Il cristianesimo, “ponte per il futuro” per i musulmani

Il Cardinale Foley interviene a un convegno sull’esodo dei cristiani mediorientali

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di Roberta Sciamplicotti

ROMA, venerdì, 4 dicembre 2009 (ZENIT.org).- In un Medio Oriente sempre più travagliato dall’instabilità, i cristiani, protagonisti di un vero e proprio esodo, possono essere un ponte per un futuro migliore per i musulmani.

Lo ha affermato il Cardinale John P. Foley, Gran Maestro dell’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme, intervenendo questo venerdì a alla Norwegian School of Theology di Oslo (Norvegia) sul tema “L’esodo dei cristiani dalla Terra Santa: sfida per una pace sostenibile”.

Nel suo discorso, il porporato ha espresso la propria preoccupazione per il continuo abbandono della Terra Santa da parte dei cristiani, che sessant’anni fa rappresentavano il 20% della popolazione della regione e oggi sono scesi a meno del 2%.

“La presenza dei cristiani in Terra Santa oggi è una fonte di speranza per la comprensione, la pace e la riconciliazione”, ha dichiarato.

Per il porporato, il cristianesimo è “un ponte per il futuro per il mondo arabo musulmano”, soprattutto perché “i cristiani del mondo occidentale hanno appreso e portato certi valori e certe prospettive estremamente importanti”, come la separazione tra Chiesa e Stato o l’idea che la dignità e la libertà umane richiedano il rispetto della coscienza dell’individuo, il che porta alla “libertà di culto”.

“Ciò è sconvolgente per il mondo islamico”, che deve tuttavia “integrare questi valori nella sua vita quotidiana” se vuole “entrare pienamente nella società moderna”.

Il cristianesimo, ha ricordato il Cardinale Foley, è del resto un dono per tutti, essendo “transnazionale, transetico e transculturale”.

“Gesù è venuto a salvare tutto il mondo. Lo Spirito Santo è stato effuso su tutto il mondo. La missione della Chiesa è per tutto il mondo – ha dichiarato –. E la Chiesa cattolica, la Chiesa universale, ha questa dimensione”, “serve tutto il mondo”.

Un lungo declino

Il Cardinale Foley ha ricordato che dalla fine della Prima Guerra Mondiale, che ha posto fine a 400 anni di egemonia ottomana, “i cristiani hanno iniziato a declinare ovunque” in Medio Oriente.

Le motivazioni di questo fenomeno, ha osservato, sono molteplici, iniziando dal fatto che i cristiani “tendono ad essere molto bene istruiti rispetto alla maggior parte della popolazione, e, come sappiamo, sembra che quanto più sono alti i livelli di istruzione e le opportunità economiche per la famiglia, minori siano le dimensioni di quest’ultima”.

Un’altra ragione del declino è ovviamente l’emigrazione, dovuta in primo luogo al fatto che “a livello sociale, tra i cristiani, c’è un senso di esclusione, se non di discriminazione, in molti Paesi”, dove “i livelli più elevati del sistema politico e sociale sono riservati ai musulmani”.

Secondo il porporato, l’emigrazione non è un male in sé, ma implica una perdita, perché “con l’esodo dei cristiani si perdono un patrimonio e una cultura”.

Dall’altro lato, osserva, “è comprensibile che i cristiani e altri in Medio Oriente vogliano cercare una vita migliore”. “Spetta a una coraggiosa minoranza restare semplicemente per il bene del mantenimento della presenza cristiana quando in altre parti del mondo ci sono lavoro, opportunità di istruzione, futuro e libertà”.

In questo contesto, una sfida importante è quella di “creare un clima per una migrazione sicura”, con leggi che permettano ai cristiani di vivere nella propria terra se lo desiderano o di muoversi nel mondo, senza disposizioni che “negano l’ingresso, limitano i movimenti e restringono la cittadinanza”.

“E’ paradossale” che ci si preoccupi degli animali affinché possano migrare liberamente senza incontrare ostacoli e non si abbia la stessa cura per gli esseri umani, ha commentato.

“E nelle migrazioni – ha aggiunto –, come sappiamo da uccelli, api, salmoni o elefanti, i migranti ritornano. Perché i cristiani non possono tornare in Medio Oriente se la situazione sociale, culturale e storica li attira?”.

Del resto, ha commentato, il cristianesimo “è un movimento”: “la missione dei cristiani è diffondersi nel mondo”, perché l’evangelizzazione è diffondere il Regno di Dio, e come partono possono anche tornare.

Di fronte a questo panorama, oltre ad assistere quanti rimangono a vivere nella propria patria, che “vivono in un ambiente negativo” e, “discriminati, non hanno delle opportunità che noi diamo per scontate”, è accogliere chi migra e favorirne l’arrivo, ad esempio chiedendo politiche migratorie meno restrittive.

“La nostra missione – ha concluso – è aiutare la sopravvivenza dei cristiani in Terra Santa, attraverso il nostro sostegno finanziario, il nostro aiuto personale, la presenza delle nostre visite e i nostri pellegrinaggi, la promozione dell’istruzione e dello sviluppo umano per chi vive lì e la nostra volontà di impegnarci in questa coraggiosa lotta per la giustizia e per la pace”.

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ZENIT Staff

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