MOSCA, mercoledì, 23 dicembre 2009 (ZENIT.org).- Su cosa accadde al Concilio Vaticano II e soprattutto sulle confuse interpretazioni del dopo Concilio, si sta sviluppando un dibattito intenso con articoli, libri, interventi.
Alla domanda se il Vaticano II è stata una rivoluzione o una sintesi di tradizione e novità ha risposto monsignor Agostino Marchetto, Segretario del Pontificio Consiglio per la pastorale dei migranti, presentando il 23 novembre a Mosca, al Centro Culturale “Biblioteca dello Spirito” l’edizione russa del suo libro “Il Concilio Vaticano II: contrappunto alla sua storia”, un’analisi critica della storiografia del Concilio Vaticano II, pubblicata dall’editrice Biblioteca dello Spirito.
L’idea centrale dell’autore, argomentata nei diversi capitoli del libro, è il superamento di una visione del Concilio che va per la maggiore, secondo cui esso sarebbe un evento “rivoluzionario” che infrange la continuità della tradizione ecclesiale.
L’autore insiste invece sulla “corretta interpretazione” delle fonti storiche del Vaticano II e dimostra che il Concilio, che ha avuto un’immensa importanza per la Chiesa cattolica nella seconda metà del XX secolo, non rappresenta una rottura con la tradizione, ma “congiunge nuovo e antico, tradizione e apertura alla novità, conservando la continuità della fede e incarnandola come è doveroso nella contemporaneità”.
Il libro di Marchetto è veroso nella contemporaneità» stata una rivoluzione o una sintesi sta aviluppando un dibauno studio attento e critico che fa da contrappunto alla storiografia del Vaticano II come presentata dalla cosiddetta “Scuola di Bologna”, caratterizzata da un’ideologizzazione che, tra l’altro – ha osservato Marchetto – non ha contribuito a rendere autorevole la Chiesa cattolica fra i cristiani di altre confessioni.
“Gli ortodossi che hanno letto i libri della ‘Scuola di Bologna’ – ha precisato – sono rimasti sconcertati. Ne hanno ricavato un giudizio univocamente negativo sulla Chiesa cattolica, che si presenta ai loro occhi come modernista”.
Monsignor Marchetto ha raccontato di conoscere alcuni ortodossi che ritengono che oggi Papa Benedetto XVI “cerchi affannosamente di riportare il treno della Chiesa sulla strada della tradizione”, ed ha precisato che in realtà il Pontefice non “riporta, bensì conduce la locomotiva della Chiesa su questa strada”.
Questa precisazione è di fondamentale importanza: l’autore del libro riporta un’affermazione di Benedetto XVI tratta dal discorso del 22 dicembre 2005, in cui il Papa respinge l’opinione “che al Concilio Vaticano II sia avvenuta una rottura con tutto ciò che lo precedeva”.
Per l’Arcivescovo Marchetto e i sostenitori delle sue tesi, tra cui vi sono storici italiani e americani, la parola chiave per descrivere il significato del Concilio Vaticano II è un termine entrato in tutte le lingue contemporanee, “aggiornamento”, ed ha aggiunto: “È qui che si rispecchia l’originalità, il senso e lo scopo principale di ogni Concilio, di congiungere nova (il nuovo) e vetera (l’antico), tradizione e apertura alla novità, o, se si vuole, incarnazione della novità”.
Nel corso dell’incontro l’Arcivescovo ha espresso la speranza che il suo libro “contribuisca a riportare uno sguardo positivo sulla storia della Chiesa cattolica e del Concilio Vaticano II”.
Inoltre si è detto convinto che una riflessione teologica sui documenti del Concilio da parte dei pensatori ortodossi possa offrire un contributo alla preparazione del Concilio Panortodosso.
Uno dei compiti del Concilio Vaticano II è stato quello di “guardare con benevolenza al mondo”, ha proseguito monsignor Marchetto, ma questo non significa “conformarsi al mondo”; per questo “l’operato del Concilio può essere considerato un tentativo profetico di soccorrere l’umanità nella sua situazione attuale”.
“Sono convinto – ha affermato – che il Concilio Vaticano II sia stato una grazia, che ci aiuta ad orientarci in situazioni molto difficili del mondo secolarizzato”, osservando che “alla sfida del secolarismo oggi sono chiamati a rispondere i cristiani delle diverse confessioni”.
Rispondendo a una domanda dello storico, professor Anatolij Krasikov, che era presente al Concilio Vaticano II come giornalista, l’Arcivescovo Marchetto ha rilevato che questo Concilio può essere anche inteso come un “tentativo di tornare alla Chiesa delle origini”, di mettere in rilievo l’evidente continuità con la Chiesa del primo millennio.
In merito al rapporto con gli ortodossi monsignor Marchetto ha precisato di ritenere molto vicini il Concilio locale della Chiesa ortodossa russa del 1917-1918 e il grande Concilio Vaticano II, sebbene più di mezzo secolo li separino.
A questo proposito, ha sottolineato che “in realtà, il loro spirito e alcuni temi e proposte coincidono”.
L’autore ha inoltre detto di ritenere molto importante la presenza della Chiesa ortodossa russa al Concilio Vaticano II. Nel testo della postfazione si cita l’Osservatore della Chiesa ortodossa russa al Concilio Vaticano II, padre Vitalij Borovoj.
Di lui monsignor Marchetto ha parlato anche alla presentazione, ricordando come padre Vitalij abbia “dato un giudizio entusiastico del Concilio Vaticano II, dicendo che la Chiesa cattolica ci era passata restando unita”.
Aleksej Judin, docente dell’Università Umanistica Russa, specialista di storia della Chiesa cattolica, ha osservato invece che l’isolamento intellettuale del periodo sovietico ha contribuito al rafforzarsi in Russia di una percezione “mitologica” del Concilio Vaticano II esattamente come rivoluzione, lotta, in cui “i buoni hanno il sopravvento sui cattivi”.
A un convegno ortodosso la scrittrice Elena Čudinova ha detto: “Dall’esempio dell’Occidente vediamo come la Chiesa si sia messa a correre dietro al mondo. A questo l’Occidente è stato condotto dal Concilio Vaticano II, che ha praticamente privato di senso ogni missionarietà, dicendo che tutte le religioni sono egualmente vere”.