di padre Angelo del Favero*
ROMA, venerdì, 15 gennaio 2010 (ZENIT.org).-“Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino la madre di Gesù gli disse: ‘Non hanno più vino’. E Gesù le rispose: ‘Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora’. Sua madre disse ai servitori: ‘Qualunque cosa vi dica, fatela’ (…). Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: ‘Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora’. Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui. Dopo questo fatto scese a Cafarnao, insieme a sua madre, ai suoi fratelli e ai suoi discepoli. Là rimasero pochi giorni” (Gv 2,1-12).
“Per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo, finchè non sorga come aurora la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada. Allora le genti vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria; sarai chiamata con un nome nuovo che la bocca del Signore indicherà. Sarai una magnifica corona nella mano del Signore, un diadema regale e nella palma del tuo Dio. Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma sarai chiamata mia Gioia e la tua terra Sposata, perché il Signore troverà in te la sua delizia e la tua terra avrà uno sposo. Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposeranno i tuoi figli; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te” (Is 62,1-5).
La presenza di Gesù alle nozze di Cana è collocata dall’evangelista Giovanni al settimo giorno dalla comparsa (Gv 1,19-28) sulla scena del Battista, “l’amico dello sposo”(Gv 3,29). E’ così stabilita una settimana particolare che rimanda al primo capitolo del libro della Genesi: il racconto della creazione del mondo che Dio fece in sei giorni, dopo dei quali, creata infine la prima coppia umana, “nel settimo giorno cessò da ogni suo lavoro” (Gen 2,2).
Il significato della partecipazione del Signore alla festa di nozze è spiegato assai bene in una catechesi di Giovanni Paolo II:“Il contesto di un banchetto di nozze, scelto da Gesù per il suo primo miracolo, rimanda al simbolismo matrimoniale, frequente nell’Antico Testamento per indicare l’Alleanza tra Dio e il suo popolo e nel Nuovo Testamento per significare l’unione di Cristo con la Chiesa. La presenza di Gesù a Cana manifesta inoltre il progetto salvifico di Dio riguardo al matrimonio. In tale prospettiva, la carenza di vino può essere interpretata come allusiva rispetto alla mancanza d’amore, che purtroppo non raramente minaccia l’unione sponsale. Maria chiede a Gesù di intervenire in favore di tutti gli sposi, che solo un amore fondato in Dio può liberare dai pericoli dell’infedeltà, dell’incomprensione e delle divisioni. La grazia del Sacramento offre agli sposi questa forza superiore d’amore, che può corroborare l’impegno della fedeltà anche nelle circostanze difficili” (Giovanni Paolo II, Udienza generale del 5/03/1997).
In effetti l’esaudimento di Gesù alla richiesta di sua madre è superiore ad ogni necessità, ma è proprio in questo eccesso che va riconosciuto il primo e fondamentale “segno” della sua “gloria”.
Ascoltiamone l’interpretazione dalla sapienza di Benedetto XVI: “Il Signore offrì agli ospiti delle nozze di Cana circa seicento litri di gustoso vino. Anche considerando che le nozze orientali duravano un’intera settimana e che tutto il clan familiare degli sposi partecipava alla festa, resta tuttavia il fatto che si tratta di un’abbondanza incomprensibile. L’abbondanza, la profusione è il segno di Dio nella sua creazione; Egli sciala, crea l’intero universo per dare un posto all’uomo. Egli da la vita con un’abbondanza incomprensibile. A Cana il grande dono lascia presagire la natura inesauribile dell’amore di Dio, parla di un amore che proviene dall’eternità, che è incommensurabile e quindi salvifico. Il miracolo del vino ci aiuta così a capire cosa significa ricevere nella fede, attraverso Cristo, lo Spirito Santo, cioè, una nuova grandezza, una nuova elezione e una nuova abbondanza di vita” (da “Il segno di Cana”, in Communio 205).
