L’Amore è la Via della Verità della Vita

IV domenica del Tempo Ordinario, 31 gennaio 2010

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di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 29 gennaio 2010 (ZENIT.org).-“Allora cominciò a dire loro: ‘Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato’. Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: ‘Non è costui il figlio di Giuseppe?’. Ma egli rispose loro: ‘Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui, nella tua patria!”’. Poi aggiunse: ‘In verità vi dico: “Nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele, al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma a nessuno di loro fu purificato, se non Naaman, il Siro”’. All’udire queste cose tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino” (Lc 4,21-30).

La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1Cor 13,4-6).

Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce ti ho consacrato; (…) Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti” (Ger 1,5.19).

A Cafarnao, Gesù scaccia i demoni con la sua sola parola, guarisce le malattie con il semplice tocco della sua mano: la gente riconosce in lui il Messia atteso e non vuole più lasciarlo andar via (Lc 4,31-44). A Nazaret, la sua città, le cose vanno all’opposto: Gesù conferma di essere il Messia (“oggi si è compiuta questa Scrittura..”) e la gente rimane ammirata per la sapienza delle sue parole, ma quando mette in chiaro di non esser lì per far miracoli scatta la contestazione e il rifiuto.

E’ lo scandalo di tutti i tempi e di tutti i luoghi: “l’incontro con la santità non è mai così insopportabile, mai così sottili le obiezioni, mai così intollerante l’avversione come nella patria del profeta. Come ammettere che uno di cui si conoscono i genitori, che ci vive accanto, che non è poi diverso dagli altri, sia qualche cosa di santo? Un eletto quello lì, di cui si conoscono vita e miracoli? Lo scandalo è il grande avversario di Gesù” (Romano Guardini, “Il Signore”, cap VIII). A far traboccare il vaso dell’intolleranza, a Nazaret, è anche il campanilismo nazionale, che Gesù punge sul vivo con il doppio riferimento ai miracoli di Elia ed Eliseo in favore della vedova di Sarepta e di Naaman, il Siro, entrambi pagani.

A questo punto il messaggio teologico è già abbastanza chiaro: il piano di Dio ha una dimensione universale: Gesù non è solo il salvatore di Israele, ma la luce che illumina ogni uomo; la sua opera di salvezza non può che estendersi oltre ogni confine geografico, sociale, culturale, morale e spirituale.

Ma per comprendere ulteriormente il motivo del clamoroso “linciaggio” di Gesù, è necessario ricordare la citazione che egli fa del passo di Isaia, letto domenica scorsa: “Lo Spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione..” (Is 61,2s). Rivediamo la scena. Quel sabato, dopo il suo ritorno in comunità, Gesù era stato invitato a leggere. Nella sinagoga regnava un silenzio di tomba: “gli occhi di tutti erano fissi su di lui” (Lc 4,20): quale sarà il suo commento? Il commento di Gesù è brevissimo, folgorante: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato” (Lc 4,21).

Le orecchie dei presenti sarebbero probabilmente disposte ad accettare la rivendicazione messianica di Gesù, se egli non avesse commesso una “imperdonabile” omissione, citando il profeta Isaia. Gesù infatti ne proclama il testo fino a: “..a promulgare l’anno di grazia del Signore”, e taglia il resto della frase, che prosegue così: “il giorno di vendetta del nostro Dio, per consolare tutti gli afflitti” (Is 61,2b).

La gente rimane attonita: rinunciare alla vendetta è un tradimento religioso e nazionale! Per il popolo di Israele, infatti, l’avvento del Regno messianico promesso sarebbe coinciso con “il giorno della vendetta” di Dio contro gli oppressori del popolo, così gli afflitti avrebbero visto ristabiliti i loro diritti. Ma Gesù non è uno zelota: egli è venuto nel mondo per mostrare “la via più sublime..la più grande di tutte: la carità” (1Cor 12,31-13,13).

Gesù parlava la lingua degli uomini e degli angeli, aveva il dono della profezia, conosceva tutti i misteri e aveva tutta la conoscenza: non gli mancava nulla per farci conoscere tutto quello che aveva udito dal Padre (Gv 15,15). Perché allora ha voluto coronare tale rivelazione dando in cibo se stesso, e consegnando il suo corpo alla morte e alla morte di croce? Unicamente per quell’amore “fino alla fine” (Gv 13,1) che non solo ha “vinto il mondo” (Gv 16,33), ma, per la testimonianza del sangue, lo ha anche convinto della verità di tutto ciò che Gesù ha detto e ha fatto. Gesù ha pagato con la vita la sua testimonianza alla Verità, ma il suo sdegno per l’ingiustizia ha sempre avuto il volto del perdono, il volto del Padre misericordioso che lo ha mandato a distruggere non i peccatori, ma le opere del diavolo, una delle quali è proprio la vendetta.

