lo strumento finanziario, la leva a debito, l’espansione del credito è stata fatta è per compensare il tasso di crescita dello sviluppo dell’economia legato al fatto che non nascevano figli”.
Secondo il presidente dello IOR, “l’origine della crisi non è nelle banche e nella finanza. Le banche e la finanza hanno concorso ad aggravare la crisi nelle sue origini, cercando di compensare dei problemi che erano stati generati precedentemente e cioè il crollo dello sviluppo economico, che si è cercato di camuffare attraverso l’uso di strumenti finanziari”.
“Se posso addirittura, quindi, essere molto polemico, dirò che più che i banchieri hanno avuto responsabilità alcuni governanti, che hanno stimolato, supportato e giustificato quell’espansione creditizia che venne utilizzata per sostenere un tasso di crescita che è stato riconosciuto essere fittizio”, ha osservato.
“Il debito totale dei governi, delle famiglie, delle istituzioni finanziarie e delle istituzioni non finanziarie e di quelle industriali, oggi deve essere sgonfiato. Sgonfiamento vuol dire che prenderà fra i 5 e i 7 anni, in Paesi maturi come l’Europa e gli Stati Uniti, per potersi ridimensionare, per poter ritornare a dei criteri accettabili”.
Il prof. Gotti Tedeschi ha poi preso ancora in prestito come esempio il caso americano per spiegare la forma negativa di sussidiarietà, e cioè quella dell’individuo verso lo Stato.
“Gli americani – ha detto – sono stati utilizzati per 15 anni per sostenere a debito la crescita del prodotto interno lordo americano che vacillava. E gli Stati Uniti, come sappiamo, hanno avuto anche dei periodi complessi – pensiamo all’11 settembre del 2001 – dovendo ricostruire un atteggiamento nei confronti del terrorismo, come grandi guardiani dell’umanità, probabilmente aumentando notevolmente le loro spese anche di difesa, e le spese si pagano”.
“Ecco l’esigenza di una crescita del pil – ha evidenziato –. Una spesa forte nella difesa, per gli armamenti, dopo l’11 settembre, che è aumentata negli anni successivi con tassi del 14, 15 per cento all’anno, deve essere sostenuta dalla crescita di un prodotto interno lordo”.
“Da qui l’esigenza di far crescere il prodotto interno lordo – ha aggiunto poi –. E come si fa a farlo crescere? Ecco l’abitudine americana: si lascia la libertà nell’individuo di farlo; lo si mette in condizione di farlo: tassi bassi e attrattiva per una forma di consumismo”.
“Dopo 10 anni le famiglie americane sono diventate povere, hanno perso una grande parte dei loro investimenti liquidi, hanno perso una gran parte del valore della loro casa, che non hanno ancora pagato, hanno perso una parte del fondo pensione, che è privato notoriamente, si sono indebitate per due o tre anni e rischiano di perdere il posto di lavoro”.
Secondo l’economista, infine, l’unico “modo per ricostituire un equilibrio economico-finanziario” è l’“austerità”.