di Mariaelena Finessi


ROMA, domenica, 13 dicembre 2009 (ZENIT.org).- Esordisce tendendo la mano alla Lega, con la quale negli ultimi giorni l'aria si era fatta un po' tesa per via delle accuse del ministro della Semplificazione Roberto Calderoli all'arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi, la cui unica “colpa” era stata quella di ricordare ai politici il dovere dell'accoglienza degli immigrati. Il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato Vaticano partecipando il 10 dicembre a un dibattito alla Lumsa di Roma sulla figura di Don Sturzo, appiana così il rancore, riconoscendo un merito al partito del Carroccio: quello del «presidio del territorio». Ora «sottolineato in modo speciale dalla Lega, una volta era appannaggio dei soli vescovi e parroci – ricorda il porporato -, bisognerebbe recuperarlo».

Al tempo stesso, il cardinale indica nel socialista Antonio Gramsci colui che ha permesso la risoluzione della questione romana, fissandola nell'articolo 7 della Carta costituzionale italiana, ove è detto che “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”. Sbalordendo poi la platea, Bertone aggiunge anche di riconoscere nel discorso del comunista Palmiro Togliatti, fatto durante l'assemblea costituente proprio in merito all'articolo 7, un ragionare «da Padre della Chiesa».

Ad entrambi gli interlocutori dell'incontro, Roberto Cota (capogruppo della Lega alla Camera) e Massimo D'Alema (esponente del Pd e vicepresidente dell'Internazionale socialista), il cardinale fa dunque delle concessioni ma al tempo stesso precisa meglio il pensiero sturziano. E lo fa partendo dall'appello ai "Liberi e Forti” del 18 gennaio 1919, vera e propria pietra miliare del partito popolare italiano. Fino ad allora, per via del non expedit, ai cattolici italiani era infatti vietata qualsiasi forma di partecipazione alla vita pubblica del neonato Regno ("Nè eletti, nè elettori").

«Il grande respiro filosofico e politico – spiega il cardinale Bertone - conduce don Sturzo a proporre una visione assai equilibrata della dualità Stato e Chiesa, chiamati a concorrere insieme al pieno sviluppo umano». Nessun conflitto, dunque, tanto più che lo Stato «può trovare in Dio una visione completa dell'uomo e del bene comune per un ridimensionamento dell'idolatria della politica e per un orientamento di questa in senso etico e spirituale».

Considerando tuttavia con grande realismo le difficoltà storiche e culturali, la lungimiranza - “profezia”, la definisce Bertone – permise al sacerdote di scrivere una frase che spiegherebbe anche la realtà presente: «Quale diarchia di Chiesa e Stato possa essere quella di domani – queste le parole di don Sturzo – non è dato di prevederla ma non è azzardato dire, fin da ora, che essa sarà sul terreno etico-sociale». A 50 anni dalla morte, dunque, il prete siciliano invita ancora «a rinnovare l'impegno nella ricerca della virtù, anzitutto nella vita privata». Non di meno, sottolinea il cardinale segretario di Stato, «nella vita sociale».

Fin dal 1919 Sturzo supera l'idea di Stato accentratore tendente a limitare ogni potere organico e ogni attività civica e individuale. «In questa prospettiva – sottolinea il porporato – l'obiettivo dello Stato non è la propria conservazione ed espansione», ma la promozione del pieno sviluppo dell'uomo «sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove svolge la sua personalità», come recita l'articolo 2 della Carta costituzionale italiana.

«Un servizio da svolgere nel rispetto della reciproca autonomia indipendente ma nella consapevolezza che lo stato e le organizzazioni nazionali, favorendo l'espressione del sacro, dei suoi simboli nella sfera pubblica, riconoscendo la libertà religiosa e alimentando quindi la crescita morale e spirituale della società, ravvivano la stessa fiaccola del dovere civico e rendono più sicuro il cammino verso la giustizia e la pace».

Ad insistere poi sul necessario impegno dei cattolici in politica è Marco Tarquinio, nuovo direttore di Avvenire e moderatore del dibattito che legge uno scritto del “sacerdote obbediente”: «Nei regimi di libertà il cattolico non può restare isolato od estraneo alla vita dello stato moderno. Disinteressandosi, il cattolico assumerebbe gravi responsabilità davanti a Dio e al prossimo, lascerebbe la cosa pubblica nelle mani di coloro che o non sono cattolici o non sentono l'imperativo della morale».

«Il cattolico – prosegue nella lettura il direttore del quotidiano dei vescovi - conservi sempre la propria personalità morale, il suo carattere religioso, per resistere agli egoismi di nazione, di classe, di categoria, di professione». In altri termini, «i cattolici devono dimostrare che non difendono soltanto i loro piccoli interessi materiali e quelle loro chiesuole ma che servono i principi morali della comunità cristiana».

Il richiamo alla virtù, se è valido per tutti, addirittura per i cattolici diventa un imperativo legato alla loro specifica missione storica. Così Sturzo: «La missione del cattolico in ogni attività umana, politica, economica è tutta impregnata di ideali superiori, perché in tutto ci si riflette il divino. Se questo senso del divino manca, tutto si deturpa: la politica diviene mezzo di arricchimento, l'economia arriva al furto e alla truffa».