di Carl Anderson*
NEW HAVEN, Connecticut, domenica, 7 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Per gli americani il loro Paese continua ad essere orientato nella direzione sbagliata.
Nel 2008, il presidente Obama aveva percepito questa sensazione e aveva brillantemente colto l’attimo con la sua campagna “Change we can believe in”, [“Cambiamento in cui possiamo credere”, meglio nota in Italia con lo slogan “Yes we can”, ndt]. Ora, a un anno dall’inizio della sua presidenza, Washington non sembra in grado di reggere le aspettative e gli americani stanno perdendo fiducia nel Governo.
Un recente sondaggio svolto dai Cavalieri di Colombo e dal Marist Institute for Public Opinion ha svelato che sebbene Obama riscuota nell’insieme un consenso positivo da parte della maggioranza della popolazione americana, quasi 6 persone su 10 hanno invece perso fiducia nella capacità dell’Amministrazione di Washington di gestire la crisi economica.
Inoltre, il 55% degli intervistati si è detto convinto che una maggiore regolamentazione da parte del Governo non farebbe che danneggiare ulteriormente l’economia.
Ma se gli americani non vedono con favore una maggiore regolamentazione e non manifestano grande fiducia nelle misure adottate dal Governo, questo non significa che non abbiano una visione critica nei confronti di Wall Street.
Infatti, un numero crescente di persone dimostra disapprovazione per l’avidità presente nel mondo della finanza.
Non sarà facile per la finanza impedire una maggiore regolamentazione da parte del Governo, poiché la maggior parte degli americani ripone ancora meno fiducia negli operatori della finanza e per questo non vuole regole a maglie larghe.
Un buon 81% di americani ritiene che i responsabili della finanza abbiano due diverse scale etiche che applicano, una nel lavoro, e l’altra nella vita personale. E il 75% sostiene che ciò non sia giusto.
La gente si aspetta dei cambiamenti nel mondo degli affari e della finanza.
Ci si aspetta un più alto livello qualitativo e un maggior impegno etico nell’economia.
Questo sentimento popolare non può essere liquidato definendolo un rabbioso populismo. Esso è piuttosto espressione del desiderio di un libero mercato, dotato però di regole che ne conservino il senso. Gli americani comprendono – giustamente – che il libero mercato deve avere come fondamento essenziale una bussola morale.
Gli americani si aspettano che il mercato rifletta il loro stile di vita e si basi su valori come l’onestà, il fair play e la solidarietà verso il prossimo. Questo è sempre stato il meglio dell’ideale americano ed è l’unico modo per gli esponenti della finanza di ricucire i rapporti con la gente.
I top manager di oggi sono in grado di assicurare una versione di libero mercato che corrisponda al “cambiamento in cui possiamo credere”?
Affari etici
È interessante ricordare che nel 1985, l’allora cardinale Ratzinger, oggi Benedetto XVI, aveva avvertito delle conseguenze di un sistema che aveva abbandonato le proprie fondamenta morali. Diceva: “Sta diventando un fatto di storia economica sempre più evidente il fatto che lo sviluppo di sistemi economici incentrati sul bene comune dipende da un determinato sistema etico che, a sua volta, può nascere ed essere sostenuto solo da forti convinzioni religiose. Viceversa, è diventato altrettanto evidente che il venir meno di tale sistema può effettivamente portare al collasso delle leggi di mercato”.
Abbiamo visto il mercato separarsi dall’etica e abbiamo visto il mercato collassare sotto il peso di avide ed egoistiche operazioni d’investimento. La questione è: siamo in grado di ridare etica al sistema di mercato?
Lo scorso anno, in un precedente sondaggio svolto congiuntamente dai Cavalieri di Colombo e dal Marist Institute for Public Opinion abbiamo visto che tre quarti degli americani e il 94% dei manager ritenevano che un’impresa potesse al contempo essere etica e avere successo. È necessario dunque che la maggioranza degli operatori recuperi il senso morale del processo decisionale.
Se i dirigenti d’azienda fossero pronti ad applicare i loro standard etici, ciò potrebbe rappresentare per gli americani quella vera alternativa rispetto alla maggiore regolamentazione, che peraltro si è dimostrata incapace di risolvere una crisi e tanto più sarà incapace di prevenirne una nuova.
Ma se la finanza non procederà a riancorarsi all’etica, gli americani saranno costretti a scegliere tra l’avidità di Wall Street e la mano pesante di Washington.
Non sorprende che oltre a manifestare pessimismo per il piano del Governo di uscita dalla crisi economica, la maggioranza degli americani si senta colpita personalmente dalla crisi. Nel nostro sondaggio, il 55% ha detto che la propria carriera potrebbe risentire negativamente dal contesto economico attuale.
Se dunque la maggioranza si sente personalmente minacciata dalla crisi, questo non è un problema destinato a dissolversi da solo.
Voto di sfiducia
Nella vita reale domina la delusione – e l’opposizione – sia per una maggiore regolamentazione che per l’avidità della finanza, e la convinzione che nessuna delle due ipotesi sarà in grado di risolvere il fallimento morale procurato dal divorzio tra etica ed economia.
Finché gli americani non vedranno il “cambiamento in cui possiamo credere”, sia a Washington che a Wall Street, finché non vedranno decisioni economiche prese su basi morali, la crisi di fiducia tra i lavoratori e i consumatori americani proseguirà, e non ci potranno che essere cattivi presagi per tutti noi.
Ma la speranza c’è. Anzitutto, i cattolici imprenditori, dirigenti, investitori e consumatori, devono capire che la loro mancanza di azione – o meglio, di azione pubblica – contribuisce a consolidare il silenzio che caratterizza la dimensione morale della crisi economica.
Potremmo dire, con Shakesperare, che “la colpa non sta nelle stelle ma in noi stessi”, e una volta capito questo, potremmo anche scoprire che questa situazione può essere cambiata.
Benedetto XVI ci ha dato una meravigliosa guida per raggiungere un futuro in cui l’economia possa ricomprendere la sua etica. Per anni, e in particolare nella sua più recente enciclica “Caritas in veritate”, il Papa ci ha mostrato il cammino verso un futuro in cui l’etica è al centro dell’economia e non ai margini.
Così, con il nostro esempio, dobbiamo risvegliare il 75% degli americani e il 94% dei manager che credono di poter fare i soldi anche agendo eticamente. Con questa maggioranza schiacciante non dovrebbe essere difficile riuscire a cambiare il modo di fare gli affari.
È il tipo di cambiamento in cui tre quarti del Paese già crede e che potrebbe trasformare il mondo in un luogo migliore per tutti noi.
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*Carl Anderson è il Cavaliere supremo dei Cavalieri di Colombo e autore di bestseller secondo la classifica del New York Times.