Molte membra…un solo Corpo

La chiamata universale alla santità si articola attraverso differenziazioni concrete

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ROMA, venerdì, 6 novembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito alcuni articoli apparsi sul numero di novembre di Paulus, dedicato alla Prima lettera a Timoteo e al tema “Paolo l’organizzatore”.

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Nella Costituzione dogmatica Lumen Gentium del Concilio Ecumenico Vaticano II, si legge: «Il Signore Gesù, maestro e modello divino di ogni perfezione, a tutti e a ciascuno dei suoi discepoli di qualsiasi condizione ha predicato la santità di vita, di cui egli stesso è autore e perfezionatore (cfr. Mt 5,48). Mandò infatti a tutti lo Spirito Santo, che li muove internamente ad amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, con tutte le forze (cfr. Mc 12,30), e ad amarsi a vicenda come Cristo ha amato loro (cfr. Gv 13,34; 15,12). I seguaci di Cristo, chiamati da Dio, non a titolo delle loro opere, ma a titolo del suo disegno e della grazia, giustificati in Gesù nostro Signore, nel battesimo della fede sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò realmente santi. Essi quindi devono, con l’aiuto di Dio, mantenere e perfezionare con la loro vita la santità che hanno ricevuto».

La santità non dipende dalla condizione di vita, né dalla forma – sponsale o verginale – a cui il cristiano è chiamato. La santità è dono, sublime e gratuito, di Dio, che ogni uomo può e deve accogliere con semplicità, custodendolo in tutta la propria esistenza. In tal senso, «fra tutti i fedeli, in forza della loro rigenerazione in Cristo, sussiste una vera uguaglianza nella dignità e nell’agire, e per tale uguaglianza tutti cooperano all’edificazione del Corpo di Cristo, secondo la condizione e i compiti propri di ciascuno» (Codice di diritto canonico, can. 208). L’unica Chiesa, popolo eletto da Dio e corpo mistico di Cristo, è guidata dalla speciale assistenza dello Spirito Santo. In essa esiste una differenziazione, voluta e stabilita da Cristo stesso, in vista dell’unità e della missione.

Gli apostoli ed i loro successori, i vescovi, hanno ricevuto da Cristo il compito di insegnare, santificare e guidare il popolo di Dio, ed esercitano tale ministero in suo nome e con la sua autorità. Tra i dodici apostoli esisteva ed era concretamente riconoscibile il Primato e l’autorità di san Pietro. Oggi nel “collegio apostolico”, formato da tutti i vescovi del mondo che servono la Chiesa cattolica, ce n’è uno che ha il primato sugli altri: è il Papa, vescovo di Roma, dove san Pietro ha incontrato il martirio ed è sepolto. Ogni vescovo cattolico del mondo è in comunione di fede con il Papa che «in virtù del suo ufficio di Vicario di Cristo e di pastore di tutta la Chiesa, ha sulla Chiesa la potestà piena, suprema e universale, che può sempre esercitare liberamente» (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 882).

I vescovi, a loro volta, hanno dei diretti collaboratori nei presbiteri, che «a immagine di Cristo unico ed eterno sacerdote», sono chiamati a servire il popolo di Dio attraverso la predicazione del Vangelo e l’amministrazione dei sacramenti. Tra questi, di particolarissima importanza è la celebrazione del Sacrificio Eucaristico in cui agiscono in persona Christi, cioè nella persona di Cristo. Nella Chiesa cattolica di rito latino, sono ammessi al sacerdozio, nell’ordine episcopale e presbiterale, solo coloro che hanno ricevuto da Dio il carisma del celibato. Altri collaboratori dei vescovi, subordinati ai presbiteri, sono i diaconi, che hanno particolari compiti legati alla predicazione, alla carità e possono amministrare il battesimo, distribuire l’eucaristia e assistere ai matrimoni.

Dal Concilio Vaticano II sono ammessi all’ordine del diaconato sia i celibi sia gli sposati. Questi ultimi devono avere almeno 35 anni di età e 5 anni di matrimonio. Nella Chiesa sono ordinati validamente solo i battezzati di sesso maschile. Nella sinergia con i fedeli laici, secondo le competenze di ciascuno, i tre gradi dell’Ordine Sacro, sia i due sacerdotali (episcopato e presbiterato), sia quello non-sacerdotale (il diaconato), sono chiamati alla “responsabilità” per la Chiesa. Il termine “responsabilità” deriva dal latino respondeo, a indicare che ciascuno è chiamato a “rispondere” ad altri e a Dio del proprio operato. L’educazione alla responsabilità è un dato sia psicologico – che si determina nei primi anni dell’educazione, quando il bambino è chiamato a rendere conto ai genitori del proprio operato – sia spirituale, nel concepirsi costantemente in relazione con Dio (inteso, ovviamente, non come “controllore”, ma piuttosto come “continuo riferimento del pensare e dell’agire”, punto nevralgico di quell’affezione del cuore che, nel tempo, trascina con sé anche il giudizio, determinando le scelte).

