di Silvia Gattas
NEW YORK, mercoledì, 9 dicembre 2009 (ZENIT.org).- Le aspettative sono elevate. Le speranze sono tante. L’obiettivo è raggiungere un accordo vincolante, ma anche diffondere una certa “sensibilità” per la causa ambientale. Il vertice di Copenaghen, che ha aperto i battenti lunedì alla presenza di delegazioni di tutto il mondo, è un appuntamento importante e una tappa significativa per far sì che i problemi legati al clima, al surriscaldamento del Pianeta, alla riduzione delle emissioni di gas serra, alla tutela dell’ambiente, occupino finalmente un posto rilevante nell’agenda politica dei Paesi di tutto il mondo.
Al summit è presente anche una delegazione del Vaticano. A guidarla è monsignor Celestino Migliore, Osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, che in questa intervista a ZENIT, spiega quali sono le aspettative sul vertice di Copenaghen.
L’Arcivescovo sarà nella capitale danese da lunedì prossimo, 14 dicembre; in questi giorni, per il negoziato su questioni tecniche, sono presenti don Hugo Cabrera Aramayo, Paolo Conversi, Luke Swanepoe, Markus Wandinger e Mariano Cardielli, che fanno parte della delegazione della Santa Sede.
Monsignor Migliore, cosa si attende da questo summit sul clima? Quali le speranze?
Mons. Migliore: Si lavora almeno per la maturazione di una intesa politica che spiani la via ad un accordo vincolante, da raggiungere in tempi ragionevoli e dotato di misure concrete circa la riduzione di emissioni di gas serra, il trasferimento di tecnologie, il calendario e il finanziamento della mitigazione e adattamento al cambio climatico. Ci si auspica pure che l’evento in se stesso e la copertura mediatica servano a fomentare tra la gente comune interesse, sensibilità e impegno per la causa. In alcune parti del mondo, governi ed enti pubblici locali hanno alle spalle una lunga esperienza nel gestire il proprio territorio, il clima, il rapporto uomo-natura. E’ a questo livello, soprattutto, che occorre riattivare e diffondere il senso della progettualità, dell’organizzazione, dell’azione tempestiva al fine di assicurare sviluppo e sicurezza pur in situazioni climatiche che cambiano.
Il Papa ha esortato i paesi e la comunità internazionale ad azioni concrete soprattutto pensando alle future generazioni e ai poveri. Come pensa che i 192 Paesi reagiranno a questo invito?
Mons. Migliore: Il pessimismo diffuso di due o tre settimane fa sembra attenuarsi. Il dibattito dei primi due giorni, in vista dei negoziati, ha fatto intravedere porte semiaperte, per esempio sugli impegni finanziari, sul calendario dello stop alla deforestazione, sulle risorse idriche e la desertificazione. L’invito del Papa si estende ben al di là dei lavori di Copenhagen: esso è rivolto tanto ai governanti quanto alla società civile, ai poteri e alle amministrazioni locali, a tutti coloro che hanno una responsabilità operativa, educativa o formativa. La sfida dei cambiamenti climatici va affrontata serenamente ma anche tempestivamente a cominciare proprio a livello locale.
Pensa che verrà raggiunto un accordo su un Trattato sul clima?
Mons. Migliore: La Conferenza sta lavorando su questo traguardo, che potrebbe essere spostato nel tempo. Tuttavia, è altrettanto urgente e indispensabile suscitare la cultura adatta all’implementazione delle misure concordate. I limiti delle emissioni di gas serra produrranno risultati se si è convinti che qualche paletto serve a reimpostare il rapporto uomo-natura; che i fondi stanziati vanno impiegati in progetti utili e tenuti al riparo dalla corruzione; che le abitazioni reggono alle intemperie e ci offrono sicurezza quando l’edilizia non mira al solo profitto; che la cura dell’ambiente non è solo dovere dell’amministrazione pubblica, ma ognuno vi svolge la propria parte.
Alcuni organismi come l’UNFPA (Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione) hanno utilizzato le catastrofiche previsioni dei cambiamenti climatici per chiedere una ulteriore riduzione della fertilità attraverso politiche di aborti e contraccezione. Qual è la sua idea in proposito?
Mons. Migliore: Il riscaldamento globale dipende dalle modalità talora indiscriminate e dall’elevato livello dei consumi più che non dal numero degli abitanti della terra. Si dà il caso, infatti, che l’inquinamento sia prevalentemente intenso e devastante proprio nelle regioni a grande sviluppo e generalmente con tassi minimi di natalità. Se vogliamo trovare soluzioni efficaci alla dilapidazione del patrimonio ecologico, dobbiamo mantenere l’attenzione focalizzata sulle vere cause.
E’ appena scoppiato uno scandalo scientifico, chiamato “climagate”, secondo cui gli esperti del Climatic Research Unit dell’università britannica di East Anglia manipolavano i dati per far credere che le temperature aumentano sempre più e che la causa è di origine antropica. Molti altri scienziati avevano già presentato ipotesi scientifiche secondo cui il clima cambia per ragioni naturali e che l’influenza antropica è limitata e relativa. Che cosa ne pensa?
Mons. Migliore: La questione del rapporto tra verità e politica è vecchia quanto l’uomo. Di questi tempi assistiamo, per certi versi, a una divaricazione inquietante tra questi due ordini del sapere e dell’agire umano ed è forse per questo che é più difficile mettersi d’accordo in tempi ragionevoli e prendere decisioni comuni ed efficaci per risolvere i problemi dell’umanità.
Molti Paesi emergenti, come Brasile, India, Sudafrica, si rifiutano di accettare una legislazione vincolante sulle emissioni, perchè sostengono che questo limiterebbe il loro sviluppo aumentando i costi dell’energia e dei trasporti. Come rispondere a questa necessità di sviluppo?
Mons. Migliore: Ci dovrebbero guidare i principi della responsabilità comune ma differenziata e dell’equità. Ma soprattutto, va tenuto presente il rapporto inscindibile e a doppio senso tra la salvaguardia del creato e lo sviluppo. Non si raggiunge l’uno senza l’altro e pertanto non si possono sacrificare l’uno all’altro.