di Riccardo Cascioli*
ROMA, lunedì, 21 dicembre 2009 (ZENIT.org).- Davanti alle sfide poste dai problemi ambientali la strada da seguire è quella dello sviluppo solidale. È l’affermazione cruciale ribadita domenica da Benedetto XVI al termine dell’Angelus, con riferimento al vertice di Copenhagen sul clima che si è aperto ieri. Essa sottolinea con forza la centralità dell’uomo – come soggetto e come fine – in ogni questione sociale, compresa quella dell’ambiente. La Chiesa preferisce parlare di sviluppo solidale, anziché sostenibile, perché quest’ultimo è un concetto che si presta ad alcune ambiguità, mentre l’interesse prioritario e non negoziabile dei cattolici è promuovere la dignità di ogni persona umana, incluse quelle che devono ancora nascere.
La solidarietà, legata al tema dello sviluppo, implica il riconoscimento dell’appartenenza di tutti all’unica famiglia umana e la pari dignità di ogni essere umano. Non si può dunque sacrificare lo sviluppo di alcuni per salvarne altri, né a maggior ragione si può sacrificare alcuni nel nome di priorità «ambientali». Anche perché, oltre che essere immorale, questa visione ha già dimostrato nella storia la sua logica perversa, in quanto generatrice di conflitti.Il tema della solidarietà fra gli uomini e fra questi e la natura conduce a una seconda parola non casualmente usata dal Papa: il creato. Rispetto al termine ambiente – che può essere interpretato in contrapposizione all’uomo o almeno come "altro" dall’uomo –, creato implica una visione positiva della realtà e dell’uomo, che affonda le radici nell’esistenza di un Creatore da cui tutto dipende.
La terra non è un organismo autonomo che reagisce alle aggressioni come il corpo umano fa con i virus, ovvero con la febbre (non si parla forse spesso di «febbre del pianeta» per descrivere il riscaldamento globale?), ma è dono di Dio all’uomo. L’uomo non solo è parte del Creato, ma è la prima tra le creature. Esiste cioè una gerarchia ontologica tra l’uomo e gli altri esseri viventi. D’altro canto, proprio perché è creatura l’uomo deve rendere conto al Creatore: la superiorità sulle altre creature non è disponibilità assoluta, ma è una responsabilità davanti ai propri simili e a Dio.
La dottrina sociale della Chiesa usa una formula semplice per esprimere questo concetto: la natura è per l’uomo, ma l’uomo è per Dio. L’insistenza del Papa su questi punti non è casuale perché spesso, quando si parla di ambiente, da alcune frange del movimento ecologista viene un rimprovero al cristianesimo che, col suo antropocentrismo, sarebbe addirittura una concausa dei disastri ambientali. Il problema del corretto rapporto con la natura è invece di natura morale, ovvero di come l’uomo gioca la sua libertà nel collaborare alla Creazione (cfr. Laborem Exercens, n.25): se segue il progetto di Dio rende la Creazione più bella e più umana; se invece persegue il proprio progetto, «sfigura» la Creazione.
È proprio per questo che, parlando al clero di Bressanone il 6 agosto 2008, Benedetto XVI sosteneva che il primo nemico dell’ambiente è l’ateismo: «Il consumo brutale della Creazione inizia dove non c’è Dio, dove la materia è ormai soltanto materiale per noi (…). E lo spreco della Creazione inizia dove (…) non esiste più alcuna dimensione della vita al di là della morte».
E ancora, nella Caritas in Veritate spiega che «l’uomo può responsabilmente utilizzare [la natura] per soddisfare i suoi legittimi bisogni –- materiali e immateriali – nel rispetto degli intrinseci equilibri del creato stesso. Se tale visione viene meno, l’uomo finisce o per considerare la natura un tabù intoccabile o, al contrario, per abusarne».
In questa prospettiva si inserisce anche il richiamo a stili di vita sobri. La sobrietà non consiste nell’usare poco, ma nell’usare secondo le giuste finalità. O, come esortava il Papa domenica, «a rispettare le leggi poste da Dio nella natura».
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*Riccardo Cascioli è scrittore e giornalista del quotidiano “Avvenire”, nonché direttore del Centro Europeo di Studi su Popolazione Ambiente e Sviluppo (Cespas).