ROMA, mercoledì, 11 novembre 2009 (ZENIT.org).- “C’è una dimensione religiosa dell’accoglienza dei migranti da capire e rispettare, importante quanto la cultura, la lingua, la domanda di integrazione, la fame di futuro che essi portano nel loro povero e ricco bagaglio”. Lo ha affermato Daniela Pompei, della Comunità di Sant’Egidio, intervenendo mercoledì al VI Congresso mondiale della pastorale per i migranti e i rifugiati “Una risposta pastorale al fenomeno migratorio nell’era della globalizzazione” che si sta svolgendo in questi giorni in Vaticano.
L’arrivo di cittadini stranieri ha contribuito a mutare il panorama dell’appartenenza religiosa in diversi paesi europei, tra i quali l’Italia.
“Tra i migranti – ha sottolineato Pompei, citando un’elaborazione della Comunità di Sant’Egidio dei dati Istat sugli stranieri residenti in Italia – i cristiani e non i musulmani, sono la maggioranza”. Infatti “solo gli ortodossi, alla fine del 2007, erano oltre 1.200.000 sul totale di 3.500.000 di stranieri regolari, vale a dire più di un terzo. Complessivamente, alla stessa data, i cristiani provenienti dall’estero – cattolici, ortodossi e protestanti – erano 2.077.080”.
Non va sottovalutata, secondo Pompei, “la presenza di sette la cui azione è molto agguerrita tra le comunità di immigrati”. L’islam è divenuto la seconda religione del paese, con poco più di 1.000.000 di musulmani alla fine del 2007 e, a seguire, il buddismo con 150 mila praticanti e l’induismo con 80 mila fedeli. Gli ebrei oggi in Italia sono 30 mila.
“Nel resto d’Europa – ha aggiunto Pompei – la situazione non è molto diversa e nel 2006, ultimo dato disponibile, solo il 9,3% dei nuovi ingressi di migranti nei paesi dell’Unione europea era costituito da musulmani”. La maggior parte dei migranti proviene infatti da paesi di antica appartenenza cristiana: Romania, Polonia, Ucraina, Moldavia, Albania.
In questo contesto, “il dialogo ecumenico è divenuto il pane quotidiano di milioni di persone. Necessario come il pane”. La domanda di fede “ci provoca come cristiani a vedere gli stranieri come fratelli e sorelle”.
“Promuovere quando è possibile momenti di preghiera comune tra cristiani di confessioni diverse – ha suggerito Pompei – può essere una via concreta per vivere un dialogo ecumenico che coinvolge il popolo dei credenti”.
Lo stesso vale per il dialogo interreligioso: “oggi, sempre più, la convivenza plurireligiosa è divenuta lo scenario normale in molti paesi del mondo occidentale”. “Si tratta di un processo – ha affermato Pompei – che va accompagnato, ricollocandosi in una prospettiva più ricca e non necessariamente minacciosa. L’arte del convivere deve trovare intelligenza ed idee”.
Una possibilità è costituita dall’accoglienza delle feste religiose dei non cristiani o il lavoro culturale per far conoscere e avvicinare le diverse tradizioni religiose, come mezzo per sconfiggere l’ignoranza reciproca.
“La solidarietà e l’amore per i poveri – ha rilevato Pompei – costituiscono un terreno comune di impegno tra appartenenti a religioni diverse per aiutare chi è più in difficoltà”.
“La Chiesa cattolica – ha concluso Pompei – sembra essere la destinataria di una grandissima aspettativa di pace e di dialogo. In questa epocale trasformazione che vivono le nostre società, anche grazie ai processi migratori, i cristiani possono essere l’anima del nuovo corpo sociale che si va costituendo”.