di Antonio Gaspari
ROMA, mercoledì, 27 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Proprio oggi, in un momento di forte dibattito sui rapporti tra cristiani e musulmani, il Pontefice Benedetto XVI ha indicato san Francesco come esempio per il dialogo con l’Islam.
Per questo motivo abbiamo posto alcune domande a padre Pietro Messa, ofm, Preside della Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani presso la Pontificia Università “Antonianum” di Roma.
Nel corso dell’Udienza generale Benedetto XVI ha indicato san Francesco come modello del dialogo con l’Islam ed ha fatto riferimento all’incontro con il Sultano Melek-el-Kamel. Può raccontarci come avvenne questo incontro e cosa disse san Francesco al Sultano?
Padre Messa: Circa l’incontro tra frate Francesco d’Assisi e il sultano Melek-el-Kamel vi sono diverse testimonianze, contenute sia nei racconti della vita del Santo, sia in cronache del tempo. Non sempre tali testimonianze collimano, perché spesso gli scrittori parlando del Santo di Assisi sono più preoccupati di dare una loro versione circa il modo di rapportarsi con i musulmani che di fare una cronaca degli avvenimenti, come ha evidenziato anche il recente libro di John Tolan, “Il Santo dal Sultano. L'incontro di Francesco d'Assisi e l'Islam” (Laterza, 2009). Proprio per cercare di comprendere maggiormente tale avvenimento si terrà nel settembre prossimo a Firenze un convegno dal significativo titolo "San Francesco e il Sultano".
Quindi non possiamo sapere cosa sia successo in quel momento?
Padre Messa: Come ormai è assodato negli studi francescani, è possibile risalire dall’agiografia alla storia, dando sempre un posto particolare agli scritti dello stesso Francesco. Così la chiave di lettura dell’incontro con Melek-el-Kamel è quanto scrive lo stesso frate Francesco a proposito di coloro che vanno tra i Saraceni, ossia i musulmani: «I frati poi che vanno tra gli infedeli possono comportarsi spiritualmente in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti né dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani. L’altro modo è che, quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio perché essi credano in Dio onnipotente Padre Figlio e Spirito Santo, creatore di tutte le cose, e nel Figlio redentore e salvatore, e siano battezzati, e si facciano cristiani, poiché, se uno non sarà rinato dall’acqua e dallo Spirito Santo, non può entrare nel regno di Dio» (Regola non bollata, XVI,5-7: Fonti Francescane, 43).
E’ vero che san Francesco sfidò il Sultano a convertirsi al cristianesimo?
Padre Messa: Certamente no, perché contrasterebbe con quanto espresso da lui stesso, cioè che i frati quando vanno tra i musulmani «non facciano liti né dispute»; questo non gli impedì di compiere quanto richiese sempre ai frati ossia che «confessino di essere cristiani» e «che, quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio».
Nel corso dell’incontro san Francesco chiese esplicitamente di poter predicare il Vangelo in territorio islamico?
Padre Messa: Nel 1209 la primitiva fraternità minoritica, assieme a Francesco, incontrò Papa Innocenzo III per farsi confermare la loro modalità di vita, cioè «vivere secondo la forma del santo Vangelo». Uno dei motivi che spinse Francesco ad andare dal «Signor Papa» – come lui lo chiama – è anche la possibilità di svolgere una predicazione di tipo penitenziale-esortativa. Tuttavia nel suo Testamento Francesco afferma: «Comando fermamente per obbedienza a tutti i frati che, dovunque si trovino, non osino chiedere lettera alcuna di privilegio alla Curia romana, né personalmente né per interposta persona, né a favore di chiesa o di altro luogo, né sotto il pretesto di predicazione». Se non voleva che si chiedesse neppure alla Curia romana lettere in favore della loro predicazione, non appare plausibile che andasse a chiederle al Sultano.
La libertà di poter praticare la religione cattolica e diffondere il Vangelo nei paesi a maggioranza islamica è ancora oggi una questione non risolta. Qual è il suo parere in proposito?
Padre Messa: La libertà religiosa è uno dei diritti dell’uomo che deve essere riconosciuto ovunque e per chiunque; esso consiste nella possibilità di professare una religione, cambiarla o anche non averne alcuna; usando le parole di sant’Agostino potremmo definirla come l’avventura di trovare la Verità e dopo averla trovata cercarla ancora. Purtroppo spesso si confonde la libertà religiosa con la libertà di culto, ossia la concessione di esercitare il culto della propria religione, ma senza l’opportunità di comunicarla ad altri o professarla pubblicamente. Quindi si tratta prima di tutto di una questione di diritti dell’uomo.
Un'altra questione irrisolta è quella relativa alla libertà dei fedeli dell’Islam di convertirsi ad un'altra religione. Senza una soluzione a questa questione è difficile immaginare sviluppi significativi nel dialogo, non crede?
Padre Messa: Come espresso sopra in questione è sempre la libertà religiosa, che spesso in alcuni paesi o culture si afferma di garantire ad ogni persona, mentre in realtà si sta soltanto permettendo la libertà di culto.
Quali sono le virtù francescane da praticare oggi per superare il conflitto che sembra contrapporre l’Islam al Cristianesimo?
Padre Messa: Quello che stupisce in Francesco d’Assisi è come in lui sussista una identità cristiana molto chiara e la capacità di incontro e dialogo. Il prof. Andrè Vauchez, chiedendosi come è potuto coesistere in Francesco identità e dialogo ha dato una spiegazione nel fatto che egli voleva un’adesione integrale al Vangelo, non per viverlo in modo letterale – cosa che lo avrebbe reso un integralista – ma per coglierne lo spirito contenuto nella lettera [cfr. André Vauchez, Francesco d'Assisi e il Vangelo tra lettera e spirito, in Frate Francesco 74 (2008), 325-338]. Con una bella espressione egli dice che Francesco visse un’osservanza “spiritualmente letterale” del Vangelo.