E’ il caso qui di collegare il Vangelo di Cana con la famosa affermazione di Ireneo: “L’uomo vivente è gloria di Dio”, per riconoscere nella persona di Gesù la verità e il fondamento della dignità infinita di ogni uomo, dato che il Padre “in lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati nella carità, predestinandoci ad essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo” (Ef 1,4-5). Non dimentichiamo che sia l’affermazione di Ireneo (che anzitutto va riferita all’uomo Gesù, che a Cana manifesta la gloria di essere Dio), sia la rivelazione di Paolo (che ne è spiegazione dal nostro versante), sono vere a partire dal momento della creazione dell’uomo vivente, cioè il concepimento nel grembo materno.
Ecco allora che la carenza di vino, chiaramente allusiva alla mancanza d’amore nel matrimonio, ne evoca immediatamente le conseguenze a carico della famiglia. Senza dimenticare la tragedia infinita del rifiuto omicida della vita non nata, attuato mediante l’aborto chimico e chirurgico, né quella dell’uccisione di un numero incalcolabile di figli con la fecondazione artificiale, ascoltiamo questi dati sociologici: “In Europa, mentre i matrimoni calano sensibilmente ogni anno, i divorzi crescono: ormai sono più di un milione all’anno e raggiungono la metà dei matrimoni celebrati annualmente. Negli ultimi dieci anni sono stati 10,3 milioni e hanno coinvolto oltre 17 milioni di bambini. I figli dei divorziati nella percentuale dell’85% sono affidati alla madre e molti di essi, intorno al 25%, perdono dopo circa due anni il contatto con il padre. Gli studi psicologici mettono in evidenza che l’assenza del padre durante l’infanzia e l’adolescenza dei figli li espone a vari rischi: narcisismo, per cui manca il senso del limite e si vuole tutto e subito; depressione, ansia e scarsa autostima; passività e mancanza di progettualità, dipendenza dal parere degli altri, da TV e internet, dai consumi, dall’alcool e dalla droga; senso di impotenza, rabbia, aggressività, violenza” (Card. E. Antonelli, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia: relazione tenuta a Bruxelles, il 9/12/2009, in occasione dell’incontro dei Presidenti delle Associazioni Familiari Cattoliche Europee).
Nonostante questo quadro oscuro, il Vangelo di Cana, con la presenza vigile di Maria, ci muove a fare totalmente nostra la speranza di Giovanni Paolo II, consapevoli che anche oggi Maria ha bisogno di “servitori” del “vino buono”, rappresentati anzitutto dalle stesse famiglie cristiane, chiamate concretamente a farsi “prossimo” di ogni famiglia in difficoltà (cfr Lc 10,25-37).
Ognuna di tali famiglie missionarie è chiamata ad essere soggetto di evangelizzazione, come richiesto esplicitamente dal cardinale Antonelli a Bruxelles: “In senso proprio e credibile, evangelizza non la famiglia semplicemente rispettabile, non la famiglia praticante e tuttavia allineata con i modi di pensare
e agire secolarizzati; ma la famiglia che vive una spiritualità cristocentrica, biblica, eucaristica, trinitaria, ecclesiale, laicale, cioè incarnata nelle realtà terrene, nelle molteplici relazioni e attività di ogni giorno; la famiglia che vive l’amore come dono e comunione, quale partecipazione all’alleanza nuziale di Cristo con la Chiesa, quale riflesso della comunione trinitaria delle persone divine e anticipo della festa nuziale nell’eternità”. Icona e fonte perfetta di una simile spiritualità è il Vangelo della nozze di Cana.
Anche dal profeta Isaia, oggi, giunge tale messaggio di speranza: “Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma sarai chiamata mia Gioia e la tua terra Sposata” (Is 62,4). I nomi propri “Abbandonata” e “Devastata” si riferiscono a Gerusalemme, città personificata, sposa infedele che si è meritata l’esperienza riparatrice e purificatrice dell’esilio a Babilonia; mentre “Sposata” è segno del radicale cambiamento portato dall’intervento di Dio, Sposo fedele.
Possiamo riconoscere nella Città santa violata la figura della famiglia di oggi, semidistrutta dalla perdita della fede, dall’edonismo e dal laicismo. Ma noi crediamo che in forza stessa dell’incarnazione del Verbo in una famiglia umana, alla mensa di ogni famiglia è presente, anche se non riconosciuto, il Signore Gesù suo Salvatore.
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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.