La vita alle porte della Vita

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario, 15 novembre 2009

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di padre Angelo del Favero*

 

ROMA, venerdì, 13 novembre 2009 (ZENIT.org).- “In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo. Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre” (Mc 13,24-32).

Ora, in quel tempo, sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo. Sarà un tempo di angoscia, come non c’era mai stata dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro. Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna. I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre” (Dan 12,1-3).

Quando si avvicina la fine della gravidanza, il bambino si prepara sulla porta del grembo modificando la sua posizione in modo da impegnare il capo nel bacino e dare inizio al travaglio del parto. Similmente la Parola di Dio, al termine dell’anno liturgico, ci prepara all’evento cosmico dell’incarnazione del Signore (l’Avvento) introducendoci in un grandioso travaglio: si “rompono le acque” della volta celeste ed è sconvolto l’immane equilibrio delle forze cosmiche, segno che il Creatore dell’universo sta per nascere sulla terra.

Le immagini usate oggi da Gesù sono “apocalittiche”, ma non dobbiamo temere, anzi: “..egli è vicino, è alle porte,..risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina! (Lc 21,28).

Sì, perché sta per essere esaudito il più profondo desiderio del cuore di ogni uomo, che è anche il più profondo desiderio del cuore di Dio manifestato sin dalle origini del mondo: “Non è bene che l’uomo sia solo” (Gen 2,18)! E’ la sete di comunione nell’amore, l’inestinguibile arsura congenita inscritta nella natura dell’essere umano. Dio viene a liberarci dalla prigionia più dolorosa, quella della solitudine.

E’ stato scritto, ed è vero, che la sordità è più terribile della cecità, poiché questa separa dalle cose mentre la sordità separa dalle persone, dal momento che blocca la possibilità di comunicare e rinchiude l’uomo nel bunker del silenzio. Ebbene, la sordità più tragica per una persona, anche se mantenesse un perfetto udito fino a cent’anni, è l’incapacità di comunicare con il Dio che l’ha creata, il Dio dell’amore. E se Dio stesso non avesse mandato dal cielo la sua Parola per essere il Dio-vicino, il Dio-con-noi, l’uomo sarebbe rimasto per sempre “locked in”, come un timpano nel vuoto sonoro. Mai egli avrebbe potuto comprendere e vivere il significato di se stesso, il suo profondo anelito alla comunione fraterna e alla comunione eternamente beata con Dio Trinità che è Amore.

E’ questo il presupposto per capire che “il centro del quadro tracciato da Gesù non è in una catastrofe cosmica, non è nella fine del mondo, quanto piuttosto nella ‘venuta del Figlio dell’uomo’ che è il fine del mondo, cioè la meta verso cui tende la storia per giungere a pienezza” (G. Ravasi).

La nostra vita non è un viaggio verso una meta ignota, passeggeri di un treno inesorabile ai quali è dato di osservare solamente lo scorrere laterale del paesaggio, per scendere infine alla misteriosa stazione dell’”al di là”. Dice infatti la Scrittura: “In Lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17,28). Linguaggio veramente…ostetrico!

Questo Lui è Dio Padre-Madre il cui Figlio unigenito, nella pienezza del tempo, ha squarciato i cieli nascendo da Maria e divenendo Egli stesso la Via di “ritorno” perché noi, divenuti bambini, potessimo entrare “nel seno del Padre” (Gv 1,18); questo “in” significa la nostra gravidanza divina, a partire dall’istante del concepimento battesimale fino ed oltre la morte, che è nascita al Cielo: “sempre,..sempre,..sempre” (S. Teresa di Gesù).

Ora, la fine naturale di ogni gravidanza è segnata dal parto, ma il fine della gravidanza non è il parto, bensì quella pienezza di comunione vitale del bambino con sua madre, che dopo il parto non patisce più il limite dell’invisibilità reciproca.

In realtà, sappiamo bene che oggi la mamma incinta può vedere il bambino nel grembo, mediante l’occhio sempre più perfezionato degli strumenti, ma lui deve attendere la nascita per conoscere colei che lo ha generato. E nel mistero dell’insondabile relazione personale della maternità, forse non è ingiustificato pensare che il bambino, a termine, non veda l’ora di vederla con i suoi occhi.

Veniamo alla prima lettura di oggi. Il libro di Daniele è stato scritto nel 165 a.C. circa, poco prima della morte di Antioco IV Epifane, il re che impose il paganesimo forzato ad Israele. Mentre infuria la persecuzione, il giovane Daniele esorta i Giudei a rimanere saldi nella fede. Antioco condusse la sua politica religiosa in modo sempre più blasfemo, arrogandosi la divinità e disprezzando ogni altro culto. Egli introdusse in Israele il culto di Zeus facendo costruire templi e distribuendo favori a quanti aderivano alla sua fede.

E’ a questo punto drammatico della situazione che si riferisce il libro di Daniele quando fa entrare in scena l’angelo Michele, protettore di Israele: “Ora in quel tempo sorgerà Michele..” (Dan 12,1). Questo periodo storico particolare assurge così a simbolo del compimento della storia umana, alla fine dei tempi. Daniele rappresenta il credente autentico che sa leggere gli avvenimenti nella luce di una fede incrollabile, la quale intravede e si aspetta il trionfo della verità là dove si infittisce la menzogna e la persecuzione.

Tale deve essere il nostro sguardo nei confronti della recente dichiarazione di Strasburgo con la quale si vorrebbe bandire il Crocifisso dall’Italia, sentenza che è frutto perverso di una strategia politica e culturale precisa, in corso da anni, per la difesa della “laicità” dello Stato. Quello che 22 secoli fa i pagani greci vollero imporre ad Israele, oggi gli atei, agnostici, razionalisti e pagani italiani ed europei vogliono imporre all’Italia: la “laicizzazione” forzata della scuola, della famiglia, della società. Essi però non sanno di essere al servizio del Crocifisso, servendone in realtà la causa, secondo quella stoltezza della Croce che sa conseguire la vittoria per mezzo della sconfitta. Cosa che si sta dimostrando in Italia un po’ dappertutto.

Ma ciò che importa non è la rivalsa, bensì la verità della Croce. Verità rivelata dalla lettera agli Ebrei: “Cristo, invece, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso una volta per sempre alla destra di Dio, aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi. Infatti, con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati” (Eb 10,12-13).

Per quest’offerta della Croce, Cristo Sommo Sacerdote è diventato la vittima, il Crocifisso, identificandosi con tutti i falliti e i miserabili della storia, i rifiutati e i perseguitati, i disperati della solitudine ed ogni uomo calpestato come un verme nella sua dignità: “Questo è il mio corpo, offerto in sacrificio per voi…questo è il mio sangue versato per voi e per tutti in remissione dei peccati...”. E’ questo il sacerdozio di Cristo, la sua solidarietà estrema con ogni uomo sofferente della Terra, solidarietà nel dolore e nell’amore rinnovata ogni giorno nella santa Messa, memoriale perenne del sacrificio e dell’offerta del Golgota. Il Crocifisso, a ben guardarLo, parla di questa indicibile, “irrazionale” solidarietà di Dio con l’uomo sofferente, con ogni figlio dell’uomo, con l’uomo per se stesso. E noi, oltre che parlare a difesa del Crocifisso, dovremmo testimoniare di appartenergli con la vita.

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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ZENIT Staff

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