di Chiara Santomiero
CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 12 ottobre 2009 (ZENIT.org).- Oltre a quello di pregare incessantemente per la pace, quale può essere il ruolo della Chiesa nella difficile situazione politica del Darfur, in Sudan? Come intervenire per risolvere la grave crisi umanitaria ancora in atto? Quali sono le forze attive in campo? Quale ruolo gioca una grande potenza come la Cina?
Soprattutto domande nei quattro interventi liberi che hanno seguito, il 10 ottobre scorso, il contributo dell’invitato speciale Rodolphe Adada, già rappresentante speciale congiunto del Segretario generale delle Nazioni Unite e del Presidente della Commissione dell’Unione africana nel Darfur, la cui dettagliata esposizione della complessa situazione della regione sudanese ha occupato un largo spazio della nona congregazione generale.
“La Chiesa – aveva affermato Adada nel suo intervento, tratteggiando i possibili scenari dell’immediato futuro del Darfur – ha un ruolo preminente da svolgere in un Sudan pluralista, fra il Sud cristiano e animista e il Nord musulmano dove c’è il Darfur”.
E’ quanto ha ribadito nella replica agli interventi: “La Chiesa deve avere uno sguardo d’insieme sui problemi in gioco ed elevare la sua voce come un grido”.
Adada ha quindi esplicitato alcuni dei molti aspetti da considerare, oltre a quelli già citati nella relazione. La stessa “natura dello stato sudanese dopo l’accordo di pace è confusa” e sono in vigore due leggi: “nel nord musulmano, vige la sharia”. Il Sudan meridionale, a sua volta, soffre di disorganizzazione e “il referendum per l’autodeterminazione previsto nel 2011 probabilmente sancirà la secessione dal resto del paese”.
Bisogna considerare il peso delle lotte inter-tribali: “a gennaio – ha raccontato Adada – in occasione della festa per la pace, sono scoppiate grandi violenze tra gruppi tribali che hanno provocato decine di morti”. Per quale motivo? “Non erano riusciti a mettersi d’accordo su quale gruppo dovesse ballare per la pace nei festeggiamenti”.
“Quello del Darfur è un problema internazionale” ha sottolineato Adada, che nella relazione aveva ricordato come “il Sudan è il più grande paese dell’Africa, alla cerniera di due mondi – l’Africa e il mondo arabo – e confina con 9 paesi africani”.
Va considerata, per esempio, la presenza di ribelli anche in Uganda e il rapporto non facile con l’Eritrea, mentre “l’Etiopia è interessata alla pace ed ha contribuito mettendo a disposizione 5 elicotteri”. Quanto alla Cina “è vero che fornisce armi ma è una forza da utilizzare perché, al tempo stesso, contribuisce al processo di pace”.
“Per la pace del Sudan – ha concluso Adada – è necessario l’intervento della comunità internazionale e il contributo di tutti”.