Tale responsabilità, è bene sottolinearlo, è sempre “per la Chiesa Universale”, anche se, concretamente, si determina in una particolare situazione o giurisdizione. Lo stesso istituto giuridico dell’incardinazione, di fondamentale importanza teologica per delineare la relazione costitutiva del sacerdote e del diacono con il vescovo, non è mai da intendere in maniera “localistica”, quasi che l’orizzonte della Chiesa possa essere ristretto a quello di una diocesi o di una parrocchia, ma sempre come legame generante quella sollecitudine universale che deve essere vasta quanto vasto è l’amore per il Signore e per i fratelli.

«Ogni anima è una diocesi», affermava san Francesco di Sales. È questo il vero spirito del pastore ed è a questa fondamentale legge che deve obbedire ogni progetto e intento di legittima organizzazione della vita diocesana e comunitaria. L’attenzione alla persona, il superamento di ogni tentazione demagogica, di ogni genericità nei rapporti interpersonali, è ciò che, prima di ogni altra cosa, aspettano i fedeli laici dai loro pastori, così come i sacerdoti e i diaconi dai loro vescovi. In questo, innanzitutto, è necessario “organizzarsi”, perché, almeno nella Chiesa, la persona venga prima di tutto!

Salvatore Vitiello

 

BOX – Un dono oltre l’immaginabile

Mai avremmo pensato di chiedere a Dio il suo unico Figlio. Tuttavia ciò che l’uomo non avrebbe mai potuto immaginare, Dio l’ha fatto. […] Il buon Dio vuole donarsi a noi nel sacramento del suo amore: per questo ci può donare un desiderio immenso che lui solo può soddisfare […] Paragonate tutte le buone opere del mondo con una comunione fatta bene: appariranno come un granello di polvere rispetto a una montagna. […] Non mi piace l’abitudine che hanno molti di mettersi subito a leggere dopo aver ricevuto l’Eucaristia. A che serve la parola degli uomini quando è Dio a parlare? Bisogna ascoltare ciò che il buon Dio dice al nostro cuore.

San Giovanni Maria Vianney

BOX – L’eco di Ars

Jean Follain, autore sensibile, insignito del Grand Prix de Poésie de l’Académie Française nel 1970, rivolge la sua attenzione e manifesta tutto il suo interesse verso una figura totalmente diversa e per molti aspetti opposta alla propria. Il Curato d’Ars, infatti, non riluceva per lo studio durante gli anni di formazione, sollevando così forti dubbi nei suoi superiori circa l’opportunità di ammetterlo agli ordini sacri. Ecco spiegato il sottotitolo di questa breve biografia, Curato d’Ars. Quando un uomo semplice confonde i sapienti (San Paolo, pp. 81, € 11).

Follain ha subìto l’irresistibile attrazione di questo insolito figlio della Rivoluzione francese, periodo nel quale verità terribili e altrettanto terribili errori venivano proclamati “come dalle trombe dell’Apocalisse”. Nonostante questo assordante tuonare, l’esile persona del Curato proclamò con tutte le sue forze le verità della fede e della dottrina cristiane. E la gente lo cercava, lo ascoltava, lo seguiva e, dopo essersi confessa
ta, se ne partiva “beata”, perché quel Curato le aveva dato la pace di Dio. Un volumetto delizioso, questo di Follain, pieno di ammirazione, d’incanto, di meraviglia per la persona e l’opera di questo modello sacerdotale.

A fianco di questo testo, segnaliamo la raccolta di Pensieri scelti e fioretti (San Paolo, pp. 130, € 8), un tascabile simpatico ma elegante che, dopo un’essenziale biografia di san Giovanni Maria Vianney, offre l’opportunità di leggere – con soddisfazione e profitto – il pensiero autentico del santo Curato, presentato secondo una suddivisione in circa trenta argomenti. In uno di questi brani (p. 37) il santo c’invita a un esercizio: «Quando ci stanchiamo di pregare e la conversazione con Dio ci annoia, andiamo alla porta dell’inferno e guardiamo quei poveri dannati che non possono più amare il buon Dio. Se un dannato potesse dire, fosse anche per una volta: “Mio Dio, ti amo”, l’inferno per lui non esisterebbe più». Viceversa, chi prega assomiglia a un’aquila, «che si libra in aria e sembra volersi avvicinare di più al sole. Ecco il buon cristiano sulle ali della preghiera! L’uomo che vive una relazione di grazia con Dio non ha bisogno che gli si insegni a pregare, perché la preghiera è insita nella sua natura» (p. 53).

Nella seconda parte del libretto, intitolata “Fioretti d’Ars”, troviamo un’altra trentina di argomenti espressi in forma molto più concisa. Talvolta sono brevissimi, come il seguente: «I comandamenti di Dio sono gli insegnamenti che egli ci dà affinché possiamo seguire la strada del cielo. Sono come i cartelli posti all’inizio della strada e dei sentieri per indicarne i nomi» (p. 109). Il volume racchiude il meglio di una messe abbondante costituita dalle omelie e dalle istruzioni catechistiche del ministero sacerdotale del santo Curato. Un libretto assai utile, quindi, che fa riecheggiare fino a oggi la voce instancabile del santo, che chiamava e convertiva vicini e lontani.

Vito Salanitri

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ZENIT Staff

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