ROMA, domenica, 20 dicembre 2009 (ZENIT.org).- Negli ultimi 15 anni, il Cardinale Paul Josef Cordes ha lavorato come presidente del dicastero volto a “orientare e ispirare il lavoro caritativo della Chiesa cattolica”. Uno degli aspetti di questo lavoro è aiutare le agenzie di assistenza a preservare la loro identità cattolica.
Il Cardinale Cordes, di 75 anni, è presidente del Pontificio Consiglio “Cor Unum” dal 1995, quando questo si è distaccato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Di recente ha pubblicato i libri “Where are the Helpers: Caritas and Spirituality?” (Notre Dame University Press) e “Why Priests? Various Answers Guided by the Teachings of Benedict XVI” (Scepter Press).
Nella seconda parte di questa intervista rilasciata a ZENIT, il Cardinale Cordes spiega come il Pontificio Consiglio Cor Unum operi per aiutare le organizzazioni caritative a mantenere la propria identità cattolica, e come Benedetto XVI abbia articolato, all’interno della Dottrina Sociale della Chiesa, un chiaro insegnamento sul ruolo di queste organizzazioni.
La prima parte dell’intervista è stata pubblicata venerdì 18 dicembre.
Quali iniziative intraprende Cor Unum per assicurare che queste agenzie non assumano posizioni ideologiche e non adottino valori secolari nelle loro attività?
Cardinale Cordes: Vi sono almeno tre elementi importanti. Anzitutto, a fianco alla proclamazione della Parola e alla celebrazione della liturgia, il Vescovo ha come responsabilità primaria quella della missione della carità nella sua Diocesi. Nel corso della visita “ad limina” dei Vescovi a Cor Unum e delle mie visite alle Conferenze Episcopali nei vari Paesi, cerco sempre di ricordare ai pastori questa loro responsabilità.
La “Deus caritas est” lo conferma in modo categorico: “Alla struttura episcopale della Chiesa, poi, corrisponde il fatto che, nelle Chiese particolari, i Vescovi quali successori degli Apostoli portino la prima responsabilità della realizzazione, anche nel presente, del programma indicato negli Atti degli Apostoli” (n. 32). Poiché i Vescovi hanno la responsabilità della carità, essi non possono delegarla ad altri. Questo, tuttavia, non significa in alcun modo che debbano fare ogni cosa da soli, anche perché sarebbe impossibile. Significa invece che coloro che li assistono in questo lavoro essenziale devono fare in collaborazione e sotto la supervisione e la guida del pastore che il Signore ha assegnato alla Diocesi.
In secondo luogo, Cor Unum ha tra i suoi compiti principali la proclamazione della “Catechesi della Carità”. L’Enciclica del Santo Padre rende questo compito più agevole e molto più efficace, ma soprattutto fornisce un’occasione di riflessione, sia per il dicastero che per tutte le organizzazioni caritative cattoliche.
Quando penso alle centinaia di persone che ho incontrato, piene di fede e di motivazione nel loro amore per Cristo, che svolgono ogni giorno le innumerevoli opere di carità all’interno della Chiesa e lavorano sempre più come volontari, effettivamente non mi capita mai di trovare qualcuno indirizzato verso una strada sbagliata.
Noi li incoraggiamo a far fronte alle esigenze ordinarie della vita cristiana e a fare appello ai Vescovi perché siano per loro una guida adeguata e ispiratrice. Cerchiamo di promuovere da parte degli operatori a tempo pieno delle organizzazioni caritative una maggiore apertura verso il numero crescente di volontari che si trovano in ogni parrocchia e in tanti nuovi movimenti. Cercheremo anche di far conoscere le direttive contenute nella nuova Enciclica ai nuovi responsabili delle agenzie.
Nelle due ultime Assemblee plenarie, abbiamo riflettuto con i nostri membri e consultori sulla necessità di elaborare delle linee guida per la formazione degli operatori delle agenzie caritative, sia quelli stipendiati che i volontari.
Una terza e recente iniziativa del Pontificio Consiglio è quella degli “esercizi spirituali” per i direttori delle Caritas e delle altre organizzazioni caritative di tutti i continenti. Nel giugno 2008 si sono svolti a Guadalajara, in Messico, per tutta l’America, e vi hanno partecipato circa 500 persone, tra cui 40 Vescovi. Nel settembre scorso, un’attività analoga si è svolta a Taipei (Taiwan) per il grande continente asiatico. Hanno partecipato più di 450 direttori, tra cui 5 Cardinali e circa 60 Vescovi.
