Il crociato della carità della Chiesa (parte I)

Intervista al Cardinale Paul Josef Cordes

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ROMA, venerdì, 18 dicembre 2009 (ZENIT.org).- Quando Paul Josef Cordes era ancora un ragazzo e viveva in Germania, venne a sapere che una suora aveva pregato per la sua vocazione. La cosa non gli piacque tanto. Ora che è Cardinale e dirige il Consiglio vaticano che supervisiona le organizzazioni caritative della Chiesa, è convinto che molto di ciò che è oggi sia dovuto alle preghiere di quella religiosa.

Cordes è nato a Kirchhundem, nell’Arcidiocesi di Paderborn, nel 1934. I suoi genitori possedevano un cinema, un ristorante e un hotel.

Crescendo poi, ha ricordato, una suora aveva cominciato a pregare costantemente e intensamente affinché Dio lo facesse diventare sacerdote. Non parlò mai con lui di questo, né gli chiese se riflettesse un suo desiderio. Quando Cordes lo venne a sapere, non ne fu felice e glielo disse apertamente. Lei sorrise.

Da quel momento, ha raccontato il porporato, tra loro è nato un “patto”: e così ogni volta che deve fare qualcosa di impegnativo le scrive chiedendole di pregare. Il Cardinale è convinto che siano state le preghiere di questa religiosa a promuovere la sua vocazione.

Il Cardinale Cordes ha 75 anni ed è presidente del Pontificio Consiglio “Cor Unum” dal 1995, da quando cioè questo dicastero si è separato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Di recente ha pubblicato due libri: “Where are the Helpers: Caritas and Spirituality?” (Notre Dame University Press) e “Why Priests? Various Answers Guided by the Teachings of Benedict XVI” (Scepter Press).

Nella prima parte di questa intervista rilasciata a ZENIT, il Cardinale riflette sul compito al quale si è dedicato negli ultimi 15 anni: la carità.

Qual è la missione di Cor Unum?

Cardinale Cordes: Il Pontificio Consiglio Cor Unum è il dicastero della Santa Sede incaricato della concreta realizzazione delle intenzioni caritative del Santo Padre. Nella sua prima Enciclica – la Deus caritas est</a> –, Benedetto XVI descrive Cor Unum come l’“istanza della Santa Sede responsabile per l’orientamento e il coordinamento tra le organizzazioni e le attività caritative promosse dalla Chiesa cattolica” (n. 32).

Istituito nel 1971 da Papa Paolo VI, Cor Unum – “un unico cuore” – richiama l’apertura del cuore e della mente dei cristiani delle origini e identifica la sua missione unificante in termini di carità. Una parte importante di questo lavoro avviene attraverso la “catechesi” sulla carità, che implica lo spirito dell’azione caritativa della Chiesa.

Dobbiamo mostrare l’amore che nutriamo per gli altri e comunicarlo. Dobbiamo essere umani, e non dei semplici tecnici o amministratori. L’incontro personale è fondamentale, ed è per questo che dipende tanto dal cuore e dalla testimonianza personale. Dobbiamo promuovere uno spirito di convinzione zelante per non sviluppare una mentalità funzionale.

Se Cor Unum assiste le agenzie per promuovere la convinzione di fede, la maggior parte degli sforzi di aiuto a livello tecnico e pratico è gestita da istituzioni diocesane, nazionali e internazionali. Un esempio di quest’ultimo caso è Caritas Internationalis, una piattaforma di varie istituzioni caritative presenti in tutto il mondo. Cor Unum ha il compito specifico di guidare e accompagnare Caritas Internationalis, a livello sia internazionale che regionale (Lettera Pontificia Durante l’Ultima Cena, settembre 2004).

Cor Unum amministra anche due fondazioni: la “Fondazione Populorum Progressio”, che raggiunge i più abbandonati e bisognosi tra le popolazioni indigene e contadine dell’America Latina, e la “Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel”, volta a combattere la desertificazione nella parte meridionale del Sahara. Oltre a questo, il Consiglio ha un limitato finanziamento per l’assistenza d’emergenza che, a nome del Papa, arriva direttamente ai bisognosi.

A suo avviso, quali dovrebbero essere le priorità dell’aiuto cattolico e delle agenzie per lo sviluppo? Quanto dovrebbero essere, in primo luogo, strumenti di evangelizzazione?

Cardinale Cordes: La priorità di ogni organizzazione cattolica, incluse le agenzie di aiuto e sviluppo, è quella di portare il volto di Cristo e il suo Vangelo ai poveri e ai bisognosi. E’ questo il desiderio di ogni cristiano che intende dare il meglio: l’amore di Dio presente in Gesù Cristo. La nozione per cui un’organizzazione cattolica può funzionare o lavorare senza la dimensione dell’evangelizzazione mina la base e l’obiettivo dell’entità. Impegnarsi con il mondo non significa incorporare i valori e le convinzioni del mondo nella Chiesa, ma piuttosto infondere il Vangelo nel mondo per la sua salvezza.

