Il Papa: in seminario capii che “Cristo era più forte della tirannia”

Nel discorso per il conferimento della cittadinanza onoraria di Frisinga

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CITTA’ DEL VATICANO, martedì, 19 gennaio 2010 (ZENIT.org).- La desolazione scavata dal nazismo, la voglia di rinascita nel dopoguerra e la certezza che la tirannia può essere sconfitta da Cristo: sono questi i sentimenti legati agli anni della formazione in seminario rievocati con commozione da Benedetto XVI nel ricevere, il 16 gennaio scorso, la delegazione della città tedesca di Frisinga, giunta in Vaticano per conferire al Papa la cittadinanza onoraria.

Durante l’incontro il Papa ha ricordato il profondo legame che lo lega a questa città, inserita nel territorio dell’arcidiocesi bavarese da lui guidata dal 1977 al 1982, prima di essere nominato da Giovanni Paolo II Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

Un legame speciale richiamato anche dalla scelta di Joseph Razinger di inserire nello stemma episcopale e poi in quello pontificio i simboli del “Moro di Frisinga” – la testa di moro coronata ritratta nel suo profilo sinistro, usata da tutti gli Arcivescovi di Monaco e Frisinga, a partire dal 1817 anno del ‘Concordato Bavarese’, che segna l’atto di nascita della Arcidiocesi – e dell’ “Orso di San Corbiniano”, che si riferisce a una leggenda relativa al Vescovo Corbiniano, giunto da Arpajon, nei pressi di Parigi, intorno al 724 per annunciare il Vangelo nell’antica Baviera.

Nel suo discorso improvvisato il Papa ha parlato di quando, il 3 febbraio 1946, il seminario di Frisinga riaprì le sue porte, dopo una lunga attesa, a un gruppo di aspirati al sacerdozio.

Allora, una parte della casa era stata adibita a ospedale militare per prigionieri di guerra stranieri, che erano lì ricoverati in attesa di essere rispediti in patria, ma nonostante la mancanza di comodità si viveva una sorta di euforia, ha raccontato Benedetto XVI.

“Eravamo in dormitori, in sale per gli studi e così via, ma eravamo felici – ha affermato –, non solo perché finalmente sfuggiti alle miserie e alle minacce della guerra e del dominio nazista, ma anche perché eravamo liberi e soprattutto perché eravamo sul cammino al quale ci sentivamo di essere chiamati”.

“Sapevamo che Cristo era più forte della tirannia, del potere dell’ideologia nazista e dei suoi meccanismi di oppressione – ha quindi sottolineato –. Sapevamo che a Cristo appartengono il tempo e il futuro, e sapevamo che Egli ci aveva chiamati e che aveva bisogno di noi, che c’era bisogno di noi”.

“Sapevamo che la gente di quei tempi mutati ci attendeva, attendeva sacerdoti che arrivassero con un nuovo slancio di fede per costruire la casa viva di Dio”.

Sono poi venuti gli anni della Scuola superiore di filosofia e di teologia di Frisinga – che lo vedrà successivamente come docente di teologia dogmatica e fondamentale -, dove gli insegnanti “non erano solo studiosi, ma anche maestri, persone che non offrivano solamente le primizie della loro specializzazione, ma persone alle quali interessava dare agli studenti l’essenziale, il pane sano di cui avevano bisogno per ricevere la fede da dentro”.

Benedetto XVI ha quindi richiamato il giorno della sua ordinazione sacerdotale insieme con il fratello Georg, avvenuta nel Duomo di Frisinga il 29 giugno 1951, e alle sensazioni provate nel rimanere sdraiato sul pavimento davanti all’altare, durante l’invocazione dei santi con il canto delle litanie.

“Quando sei lì, supino, sei consapevole una volta di più della tua miseria e ti chiedi: ma sarai poi veramente capace di tutto ciò?”.

Poi l’imposizione delle mani da parte dell’anziano Cardinale Faulhaber “e la consapevolezza che è il Signore a porre le mani su di me e dice: appartieni a me, non appartieni semplicemente a te stesso, ti voglio, sei al mio servizio; ma anche la consapevolezza che questa imposizione delle mani è una grazia, che non crea solo obblighi, ma che è soprattutto un dono, che Lui è con me e che il suo amore mi protegge e mi accompagna”.

Infine la memoria del Papa si è fermata sui tre anni e mezzo trascorsi assieme ai genitori nell’appartamento situato nel Lerchenfeldhof, che “hanno fatto sì che sentissi Frisinga veramente come ‘casa mia’”.

Il Pontefice ha quindi richiamato le torri della città che svettano dal Domberg, l’altura sulla quale sorge il Duomo, e che “indicano un’altitudine diversa da quella alla quale possiamo assurgere con l’aereo: indicano l’altitudine vera, quella di Dio, dalla quale proviene l’amore che ci fa diventare uomini, che ci dona il vero ‘essere umani’”.

All’inizio dell’udienza, secondo quanto riportato da “L’Osservatore Romano”, il sindaco di Frisinga, Dieter Thalhammer, ha salutato Benedetto XVI a nome dei presenti, citando Thomas Mann, il quale diceva che “un abitante di Frisinga non è solo uno che vi è nato. Abitanti di Frisinga sono quanti con la vita e con le opere sono legati a essa e nutrono per essa stima e apprezzamento”.

“In questo senso – ha aggiunto -, lei è un abitante di Frisinga”.

Il sindaco ha quindi informato il Papa che, a ricordo del conferimento della cittadinanza onoraria, sarà collocata nel cortile del Duomo un’opera in bronzo.

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ZENIT Staff

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