Prima di tutto la vita

Convegno a Brescia organizzato da Heptavium, un progetto del MPV italiano

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di Elisabetta Pittino

BRESCIA, giovedì, 26 novembre 2009 (ZENIT.org).- Grande successo di pubblico al convegno sul tema “Prima di tutto la vita. O morte, dov’è la tua vittoria?”, che si è svolto l’11 novembre nell’Aula Magna dell’Università Cattolica di Brescia.

Organizzato da Heptavium, progetto del MPV italiano, il convegno ha ricevuto i saluti dal dott. Luigi Morgano, Direttore di sede dell’Università Cattolica di Brescia, dal dott. Paolo Picco, Presidente di Federvita Lombardia, dal prof. Massimo Gandolfini, Presidente AMCI Lombardia e Scienza e Vita Brescia, dalle associazioni CVS (Centro Volontari della Sofferenza), Silenziose Operaie della Croce, ANFASS, Famiglie numerose Cattoliche, Famiglie Numerose, Forum Famiglie, Scout, Identità Cristiana.

Laura Gavazzoni, volontaria del CVS, in sedia a rotelle, ha detto agli oltre 220 partecipanti: “noi siamo cristiani ammalati che si impegnano a valorizzare la loro sofferenza (…) l’ammalato si faccia apostolo presso altri ammalati (…) il limite, insito nella disabilità sia uno stimolo a costruire rapporti sociali basati sulla gratuità e non sulla logica del do ut des”.

“Ogni vita – ha sottolineato la Gavazzoni -, anche se segnata dalla malattia, se si unisce a Gesù Cristo, trova la sua ragion d’essere e come tale è sempre degna di essere vissuta”.

Il Presidente della regione, Roberto Formigoni, ha inviato una lettera sulle azioni concrete della Lombardia nella vicenda Englaro. Tra queste la premiazione alle Suore Misericordine di Lecco che l’hanno accudita per anni.

Il prof. Massimo Gandolfini, Associato di Neurochirurgia e direttore del Dipartimento di Neuroscienze della Poliambulanza di Brescia, è entrato nel vivo del tema, ed ha affermato: “Da un’idea di accanimento terapeutico si è passati all’estremo opposto, l’abbandono terapeutico”.

Gandolfini ha precisato che c’è nettissima differenza, tra accanimento e insistenza terapeutica. “Insistenza terapeutica è il prolungamento delle terapie e/ o cure di sostegno vitale, anche per lungo tempo, a fronte di situazioni cliniche con prognosi non sicuramente prevedibile”.

“Il coma – ha aggiunto –, che studia anche gli stati comatosi e le tecniche di neuro stimolazione cerebrale profonda talamica è una tappa di passaggio verso: restitutio ad integrum o restituzione parziale, o morte, o stato vegetativo”.

A proposito del “don’t resuscitate order”, ordine di non rianimare, Gandolfini ha rilevato che al pronto soccorso numerosi pazienti arrivano in coma. Di 100 pazienti in coma se ne possono salvare con disabilità variabili o con restituito ad integrum più del 90%. Sarebbe folle dal punto di vista scientifico pensare di non rianimarli.

L’espressione “vite non degne di essere vissute” – ha ricordato Gandolfini- è stata introdotta il primo settembre del 1939 dal Terzo Reich.

Il dr. Mario Melazzini, Presidente AISLA, Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica, è intervenuto come testimone: malato di SLA, paziente e medico allo stesso tempo.

Nel 2003 gli fu diagnosticata la SLA. Si ribellò e pensò di cercare la morte. Prese contatti con le cliniche della “dolce morte” in Svizzera. Attraversò un’angoscia esistenziale profonda. Poi all’improvviso la rinascita.

La malattia può cambiare una persona in meglio dice oggi perchè “ti fa affrontare la vita in modo diverso” in un modo nuovo che non avevi mai sospettato. Ti si aprono orizzonti, che non sapevi esistessero. Torna la voglia di vivere, perché la vita è bella anche per un malato.

Da qui il suo battersi per i malati come lui. “C’è uno stato di completo abbandono assistenziale per i malati di SLA”, ha affermato. Non solo per loro.

Emettono sentenze sulla vita e la morte dei malati, dice Melazzini, persone che si definiscono normali. “Vivere – conclude – è una meravigliosa malattia inguaribile”.

Il dott. Pino Morandini, Vice Presidente del MPV nazionale, citando, tra gli altri, Romano Guardini ha spiegato perché il MPV si occupa anche del fine vita: “la vita dell’uomo non può essere violata perché l’uomo è persona”. L’uomo è inviolabile dal concepimento fino alla morte naturale.

