CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 21 dicembre 2009 (ZENIT.org).- I fedeli di tutto il mondo hanno potuto constatare in diretta televisiva i cambiamenti avvenuti nella liturgia pontificia sotto Benedetto XVI.
Ne abbiamo parlato con don Mauro Gagliardi, Ordinario della Facoltà di Teologia dell’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum” di Roma e Consultore dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice, nonché curatore della rubrica di teologia liturgica “Spirito della liturgia”, pubblicata su ZENIT a cadenza quindicinale.
Leggendo l’articolo di Luigi Accattoli, Il rito del silenzio secondo papa Ratzinger (Liberal, 1° dicembre 2009, p. 10) emerge l’idea di un certo lavorio, sollecitato dallo stesso Santo Padre, per rendere la liturgia papale più in linea con la tradizione. Siccome ci avviciniamo alle solenni celebrazioni delle feste natalizie, che saranno presiedute in San Pietro da Benedetto XVI, vorremmo cogliere l’occasione per parlare con lei di questi cambiamenti.
Gagliardi: L’articolo di Accattoli presenta un’efficace panoramica di alcune delle più visibili tra le recenti decisioni in materia di liturgia pontificia, anche se ve ne sono altre, probabilmente non menzionate per brevità o perché di più difficile comprensione da parte del grande pubblico. Il noto e stimato vaticanista sottolinea a più riprese che questi cambiamenti sono quasi ispirati dallo stesso Santo Padre il quale, come tutti sanno, è esperto di liturgia.
Accattoli comincia la sua ricostruzione menzionando le vesti papali che erano state dismesse negli ultimi decenni: il camauro, il saturno rosso, la mozzetta con pelliccia di ermellino. Inoltre menziona i cambiamenti avvenuti per quanto riguarda il pallio.
Gagliardi: Si tratta di elementi delle vesti proprie del Pontefice, come pure il colore rosso delle calzature, non ricordato esplicitamente dall’articolista. Se è vero che negli ultimi decenni i Sommi Pontefici hanno scelto di non utilizzare queste vesti, o di modificarne la foggia, è anche vero che esse non sono mai state abolite e quindi ogni Papa può utilizzarle. Non va dimenticato che, al pari della maggioranza degli elementi visibili della liturgia, anche le vesti di uso extraliturgico rispondono sia a necessità pratiche che simboliche. Ricordo che quando Papa Benedetto utilizzò per la prima volta il camauro – un copricapo invernale che protegge bene dal freddo – un noto settimanale italiano pubblicò il volto sorridente del Santo Padre, che indossava appunto il camauro, e sotto la foto aggiunse una didascalia che diceva: «Ha fatto bene!», riferendosi al fatto che anche il Papa ha ben diritto di ripararsi dal freddo. Ma non ci sono solo ragioni pratiche. Non dobbiamo dimenticare chi è e che ruolo svolge la persona che usa queste vesti: perciò esse hanno anche un valore simbolico, che si esprime con la loro bellezza ed il loro particolare decoro.
Diverso è il caso del pallio, che è invece un indumento liturgico. Giovanni Paolo II ne utilizzava uno uguale a quello che indossano i metropoliti. All’inizio del pontificato di Benedetto XVI, ne era stato preparato uno di foggia diversa, che riprendeva usi antichi e che il Santo Padre ha usato per qualche tempo. In seguito a studi attenti, ci si è resi conto che era preferibile tornare alla forma usata da Giovanni Paolo II, anche se sono state apportate piccole modifiche in modo che risalti chiaramente la differenza tra il pallio dei metropoliti – imposto ad essi dal Papa – e il pallio del Sommo Pontefice. Maggiori informazioni su questo si possono trovare nell’intervista a mons. Guido Marini, Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, pubblicata sull’Osservatore Romano del 26 giugno 2008.
Che cosa può dirci della ferula scelta da Benedetto XVI al posto del crocifisso dello scultore Scorzelli, utilizzato da Paolo VI e dai due Giovanni Paolo, fino alla prima parte di pontificato dello stesso Papa Benedetto?
Gagliardi: Si potrebbe dire che anche qui vale lo stesso principio. Si può menzionare una ragione pratica: l’attuale pastorale di Benedetto XVI, che egli utilizza dall’inizio del presente anno liturgico, pesa ben 590 grammi in meno rispetto al crocifisso di Scorzelli, quindi più di mezzo chilo di differenza, che non è poco. A livello storico, poi, il pastorale a forma di croce risponde in modo più fedele alla forma del pastorale tipico della tradizione romana, ossia utilizzato dai sommi pontefici, che è sempre stato a forma di croce e senza crocifisso. D’altro canto, anche qui si potrebbero aggiungere altre riflessioni dal punto di vista simbolico ed estetico.
Accattoli cita anche altri cambiamenti, che potremmo definire più di sostanza: la cura per i momenti di silenzio, la celebrazione verso il crocifisso e con le spalle all’assemblea e la comunione distribuita ai fedeli in ginocchio e sulla lingua.
Gagliardi: Si tratta di elementi di grande significato, che ovviamente non posso qui analizzare in modo dettagliato, ma solo per brevi cenni. L’Institutio Generalis del Messale Romano pubblicato da Paolo VI prescrive in diversi luoghi di osservare il sacro silenzio. L’attenzione nella liturgia papale a questo aspetto non fa altro, quindi, che mettere in pratica le norme stabilite.
