di Chiara Santomiero
ROMA, giovedì, 28 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Giornalista, direttore del quotidiano “Avvenire” dal 1969 al 1980, deputato al Parlamento europeo, intellettuale cristianamente impegnato, uomo di cultura e poeta di un certo rilievo: sintetizza così la figura di Angelo Narducci, nella prefazione del libro a lui dedicato, il giornalista ed amico Angelo Paoluzi.
Anche il titolo del libro curato da Giuseppe Merola, dottore di ricerca in Storia del giornalismo presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione sociale della Pontificia Università Salesiana di Roma, enuncia “Angelo Narducci e Avvenire. Storia di un giornalista, poeta, politico con l’ansia di essere cristiano”, quasi a non poter tenere distinti gli aspetti di una personalità poliedrica che ha segnato un periodo particolare della stampa cattolica italiana.
A 25 anni dalla morte del giornalista aquilano, la pubblicazione presentata mercoledì a Roma presso la Sala Marconi di Radio Vaticana per iniziativa della Libreria editrice vaticana, dell’Unione cattolica stampa italiana del Lazio e della Aracne editrice, ripercorre i precedenti e la storia di Avvenire e il ruolo svolto da Narducci nell’avvio del quotidiano dei cattolici italiani.
“Un giornale voluto da Paolo VI – ha sottolineato Angelo Scelzo, sottosegretario del Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali –, figura di grande riferimento per Narducci che nutriva per il pontefice amicizia e stima così come una grande amicizia lo legava ad Aldo Moro”.
“Non a caso – ha sottolineato Scelzo – l’editoriale più amaro scritto da Narducci nei suoi anni da direttore di Avvenire fu proprio quello per la morte di Aldo Moro, che avrebbe voluto salvare a tutti i costi e la cui vicenda lo segnò profondamente anche negli anni successivi all’uccisione dello statista”.
La vicenda Moro non fu l’unico avvenimento lacerante degli anni della direzione Narducci, segnati dalla contestazione, dal terrorismo, dalla contrapposizione del mondo in blocchi, dalla guerra fredda e, nella vita della Chiesa, delle battaglie contro le leggi a favore del divorzio e dell’aborto.
Dalle colonne di Avvenire Narducci lanciò numerosi appelli in difesa del valore della famiglia intesa come “cellula essenziale di ogni società” e “chiesa domestica: cioè centro di amore, non chiuso in se stesso, ma aperto e destinato a riverberarsi su tutti gli uomini e sul mondo”.
<p>“Nella nettezza delle posizioni e senza concessioni compromissorie – ha affermato Paoluzi in una testimonianza inserita da Merola nel testo -, Angelo si guadagnò il rispetto di amici ed avversari (considerando che tra questi c’erano anche cattolici, culturalmente autorevoli e diversamente pensanti) per il tono con il quale seppe impostare i problemi che facevano salva la dignità di tutti”.
“Quando si trattò di difendere la famiglia dalla legge Baslini-Fortuna che legalizzava il divorzio – sottolinea ancora l’autore del libro – e dalla legge 194 che legalizzava l’aborto, Avvenire si impegnò a dare un’informazione chiara ed esauriente sul dibattito parlamentare cercando di consentire all’opinione pubblica di farsi un’idea propria”.
In questi due avvenimenti che contrassegnarono la vita della Chiesa e della società italiana nel 1974 e nel 1976, l’attuale direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, legge “una risonanza tra il tempo di Narducci e il nostro, segnato dal referendum del 2005 sulla legge 40 in materia di fecondazione assistita e la battaglia intorno alla famiglia del biennio 2006-2008 che ha portato molta amarezza anche nel mondo cattolico”.
Le mobilitazioni di oggi e quelle di allora, secondo Tarquinio, “sono unite dal concetto di ‘cosa è l’uomo’ e del perché non debba essere manipolato”. “Ciò che emerge con forza dalle pagine di Narducci – ha affermato Tarquinio intervenendo alla presentazione del libro – è al centro del giornalismo che cerchiamo di fare anche oggi ad Avvenire, un giornale che non ha mai rinunciato all’obiettivo di essere un quotidiano d’informazione e controinformazione, controcorrente rispetto al pensiero comune”.
E se “gli avversari sono gli stessi degli anni di Narducci”, le questioni sono state portate su “un crinale più scivoloso, quello dei distinguo” circa le definizioni di vita e di morte. Caso emblematico quello di Eluana Englaro “persona non ‘già’ morta, come veniva sostenuto, ma disabile gravissima alimentata ed accudita amorevolmente”.
Caso emblematico, secondo Tarquinio, “di un tempo in cui ci viene detto che stare dalla parte della libertà e della vita è l’esatto opposto di quanto abbiamo creduto”. Seguendo “l’eredità dei grandi direttori che ci hanno preceduto – ha affermato Tarquinio – vogliamo sostenere che l’uomo è uomo sempre, quando è appena nato, quando è malato, quando viaggia per il mondo come un fagotto come accade agli immigrati: è sempre la stessa persona umana”.
Sull’esempio di Narducci, ha concluso il direttore di Avvenire “vogliamo essere capaci di fare un giornalismo al servizio della comunità, con ‘pazienza’ e ‘innocenza’, la sola qualità capace di vincere il male”.