ROMA, mercoledì, 3 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Martedì 9 febbraio prossimo, alle ore 9.00, presso l’Università Europea di Roma (via degli Aldobrandeschi 190), si terrà il congresso “Autonomia e autodeterminazione. Profili giuridici, etici e bioetici”, nell’ambito della Settimana delle Scienze Biomediche del Vicariato di Roma.
Nel corso del congresso sarà presentato anche il Progetto “Libertà, autonomia e autodeterminazione”, promosso dal Dipartimento di Didattica e di Ricerca in Scienze Umane dell’Università Europea di Roma.
I concetti di autonomia e di autodeterminazione sono ampiamente utilizzati nel dibattito pubblico, talora con significati differenti che li rendono equivoci.
Il convegno organizzato dall’Università Europea di Roma intende fare luce sui presupposti teorici di tali concetti, con una riflessione seria e argomentata che ne recuperi il nucleo semantico, e al tempo stesso ne delinei le principali implicazioni per l’agire sociale e per la cultura.
Molti sono i temi che verranno toccati. In primo luogo il tema del consenso informato, spesso concepito in modo astratto e bisognoso al contrario di essere riportato nella concretezza e nell’attualità della relazione medico-paziente.
Vi è poi il tema del rapporto fra autonomia e dignità umana: se l’autonomia, intesa sovente come unica espressione della libertà umana, è intesa come marca del valore della vita umana, nascerà fatalmente la tentazione di destituire di valore e di dignità tutti coloro che soffrono di un deficit di autonomia, con un crescente rischio di deriva eugenista.
In terzo luogo occorre puntualizzare le differenti angolature dei termini stessi: il concetto di autodeterminazione è stato utilizzato per secoli dalla filosofia morale come elemento caratterizzante della libertà umana, senza con ciò giungere alla pretesa di fondare (o ri-fondare) il senso dell’umanità e della legge naturale.
I lavori avranno anche l’obiettivo di posare lo sguardo sulle prospettive legislative in tema di dichiarazioni anticipate di trattamento, per osservare quali requisiti fondamentali debba tutelare un stato di diritto al fine di porsi realmente a servizio della vita umana.
Il convegno tenterà altresì di mettere in evidenza quale configurazione assume il principio di autodeterminazione nel nostro ordinamento giuridico in relazione soprattutto al bene “vita”. In modo induttivo possiamo asserire che l’ordinamento giuridico italiano considera il bene “vita” come un bene indisponibile.
Ciò è confermato in prima battuta dagli artt. 579 e 580 c.p che sanzionano rispettivamente l’omicidio del consenziente e l’istigazione e aiuto al suicidio.
Se le leggi italiane ritenessero la vita bene disponibile questi articoli del Codice penale non avrebbero ragione di esistere.
Giustamente non è sanzionato penalmente il tentato suicidio perché il legislatore ha ben compreso che lo strumento della repressione penale in questo caso sarebbe inefficace ed anzi peggiorerebbe la stato psicologico di colui che aveva in animo di togliersi la vita.
La mancanza di una risposta punitiva dello Stato non sta a significare, in questo caso, la liceità della condotta, né l’indifferenza dell’ordinamento giuridico verso questa fattispecie.
Bensì esprime la tolleranza dello Stato verso un comportamento dannoso per sé e per la comunità che abbisogna non di uno strumento repressivo, ma di altri percorsi più rispondenti ai profili specifici del caso.
La traduzione degli articoli sopra citati – artt. 579 e 580 c.p. – in termini eutanasici ed esemplificativi potrebbe essere la seguente. Il medico pratica una iniezione letale, es. barbiturico e cloruro di potassi (omicidio del consenziente).
Oppure: il medico consegna il farmaco letale al paziente e questi si inietterà da sé la sostanza che lo porterà alla morte (aiuto al suicidio). Il medico interrompe attivamente con il consenso del malato quelle cure che potrebbero permettergli di continuare a vivere, assumendo una condotta fattivamente collaborativa (omicidio del consenziente).
L’articolo 50 c.p. non viene poi in soccorso dei sostenitori della dolce morte: «Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne».
Infatti è lo stesso articolo che esplicitamente ci dice che la lesione del diritto può avvenire unicamente su beni disponibili («che può validamente disporne»), e non riguarda i beni indisponibili. Sarebbe una contraddizione in termini disporre di beni indisponibili.
Qualche lettore, in risposta alle argomentazioni esposte sin qui, potrebbe obiettare citando l’articolo 32 secondo comma della Costituzione: «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.[…]».
In genere questo articolo viene erroneamente inteso come salvacondotto per l’eutanasia omissiva. La risposta a tale obiezione si articola almeno in due direzioni.
Innanzitutto si deve ricordare il contesto in cui venne alla luce tale articolo. La data della firma della Costituzione – 27 Dicembre 1947 – ci rammenta che gli echi della Seconda Guerra Mondiale non si erano ancora spenti nell’Europa appena pacificata.
Nella memoria dei padri della Costituzione era ancora vivo il ricordo delle aberrazioni perpetrate dal regime nazionalsocialista su ebrei, cristiani, zingari, omosessuali e malati psichici.
Tra questi scempi spiccavano le famigerate sperimentazioni cliniche a scopo eugenetico. Nelle aule della costituente risuonava quindi come un imperativo categorico il divieto di sottoporre ad interventi a carattere clinico i pazienti senza loro consenso.
Così infatti si conclude l’art. 32: «La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Ben lungi dalle intenzioni dei costituenti perciò un avvallo seppur tacito all’eutanasia omissiva: semmai tutto il contrario.
Infatti nell’art. 32 risplende tutta la profonda consapevolezza del valore altissimo della vita umana che non può essere mai sfruttata per fini utilitaristici, vita a cui occorre accostarsi con rispetto e prudenza.
In seconda battuta l’art. 32 non è un prodromo dell’eutanasia omissiva, né un inno al principio di autodeterminazione inteso in senso assoluto. Infatti l’articolo stesso precisa che nessun individuo può essere obbligato a sottoporsi a cure «se non per disposizione di legge».
Ciò ci fa intendere che il principio di autodeterminazione non è assoluto ma incontra dei limiti. Uno di questi limiti è posto addirittura dal dettato legislativo. Infatti un soggetto può essere sottoposto coattivamente, a norma di legge, a vaccinazioni obbligatorie o a trattamenti psichiatrici obbligatori.