Il riscontro altamente positivo che abbiamo ricevuto da entrambi gli eventi dimostra la sete di spiritualità nel campo della carità. I partecipanti hanno particolarmente apprezzato la considerazione che la carità cristiana non può mai essere separata dalla sua radice, la Parola, e che deve essere sempre alimentata dalla preghiera. La Parola di Dio e la preghiera: queste nutrono le radici della fede nell’attività caritativa.
L’importanza di questa iniziativa può essere colta dalle toccanti parole dall’Arcivescovo di una grande Diocesi del Vietnam: “Dopo gli esercizi spirituali, mi sono convinto più che mai che il lavoro caritativo significa questo: rivelare agli altri l’amore di Dio; conformare me stesso a Gesù, sempre attraverso una relazione intima con il Padre; e irradiare questa intimità al mio gregge, senza distinzioni. Tenterò di condividere l’esperienza di Taipei con il popolo di Dio nella mia Arcidiocesi”.
All’assemblea plenaria dei Vescovi australiani abbiamo espresso il desiderio di offrire esercizi spirituali per i direttori delle organizzazioni caritative della Chiesa in Australia, Nuova Zelanda e l’Oceania. I Vescovi hanno risposto positivamente e stanno ora individuando il periodo più idoneo.
Quanto dipende dalle Conferenze Episcopali il fatto che le agenzie cattoliche svolgano la loro opera secondo gli intendimenti della Chiesa?
Cardinale Cordes: Qualche tempo fa – il 9 settembre 2002, per l’esattezza – l’ex Segretario di Stato, il Cardinale Angelo Sodano, ha inviato una lettera a tutte le Conferenze Episcopali nel mondo proprio su questo tema. Egli ha chiarito che la responsabilità ultima per tutte le attività caritative che si svolgono in una Diocesi è del Vescovo, anche se egli può avvalersi dell’aiuto di altri. “Infatti – osservava il Cardinale – dare testimonianza della carità nel nome di Cristo è un compito esplicitamente richiamato nella liturgia dell’ordinazione episcopale, con la domanda:
‘Volete essere sempre accoglienti e misericordiosi, nel nome del Signore, verso i poveri e tutti i bisognosi di conforto e di aiuto?’.”
L’Enciclica di Benedetto XVI “Deus caritas est” conferma questa responsabilità in modo ancora più categorico.
Come vede il futuro del settore cattolico dell’aiuto allo sviluppo?
Cardinale Cordes: Dobbiamo evitare di cadere nell’errore di pensare di poter sradicare la povertà con le nostre forze, poiché il Signore stesso ci ha assicurato che i poveri saranno sempre con noi. Il paradiso su questa terra è un’illusione. Come afferma Benedetto XVI nella “Deus caritas
est”, “La Chiesa non può mai essere dispensata dall’esercizio della carità come attività organizzata dei credenti e, d’altra parte, non ci sarà mai una situazione nella quale non occorra la carità di ciascun singolo cristiano, perché l’uomo, al di là della giustizia, ha e avrà sempre bisogno dell’amore” (n. 29).
Un più approfondito apprezzamento del futuro dell’apporto cattolico all’aiuto allo sviluppo può provenire da una riflessione sulla vita dei primi cristiani: “il quale (Gesù) passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui” (Atti 10, 38). È un compito proprio della missione della Chiesa quello di “fare del bene” e di proclamare la Buona Novella ai poveri, così come faceva Cristo.
La cr
edibilità della nostra testimonianza evangelica attraverso la carità sarà tanto maggiore quanto più riusciremo a trasmettere l’esperienza della bontà di Dio, consentendogli in questo modo di guarire le ferite dell’umanità.
Lei ha pronunciato una conferenza all’Australian Catholic University sull’ultima Enciclica del Santo Padre “Caritas in Veritate“. Qual è stato il suo pensiero principale?
Cardinal Cordes: Ho cercato di collocare l’Enciclica nel contesto della storia della Dottrina Sociale della Chiesa. Sin dai tempi della Rivoluzione industriale, la lotta della Chiesa in favore della dignità umana si è incentrata su obiettivi sociali e politici. Anche durante il recente Sinodo speciale per l’Africa, che si è svolto in Vaticano nell’ottobre scorso, gli interventi di molti Vescovi si sono incentrati su questi temi. Né il lavoro della Caritas né l’Enciclica “Deus caritas est” sono stati richiamati. D’altra parte i lavori preparatori – i “lineamenta” – hanno usato la parola “giustizia” non meno di 160 volte (la parola “amore” è apparsa solo tre volte). Certamente questi dettagli sono ispirati dalle attuali e variegate necessità dell’Africa.