Abbiamo la Croce Rossa e varie altre entità filantropiche, e questo è molto positivo, ma se analizziamo ciò che è specificamente cristiano capiamo che va al di là della miseria umana.

Speso, l’aiuto materiale non è sufficiente, se la gente si trova nella situazione di non poter essere più aiutata con del cibo, un tetto sulla testa o dei medicinali. Cosa si può offrire a una persona morente? O a una donna che ha perso i suoi figli in un terremoto? Possiamo dare consolazione, parlare di Dio che ha preparato per noi la vita eterna. Questo messaggio è fondamentale e noi, i fedeli, dovremmo salvaguardarlo.

Questa convinzione non dovrebbe essere identificata con il proselitismo. Come Benedetto XVI ha affermato nella sua Enciclica, “la carità (…) non deve essere un mezzo in funzione di ciò che oggi viene indicato come proselitismo. L’amore è gratuito; non viene esercitato per raggiungere altri scopi [30]. Ma questo non significa che l’azione caritativa debba, per così dire, lasciare Dio e Cristo da parte. È in gioco sempre tutto l’uomo. Spesso è proprio l’assenza di Dio la radice più profonda della sofferenza. Chi esercita la carità in nome della Chiesa non cercherà mai di imporre agli altri la fede della Chiesa” (Deus caritas est, n. 31).

Nelle sue visite alle varie Conferenze Episcopali del mondo per far conoscere l’insegnamento della prima Enciclica di Benedetto XVI, la Deus caritas est, lei mette in guardia contro la tendenza delle agenzie di sviluppo cattoliche verso il secolarismo. Quali sono le sue preoccupazioni principali a questo proposito?

Cardinale Cordes: Come è accaduto per la mia recente visita alla Conferenza dei Vescovi Cattolici dell’Australia (23-29 novembre 2009), sono stato invitato a una serie di assemblee plenarie, in Paesi come gli Stati Uniti, l’India, le Filippine, l’Inghilterra e il Galles, la Russia, la Polonia, l’Austria e la Spagna. Una delle prime cose che faccio è esprimere tutto il bene compiuto da tante delle nostre organizzazioni caritative cattoliche, che testimoniano davvero la presenza di Cristo nel mondo. Quanti le portano avanti sono spesso alcuni dei fedeli più dediti e pieni di fede. Sono insostituibili in termini di missione e messaggio della Chiesa.

Nonostante questo, nel corso degli anni che ho trascorso a Cor Unum le organizzazioni stesse hanno condiviso con noi le loro lotte per servire i bisognosi e mantenere la propria fede e identità cattolica. Il secolarismo è una delle ideologie principali che cercano di influenzare il modo in cui opera l’attività caritativa cristiana. Il settore del finanziamento, soprattutto da fonti esterne al mondo di fede, dai Governi e dai donatori privati, pone spesso restrizioni alla dimensione religiosa della nostra attività caritativa, e costringe ad abbandonare elementi cristiani per ottenere sovvenzioni.

Un’altra infl
uenza secolare deriva dalla promozione della cultura della morte, in cui i gruppi basati sulla fede sono spinti ad allontanarsi dal chiaro insegnamento morale sulla vita umana. Un terzo settore è la nozione derivante dalla società secolare che il compromesso è la massima virtù, nell’interesse dell’armonia. Può sembrare molto attraente, soprattutto di fronte all’imbarazzo che potrebbe sorgere dall’insegnamento morale e sociale della Chiesa, ma fornisce un’unità meramente superficiale. E’ importante ricordare spesso a noi stessi che, come credenti, dobbiamo impegnarci a portare Cristo nel mondo attraverso la missione della Chiesa, non ad adattare Cristo e la Chiesa all’immagine del mondo.

In che modo la Deus caritas est affronta queste preoccupazioni, e in che modo aiuta a rafforzare l’identità cattolica di queste agenzie?

Cardinale Cordes: Il Santo Padre cerca di riorientare tutti noi alla realtà della Carità di Cristo, ricordandoci il vero significato e l’autentica natura di ciò che Dio ha rivelato su di sé: un’unità d’amore di Tre Persone. Benedetto XVI ci chiede di contemplare questa Trinità e di conformarci alle Persone che vediamo. Nel tentare di riflettere questa realtà d’amore, è possibile vedere la vera carità e la piena dignità di tutti gli uomini e di tutte le donne, perché siamo fatti a immagine di Dio. Mantenendo questi esempi d’amore davanti agli occhi, espressi nel modo più intenso nella Croce di Cristo, l’identità delle agenzie e la loro missione diventano estremamente chiare.

[La seconda parte dell’intervista verrà pubblicata questa domenica]

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ZENIT Staff

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