ROMA, lunedì, 22 giugno 2009 (ZENIT.org).- In una società plurale come la nostra diventa necessario interpretare correttamente il tema della tradizione. E' quanto ha detto questo lunedì il Cardinale Angelo Scola, Patriarca di Venezia, nell'inaugurare il convegno che riunsice fino a domani nella città lagunare il Comitato scientifico internazionale della Fondazione “Oasis” (www.oasiscenter.eu).

Il tema di questo appuntamento, giunto alla sua sesta edizione, è incentrato su come interpretare le tradizioni al tempo del “meticciato di civiltà e culture”.

Il “meticciato di civiltà” è una categoria utilizzata per spiegare e descrivere l'inedito processo in atto di incontro di uomini e civiltà, che richiama la necessità per le culture di aprirsi all'alterità per arricchirsi in una sintesi nuova, senza però arrivare a una confusione delle identità.

Tuttavia, ha avvertito il porporato, il “meticciato di civiltà” non costituisce un “programma politico” da perseguire all'interno delle società moderne condraddistinte da una sempre più marcata multiculturalità.

Nel documento preparatorio all'incontro si legge che “alla tradizione ci si riferisce quando si parla della necessità di favorire un processo di 'integrazione' delle minoranze in un contesto storico diverso dalla loro matrice culturale” e “si afferma la necessità di legiferare e ordinare la vita della società civile non in astratto ma alla luce della storia e della cultura di un popolo”.

“La tradizione – continua il documento – si presenta inoltre come un’espressione tipicamente comunitaria e sociale di accesso alla verità, la quale da una parte è norma della tradizione, dall’altra ci si offre storicamente solo attraverso di essa”.

In particolare, ha affermato il Cardinale Scola, “molti singoli e molte comunità che interagiscono nel processo di meticciato di civiltà esibiscono una singolare autocoscienza: quella di essere espressione di una tradizione che li precede e li supera”.

“Non punti isolati, dunque, ma anelli di una catena che risale molto indietro nel tempo, fino a un evento fondativo che, nel caso delle fedi religiose universalistiche, è ritenuto possedere un significato valido per ogni tempo e ogni luogo”, ha poi spiegato.

E se da una parte “esiste spazio sufficiente per articolare un’alternativa tra un’esistenza senza radici e una sclerotica ripetizione dell’identico”, dall'altra “la tradizione rettamente intesa resta necessaria”.

“Dai discorsi che ho potuto ascoltare in questi anni, ad esempio all’Università di al-Azhar nel 2006 o al Royal Institute for Interfaith Studies nel 2008 – ha raccontato il porporato – , mi pare evidente che la critica illuministica alla tradizione, intesa come trasmissione meccanica di un pacchetto di verità intangibili, ha raggiunto anche l’altra sponda del Mediterraneo”.

“In questi anni abbiamo sentito spesso ripetere dai nostri interlocutori musulmani che occorre ritornare al Corano e alla sua razionalità – ha aggiunto –, lasciando cadere le interpretazioni che ne sono state date in passato, perché troppo segnate storicamente, ad esempio per quanto riguarda la condizione della donna o gli statuti delle minoranze”.

“In tal modo si documenta ancora una volta il valore di positiva purificazione che la modernità ha esercitato verso ogni tradizione religiosa”, ha quindi evidenziato.

“I soggetti del meticciato dunque sembrerebbero condannati a una radicale impasse – ha osservato il porporato –: nella misura in cui ambiscono mantenere un riferimento religioso concreto, non dissolto in principi astratti di portata universale, essi risulterebbero prigionieri di tradizioni prive di senso, che potrebbero addirittura essere di intralcio rispetto a una purezza originaria”.

Tuttavia, ha continuato il Patriarca di Venezia richiamando le parole del Cardinale Joseph Ratzinger, “non esiste la nuda fede o la pura religione. In termini concreti, quando la fede dice all’uomo chi egli è e come deve incominciare ad essere uomo, la fede crea cultura. La fede è essa stessa cultura”.

Da qui si capisce, ha sottolineato il Cardinale Scola, “l’inevitabile circolarità tra fede e cultura, quando la cultura è intesa nel suo senso pregnante di esperienza umana consapevole”.

“La fede, offrendo all’uomo un’ipotesi interpretativa del reale, produce cultura, e la/e cultura/e, esercitandosi, interpreta(no) le fedi stesse – ha detto –. Nel tempo storico, una tale dinamica è insuperabile. La tradizione adeguatamente e culturalmente interpretata la assicura”.

“Pertanto non esiste un momento iniziale di assoluta chiarezza (nel nostro caso “la pura fede”) seguito da un tempo di crescente nebulosità (“la cultura”, “la religione” in senso barthiano), ma piuttosto un continuo scambio tra questi due poli”, ha aggiunto.

“La cultura è sempre da purificare alla luce della fede, ma la fede, senza oscurare l’assenso dovuto alla verità, è sempre da interpretare secondo le istanze suscitate dalla religione (cultura)”.

Alla luce di questo, ha quindi concluso, “si comprende meglio la necessità del compito di un’interpretazione culturale degli Islam connesso al dato che l’Islam, come ogni fede, produce cultura in quanto propone un’interpretazione del reale”.