Padre Cantalamessa: i sacerdoti, servi e amici di Gesù, non funzionari

Prima meditazione d’Avvento del Predicatore del Papa

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di Mirko Testa

ROMA, venerdì, 4 dicembre 2009 (ZENIT.org).- I sacerdoti devono coltivare un’amicizia così intima e confidenziale con Cristo da riuscire quasi a far toccare con mano alle persone il mistero di Dio, e allo stesso tempo rifuggire dall’eresia moderna dell’ “attivismo frenetico”.

E’ quanto ha detto in sintesi, questo venerdì, il Predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa, OFM Cap., nella prima delle sue meditazioni d’Avvento tenuta alla presenza di Benedetto XVI e dei membri della Curia romana nella splendida cornice della cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico.

Traendo spunto dall’Anno sacerdotale indetto dal Papa, il frate cappuccino ha scelto per questo periodo di preparazione al Natale di riflettere sulla natura e i compiti del sacerdozio, partendo dai due testi del Nuovo Testamento più direttamente attinenti al tema: “Ognuno ci consideri come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio” (1 Corinzi 4, 1) e “Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati” (Ebrei 5,1).

Nella sua predica, padre Cantalamessa ha indicato che il sacerdote deve essere innanzitutto continuatore dell’opera di Cristo nel mondo e quindi “rendere testimonianza alla verità, far brillare la luce del vero”, dove per verità si intede sia “la conoscenza della realtà divina” – ovvero la “verità dogmatica” – sia “la realtà divina”, e quindi “l’esperienza di lui”.

Il compito della Chiesa e del singolo consiste quindi nel permettere alle persone di “entrare in un contatto intimo e personale con la realtà di Dio, mediante lo Spirito Santo”; e nel “renderlo presente”, nel “dare forma visibile alla sua presenza invisibile”.

In questo senso, ha spiegato, “ogni sacerdote deve essere un mistico, o almeno un ‘mistagogo’, uno che introduce le persone al mistero di Dio e di Cristo, come tenendole per mano”.

Allo stesso tempo, però, il sacerdote è chiamato a coltivare la “simpatia, il senso di solidarietà, la compassione nei confronti del popolo”: “non giudicare, ma salvare”.

Inoltre, ha continuato padre Cantalamessa, il sacerdote non deve essere solo “servo” di Gesù, ma anche “stare ‘con’ con Gesù”, condividendone tutto: “la sua vita itinerante, certo, ma anche i suoi pensieri, gli scopi, lo spirito”.

E’ quanto testiomonia lo stesso Gesù, quando nel prendere commiato dai suoi discepoli, si spinge fino a chiamarli “amici”: “Io non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo signore; ma vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto conoscere tutte le cose che ho udite dal Padre mio”.

“Noi siamo portati a diffidare della commozione e perfino a vergognarcene”, ha osservato poi, eppure “un sacerdote capace di commuoversi quando parla dell’amore di Dio e della sofferenza di Cristo o raccoglie la confidenza di un grande dolore, convince meglio che con infiniti ragionamenti”.

Padre Cantalmessa ha quindi messo in guardia contro una sorta di “eresia” dei tempi moderni che, “anche a causa del diminuito numero dei sacerdoti, insidia il clero di tutta la Chiesa” e che “si chiama attivismo frenetico”.

“Noi sacerdoti, più che chiunque altro, siamo esposti al pericolo di sacrificare l’importante all’urgente”, ha detto. Ma così facendo, “si finisce per rimandare sistematicamente le cose importanti a un “dopo” che non arriva mai”.

Al contrario, ha precisato padre Cantalamessa, “l’anima di ogni sacerdozio” è “un rapporto personale, pieno di confidenza e di amicizia con la persona di Gesù”, perché “l’amore per Gesù è quello che fa la differenza tra il sacerdote funzionario e manager e il sacerdote servo di Cristo e dispensatore dei misteri di Dio”.

Da qui l’invito a “passare dal Gesù personaggio al Gesù persona”, a sviluppare un dialogo a tu per tu con lui. Perché se si trascura questo aspetto, si verifica come un cortocircuito che lascia “vuoti di preghiera e di Spirito Santo”.

Per questo, ha concluso, ogni sacerdote dovrebbe “iniziare la giornata con un tempo di preghiera e di dialogo con Dio, in modo che le attività e gli impegni vari non finiscano per occupare tutto lo spazio”.

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ZENIT Staff

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