Lo stesso tema del Sinodo – “Giustizia, pace e riconciliazione” – agevola questi contenuti. Purtroppo, tuttavia, il lavoro caritativo delle Chiese locali e l’impegno dei volontari nelle comunità, di cui noi qui a Cor Unum sentiamo parlare così bene durante le visite “ad limina” dei Vescovi africani, non ha avuto alcuna risonanza.
Ancor più inquietante è il fatto che l’impegno in favore dell’umanità sia quasi esclusivamente diretto a miglioramenti nelle strutture sociali. In questo modo, la considerazione della Caritas e dei suoi obiettivi saranno dominati da una prospettiva meramente politica. Ovviamente l’esempio di alcune grandi organizzazioni caritative della Chiesa, che accompagnano alcuni eventi delle Nazioni Unite e dei consessi mondiali con manifestazioni politiche che inneggiano a una “protesta culturale”, ha fatto scuola. È del tutto logico allora che la descrizione degli obiettivi di lavoro per Caritas Africa, che figura nella brochure presentata al Sinodo dei Vescovi, culmini nel cambiamento sociale (“Advocacy for the Poor“).
In questo nuovo documento, la “Caritas in Veritate”, Benedetto XVI è chiaramente consapevole della tendenza secolarizzatrice. Egli riprende la prospettiva di fede e colloca le direttive sociali della Chiesa alla luce della carità, dell’amore. Il Papa insegna che “la carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa” (n. 2). La carità che qui si intende è “l’amore ricevuto e donato” da Dio (n. 5): è l’amore del Padre creatore, del Figlio redentore, riversato attraverso lo Spirito Santo che benedice la vita degli uomini e delle donne fondata su determinati principi.
Per quanto riguarda lo sviluppo dell’uomo, l’Enciclica ne asserisce “la centralità in esso della carità” (n. 19). La sapienza – dice più oltre -, capace di orientare l’uomo, “deve essere ‘condita’ con il ‘sale’ della carità” (n. 30). Questi frasi semplici ed evidenti comportano importanti
conseguenze: l’insegnamento sociale, separato dall’esperienza cristiana, sarebbe come ogni altra ideologia, che Papa Giovanni Paolo II ha rifiutato, oppure può diventare un manifesto politico senz’anima. In realtà, l’istruzione sociale “incarna” i fedeli nella società. Dà ai cristiani il dovere di incarnare la fede. Come afferma il documento, “La carità manifesta sempre anche nelle relazioni umane l’amore di Dio, essa dà valore teologale e salvifico a ogni impegno di giustizia nel mondo” (n. 6).
Tali aspetti della Dottrina Sociale la ancorano fermamente alla Rivelazione. Vediamo la diretta continuità con il messaggio della “Deus caritas est” e l’orientamento di fede di ogni diaconia della Chiesa.
Lei ha scritto due libri che saranno a breve pubblicati in inglese. Di cosa parlano?
Cardinale Cordes: “Where are the Helpers: Caritas and Spirituality?” tratta in modo approfondito la prima Enciclica di Benedetto XVI, la “Deus caritas est”. Poiché questa rappresenta la magna charta del nostro lavoro – di orientare e ispirare il lavoro caritativo della Chiesa cattolica -, in questo volume presento i miei studi e altre riflessioni che approfondiscono il significato dell’aiuto cristiano, che commentano le linee guida teologiche, spirituali e canoniche della “Deus caritas est” e che presentano modi concreti per aiutare i bisognosi sperimentando così la bontà di Dio. Dal lavoro emerge la necessità di una “formazione del cuore” per coloro che sono impegnati nell’attività caritativa.
Il secondo libro è “Why Priests? Various Answers Guided by the Teachings of Benedict XVI” e si inserisce nel contesto dell’Anno Sacerdotale proclamato da Benedetto XVI, cercando di affrontare alcune questioni altamente rilevanti sulla Chiesa di oggi. Vista la scarsità di sacerdoti, i laici potrebbero assumere una parte del ministero sacerdotale? Data l’eguale dignità di uomini e donne agli occhi di Dio, non sarebbe ora di organizzare le parrocchie in modo democratico? Considerata l’efficiente divisione del lavoro nella cura delle anime e viste le strutture organizzate delle parrocchie, qual è l’esigenza per la Chiesa di avere dei sacerdoti?
A queste domande cerco una risposta attraverso il dialogo con il teologo Benedetto XVI, le cui affermazioni fondamentali sul ministero dei sacerdoti sono presentate all’inizio di ogni capitolo. In questo modo, si offrono “diverse risposte” sul sacerdozio cattolico, utili per i sacerdoti e le loro parrocchie, per i seminaristi e il loro ambiente, nonché per tutti coloro che sono interessati al ministero sacerdotale e al processo decisionale della Chiesa.