ROMA, lunedì, 14 dicembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito un articolo apparso sul numero di dicembre di Paulus, dedicato alla Seconda lettera a Timoteo e al tema “Paolo l’atleta”.
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Almeno quattro sono le tipologie artistiche che raffigurano san Gregorio Magno nella Basilica Ostiense e nell’adiacente Monastero Benedettino: il mosaico (ciclo dei medaglioni papali), l’affresco (coro di san Gregorio VII, Monastero), l’intarsio (schienale del Coro monastico, Cappella di San Lorenzo), la scultura marmorea (altare della conversione di Saulo). A eccezione di quest’ultima, tutte pongono vicino al suo orecchio una colomba, in atto di suggerirgli qualcosa. La presenza del santo monaco e papa, dislocata in diversi punti della Basilica di San Paolo, palesa il nesso esistente tra questi “giganti della fede cristiana”. Ricordando che fu proprio Gregorio Magno a introdurre la festività dei santi Pietro e Paolo nel calendario liturgico, egli forma un ulteriore ponte tra l’Anno Paolino e l’Anno Sacerdotale, in particolare grazie alla Regula Pastoralis (= RP), scritta all’inizio del suo pontificato (590-591), di cui si è già accennato in queste pagine [cfr. Paulus n. 16, p. 15].
Le virtù come paramenti
Alcuni concili e pontefici hanno paragonato la Regula a uno specchio: possiamo dire che essa è composta dai cristalli della parola di Dio connessi dall’esperienza spirituale di Gregorio, i quali svelano il vero ritratto del Pastore dei pastori, e nello stesso tempo svelano l’uomo all’uomo, nel suo intrinseco rapporto col Creatore. Qual è, dunque, il primo requisito del pastor? Gregorio pone al primo posto l’umiltà, regola fondamentale della vita spirituale e rimedio all’egoismo del pastore. La virtù dell’umiltà è fondamentale per l’equilibrio interiore dei pastori, per l’armonia del rapporto tra principio dell’azione (riconoscersi «allo stesso tempo uguali a quegli stessi fratelli che vengono corretti da loro») e azione pastorale stessa («inflessibile per il suo zelo della giustizia contro i vizi», RP, II,6), considerata fino alle sue conseguenze sui fedeli. Indissolubilmente dall’umiltà, Gregorio esorta alla carità (cfr. RP, II, 3.5.10; III, 9-10.12-13.27.28), come nel capitolo sull’esemplarità del pastore nel suo agire (RP, II,3). Qui, riferendosi alla prescrizione di Esodo 28,8, Gregorio descrive di quali virtù («velo omerale») debba essere ornato il pastore: «Intelligenza sapiente» (colore «oro»); non ricerca soddisfazioni e lodi per la conoscenza raggiunta, «ma si innalza all’amore delle cose celesti» («violaceo che risplende di riflessi d’oro»), «nobiltà di spirito» («porpora»); la carità, «in quanto ama Dio e il prossimo» («scarlatto tinto due volte»); la «castità luminosa» («bisso ritorto»). La carità è, dunque, lo «scarlatto tinto due volte, a significare che agli occhi del Giudice interiore ogni bene di virtù deve adornarsi della carità, e tutto quanto risplende davanti agli uomini, alla presenza del Giudice occulto deve essere acceso dalla fiamma dell’amore intimo» (RP, II,3). Essa, «velo omerale» sulle spalle del sacerdote, è il comandamento dell’amore: amare Dio e amare il prossimo. «Bisogna che egli sia puro nel pensiero, esemplare nell’agire, discreto nel suo silenzio, utile con la sua parola; sia vicino a ciascuno con la sua compassione e sia, più di tutti, dedito alla contemplazione; sia umile alleato di chi fa il bene, ma per il suo zelo della giustizia sia inflessibile contro i vizi dei peccatori; non attenui la cura della vita interiore nelle occupazioni esterne né tralasci di provvedere alle necessità esteriori per la sollecitudine del bene interiore» (RP, II,1). A conclusione della seconda parte – sulle qualità del pastore – Gregorio inserisce un capitolo di vitale importanza nel ministero di guida della comunità cristiana: la dedizione alla meditazione della «legge sacra» (cfr. RP, II,11).
Contemplazione che entra in azione
L’equilibrio tra ciò che vive e ciò che predica, il pastore lo trova dalla Scrittura: meditare la pagina sacra ricostruisce l’attenzione verso la vita eterna che la consuetudine con le faccende terrene demolisce rapidamente: «Ma tutto ciò si compie debitamente dalla guida delle anime se, animato dallo spirito del timore e dell’amore, ogni giorno con diligenza, medita i precetti della Parola sacra, affinché le parole della divina ammonizione ricostruiscano in lui la forza della sollecitudine e della previdente attenzione verso la vita celeste, che viene distrutta incessantemente dalla pratica della vita tra gli uomini» (RP, II,11). Ecco, infine, l’esplicita esortazione a fissare lo sguardo su Cristo, perfezionatore della vita sacerdotale che, solo, può armonizzare contemplazione e azione nella vita dei pastores. Imitare Gesù («Verità») contemplativo («sul monte s’immerge nella preghiera») e compassionevole («nelle città opera miracoli»), è l’esodo, la “via-che-conduce-fuori” dal «caos» di una vita sacerdotale senza integrità. L’esercizio di questa imitazione porta il nome di «carità pastorale»: quanto più il pastore delle anime «s’immerge nella preghiera sul monte», tanto più opera «nelle città», e viceversa, quanto più «opera miracoli nelle città», tanto più sosta «sul monte» (cfr. RP, II,5).
Uniti dall’amore per Cristo
La Scrittura è la prima “sorgente” alla quale Gregorio attinge. All’interno della Regula il numero delle citazioni della sacra Scrittura è notevole. Delle 427 citazioni, 220 appartengono all’Antico Testamento e 207 al Nuovo Testamento: i Profeti, i Proverbi e i Salmi, per quanto riguarda l’Antico Testamento, Matteo, Luca e le Lettere di san Paolo per quanto riguarda il Nuovo. Considerare i passi paolini più largamente ritenuti – in particolare nella terza parte, sulla predicazione – permette di far emergere l’autentico interesse dello scritto, cioè la carità pastorale. Paolo e Gregorio, missionari ciascuno nel proprio tempo, avevano a cuore le comunità loro affidate: ecco perché le loro pagine erano al contempo sempre «diagnosi» e «medicina, istruzione ed esortazione». Alla domanda “qual è la figura di pastore secondo Gregorio?”, dalla Regula emergono i lineamenti del pastore che «trasmette agli altri ciò che prima è stato contemplato» (contemplata aliis tradere) e del «contemplativo in azione» (contemplativi in actione), secondo l’esempio di Gesù. Il motivo di tale affermazione si scopre guardando all’«esito del suo tenore di vita» (cfr. Eb 13,7b), la santità che Gregorio ha saputo «dipingere» con la passione di un pastore unito con il suo Pastore, come l’apostolo Paolo quando scrive: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20).
Stefano Paba