Morandini ha poi incoraggiato l’approvazione della nuova legge sulle cure palliative dopo un veloce excursus sulla situazione legislativa attuale, sul disegno di legge in discussione, sulle DAT, una parola in codice che significa testamento biologico.

Il prof. Luciano Eusebi, ordinario di Diritto penale nella facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica di Piacenza, ha affermato che, secondo l’art. 2 della Costituzione,“la titolarità dei diritti fondamentali non dipende dalle condizioni esistenziali, da un giudizio su qualità, capacità… età. I diritti inviolabili dipendono dall’esistenza in vita. Il mutuo rispetto della vita ha a che fare con il fondamento stesso della democrazia moderna, è il cuore della democrazia”.

“La giustizia – ha continuato – non sta nella reciprocità dei comportamenti: se io giudico uno negativo, sono autorizzato ad agire negativamente. Non sta nella reciprocità del male per il male, ma è l’avere coraggio di fare un progetto di bene dinanzi al male. La giustizia ha a che fare sempre con il riconoscimento dell’altro come portatore di dignità… fosse anche il malato terminale”.

Il dr. Giovanni Zaninetta, direttore dell’Unità operativa di cure palliative- Hospice della Domus Salutis di Brescia, ha proposto un’alternativa concreta a eutanasia e accanimento terapeutico.

La terapia del dolore è una parte delle cure palliative, che sono tecnicamente qualificate e hanno una loro evidenza scientifica. Hanno un obiettivo diverso dalle altre cure, quello di offrire la miglior vita possibile nonostante la malattia in atto. Occorre partire da una cultura della vita per affrontare sofferenza, malattia e morte.

La condivisione con il malato e con la sua famiglia è il primo passo. Quindi è necessaria un’assistenza tecnica, medica e infermieristica. Non solo. “Quando non c’è più possibilità di guarigione – dice Zaninetta – bisogna prendersi cura attiva e globale del paziente”.

Il prendersi cura deve tenere conto di tutte le dimensioni della persona. L’architettura di un hospice, dunque, è la fitta rete di relazioni personali, il lavoro d’équipe. “La risposta alla fine – ha concluso Zaninetta – deve essere l’amore. Solo riconducendo il tutto alla dimensione della carità riusciremo ad accompagnare il malato”.

Secondo Giacomo Samek Lodovici, docente di Storia della dottrine morali e ricercatore in Filosofia morale presso l’Università Cattolica di Milano, “l’eutanasia è l’uccisione di una persona per motivi economici, eugenetici, o per una perversa idea di pietà”.

Nel 1907 nacque la prima società eugenetica. Le Fondazioni Ford e Rockefeller sovvenzionavano il movimento eugenetico, che accolse e sostenne il nazismo. Nietszche affermava che bisogna “ripristinare i sacrifici umani. Se il degenerato e il malato devono avere altrettanto valore del sano allora che ne è dell’evoluzione?”.

Ecco da dove nasce l’ideologia eutanasica. Per questo, ha concluso Samek Lodovici, l’eutanasia nelle sue varie forme calpesta la dignità umana (Agnoli F., Scritti di un pro life).

La dott.ssa Maria Pia Buracchini, psicologa e responsabile del Progetto Heptavium, ha detto che nel momento di grande fragilità il sostegno è necessario per fare un percorso con il malato ed eliminare due rischi terribili: la paura della morte e il fattore emotivo. La paura della morte crea grande insicurezza, disagio, sofferenza psicologica profonda che porta a rifiutare la vita e alla depressione, che fa desiderare la
morte.

Una famiglia, un’assistenza solida che conducano questo percorso di avvicinamento alla morte, aiutano il malato ad uscire dalla depressione. Il fattore emotivo serve alla relazione di aiuto per stare accanto. “Non si può – ha aggiunto la Buracchini – parlare di morte con il sentimento, si deve decidere con la ragione. La vita della persona è sacra”.

Il convegno è stato concluso da Paolo Marchiori, volontario del CVS, malato di SLA: “Anche io ho detto ‘piuttosto che vivere come uno in carrozzina, meglio morire’. Poi ho cambiato idea nel mio cammino di sofferenza. Mi sono riavvicinato a Dio. Chiedevo la forza per affrontare le difficoltà. Ho conosciuto il CVS. Nel tempo, dal 2005 al 2008, ho maturato l’accettazione della sofferenza”.

“Dal buio sono passato alla luce, grazie a un viaggio a Lourdes – ha concluso –. Ho visto con occhi diversi la malattia, i malati mi hanno trasmesso la pace. Sono innamorato della vita. La speranza mi ha cambiato. Il mio cuore oggi è colmo di amore. La malattia non è stato una disgrazia, posso dirlo, mi ha aiutato a capire il senso della vita. Ho capito la sofferenza e oggi sono un suo volontario”.

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ZENIT Staff

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