Perciò, a Nazaret, Gesù lancia il più rivoluzionario dei messaggi: è giunta l’ora di spalancare le porte del cuore ad ogni persona, e lasciarle sempre spalancate in modo da essere veramente liberi, liberati da quella giustizia farisaica che è la schiavitù peggiore, se si vuole davvero entrare nel Regno di Dio (Mt 5,20), perché acceca e paralizza il cuore. Il messaggio viene però istintivamente rifiutato e, dopo una breve latenza, genera una acuta reazione di rigetto nei confronti di Gesù stesso: “Si alzarono, lo cacciarono fuori..lo condussero sul ciglio del monte per gettarlo giù..” (Lc 4,29).

Come attualizzare questo Vangelo?

Ascoltiamo la sapienza di Benedetto XVI: “L’amore nella verità – caritas in veritate – è una grande sfida per la Chiesa in un mondo in progressiva e pervasiva globalizzazione. Il rischio del nostro tempo è che, all’interdipendenza di fatto tra gli uomini e i popoli, non corrisponda l’interazione etica delle coscienze e delle intelligenze, dalla quale possa emergere come risultato uno sviluppo veramente umano. Solo con la carità, illuminata dalla luce della ragione della fede, è possibile conseguire obiettivi di sviluppo dotati di una valenza più umana e umanizzante” (Enciclica “Caritas in veritate”, n. 6).

Queste parole mi sembrano una sintesi del Messaggio della CEI per la XXXII Giornata per la Vita, dal titolo: “La forza della vita una sfida nella povertà”.

Il primo riferimento del Messaggio è al volto economico della povertà. E’ vero che l’indigenza materiale costituisce un motivo reale per indurre nella tentazione dell’aborto, tuttavia sappiamo bene che la vera, fondamentale minaccia alla vita nel grembo non viene dalla “crescente povertà dei mezzi e delle risorse”, bensì da quella “congiura contro la
vit
a” che Giovanni Paolo II ha denunciato come strategia globale delle istituzioni internazionali e dei mass media del mondo intero (Enciclica “Evangelium vitae”, n.17).

I Vescovi scrivono nel Messaggio: “Sarebbe assai povera ed egoista una società che, sedotta dal benessere, dimenticasse che la vita è il bene più grande”. Il condizionale esprime la situazione reale: la nostra società è ampiamente sedotta e “drogata” dal benessere, e, a causa di ciò, si ritrova sprofondata nella povertà più miserevole: il vuoto di Dio Amore. Avendo dimenticato che Dio Amore, Creatore dell’uomo, è il Bene più grande per l’uomo: di conseguenza non può riconoscere la Verità trascendente della vita umana.

Perciò il mondo e la società non si curano affatto della vita dell’uomo che Dio ha formato nel grembo materno, mentre si curano del clima e della vita degli animali. Oggettivamente è una spaventosa e criminale contraddizione, ma procede da una profonda “coerenza”, dal momento che mentre il rapporto con Dio riguarda, dipende e coinvolge direttamente il rapporto con il prossimo (Mt 25,40: “lo avete fatto a me”), il rapporto con la natura non dipende più che tanto dalla fede in Cristo. Perciò, chi vive come se il Dio di Gesù Cristo non ci fosse, non può cogliere il valore divino e il destino eterno della vita umana, che addirittura precedono il concepimento (“Prima di formarti nel grembo materno ti ho conosciuto,..” – Ger 1,5; “In lui ci ha scelti, prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà... – Ef 1,4-5).

La forza della vita, perciò, è la sfida del piccolo Davide contro il gigante Golia, la sfida della debolezza estrema (chi è più debole dell’uomo appena concepito?) che confida unicamente nella grazia, e sa, per la certezza della fede, che “la vita vincerà” (Istruzione “Dignitas personae”, n. 3). A questa vita che possiede solo la forza della propria esistenza, si rivolge oggi il profeta Geremia. Proviamo a rileggere dall’inizio le sue parole pensando che il loro destinatario è la vita umana, specialmente quella più inerme e minacciata di morte, dal concepimento fino al suo spegnersi naturale. Nonostante la situazione presente, nonostante la congiura dei potenti, possiamo dire con sicurezza alla vita: “Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti” (Ger 1,19).

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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ZENIT Staff

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