Per quanto riguarda la celebrazione verso il crocifisso, vediamo che di norma il Santo Padre sta mantenendo la posizione all’altare cosiddetta «verso il popolo», sia in San Pietro che altrove. Ha celebrato solo poche volte verso il crocifisso: in particolare, nella Cappella Sistina e nella Cappella Paolina, di recente restaurata. Siccome ogni celebrazione della Messa, qualunque sia la posizione fisica del celebrante, è celebrazione rivolta al Padre attraverso Cristo nello Spirito Santo e mai rivolta «al popolo» o all’assemblea, se non nei pochi momenti dialogati, non è affatto strano che chi celebra l’Eucaristia possa disporsi anche fisicamente «verso il Signore». Particolarmente in luoghi come la Cappella Sistina, dove l’altare è addossato alla parete, è cosa naturale e fedele alle norme celebrare sull’altare fisso e dedicato, rivolti quindi verso il crocifisso, piuttosto che aggiungere un altare mobile per l’occasione.
Per quanto riguarda, infine, il modo di distribuire la Santa Comunione ai fedeli, bisogna distinguere l’aspetto del riceverla in ginocchio da quello del riceverla sulla lingua. Nell’attuale forma ordinaria del rito romano (o Messa di Paolo VI), i fedeli hanno il diritto di ricevere la Comunione stando in piedi o in ginocchio. Se il Santo Padre ha stabilito di comunicarli in ginocchio, penso – ovviamente questa è solo una mia opinione personale – che egli ritenga questo atteggiamento più adatto ad esprimere il senso di adorazione che dobbiamo sempre coltivare davanti al dono dell’Eucaristia. È un aiuto che il Papa dà a coloro che ricevono la Comunione da lui, aiuto a considerare con attenzione chi è Colui che si va a ricevere nella santissima Eucaristia. D’altro canto, nella Sacramentum Caritatis, citando sant’Agostino il Santo Padre aveva ricordato che nel ricevere il Pane eucaristico dobbiamo adorarlo, perché peccheremmo ricevendolo senza adorazione. Prima di comunicarsi, lo stesso sacerdote genuflette davanti all’Ostia: perché non aiutare i fedeli a coltivare il senso di adorazione proprio attraverso simile gesto?
Per quanto riguarda, invece, il ricevere la Comunione sulla mano, va ricordato che questo è oggi possibile in molti luoghi (possibile, non obbligatorio), ma che ciò è e resta una concessione, una deroga alla norma ordinaria che afferma che la Comunione si riceve solo sulla lingua. Questa concessione è stata fatta alle singole Conferenze Episcopali che l’hanno chiesta e non è la Santa Sede a suggerirla o a promuoverla. E, comunque, nessun vescovo membro della Conferenza Episcopale che ha chiesto e otten
uto l’indulto è obbligato ad applicarlo nella sua diocesi: ogni vescovo può sempre decidere che nella sua diocesi si applichi la norma universale, che vige nonostante tutti gli indulti concessi, norma che stabilisce che i fedeli devono ricevere la Santa Comunione sulla lingua. Se nessun vescovo del mondo è obbligato a fruire dell’indulto, come potrebbe esserlo il Papa? È anzi importante che proprio il Santo Padre mantenga la regola tradizionale, confermata ancora una volta da Paolo VI, che vieta ai fedeli di ricevere la comunione sulla mano (per maggiori dettagli, cf. M. Gagliardi, La liturgia fonte di vita, Fede & Cultura, Verona 2009, pp. 170-181).
In conclusione, lei, che fa parte dello staff di Consultori di mons. Guido Marini, che senso vede nelle novità introdotte nella liturgia papale sotto Benedetto XVI?
Gagliardi: Naturalmente posso parlare qui solo a titolo personale, non avendo le mie opinioni alcun carattere di posizione ufficiale dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice. A me sembra che ciò che si sta tentando di fare è di coniugare sapientemente cose antiche e cose nuove, di attuare nello spirito e nella lettera, per quanto possibile, le indicazioni del Vaticano II e di fare in modo che le celebrazioni pontificie siano esemplari sotto tutti gli aspetti. Chi assiste alla liturgia papale deve poter dire: «Ecco, così si fa! Così dobbiamo fare anche noi nella nostra diocesi, nella nostra parrocchia!». Vorrei, da ultimo, rilevare che queste “novità”, come lei le definisce, non vengono introdotte semplicemente in modo autoritario. Avrà notato che spesso esse sono spiegate, ad esempio attraverso le interviste che il Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie rilascia a L’Osservatore Romano o ad altre testate giornalistiche. Anche noi Consultori di tanto in tanto pubblichiamo degli articoli sul quotidiano della Santa Sede per spiegare il senso storico e teologico delle decisioni che si prendono. Per usare una parola alla moda, direi che c’è un modo “democratico” di procedere, intendendo con questo non che le decisioni siano prese a maggioranza, ma che si cerca di far capire qual è il motivo profondo di questi cambiamenti, che è sempre un motivo storico, teologico e liturgico e mai puramente estetico, tanto meno ideologico. Potremmo dire che ci si sforza di rendere nota la ratio legis e mi pare che anche questo fatto rappresenti una “novità” di una certa importanza.