ROMA, venerdì, 26 giugno 2009 (ZENIT.org).- “Io so che c’è tra noi chi ha perso un amico, un parente, un fratello o una sorella. Una lunga litania di nomi cari, di persone che hanno fatto sforzi grandi per uscire dalla miseria, dall’oppressione, dalla violenza o dalla guerra”.

Si è fatto interprete del dolore di tante famiglie mons. Antonio Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio per i migranti e gli itineranti, nell’omelia tenuta il 25 giugno a Roma, nella basilica di S. Maria in Trastevere, durante la veglia ecumenica di preghiera in memoria delle vittime dei viaggi dell’immigrazione verso l’Europa.

L’iniziativa con il titolo “Morire di speranza”, giunta alla terza edizione, è stata organizzata dall’Associazione Centro Astalli, dalla Comunità di Sant’Egidio, dalla Federazione Chiese evangeliche in Italia, dalla Fondazione Migrantes, dalla Caritas italiana e dalle Acli.

I dati attestano che nei primi quattro mesi del 2009, solo nel Canale di Sicilia, i morti nel tentativo di sbarcare sulle coste italiane sono stati 339. In tutto il 2008 erano stati 642. Dal 1988 le morti documentate dalla stampa internazionale sono state 14.661, tra cui si contano 6.327 dispersi.

“Molti di loro – ha sottolineato Vegliò – sono morti senza che una persona cara gli stesse vicino per aiutarli o consolarli, senza che qualcuno potesse pregare per loro o dargli una sepoltura dignitosa. Siamo qui, provenienti da paesi diversi e con religioni diverse, per pregare il Signore e dar loro un posto nel nostro cuore e nel cuore di questa città”.

“Quante speranze, quante vite di giovani uomini e donne dell’Africa, dell’Asia, dell’America – ha ricordato il presidente del Pontificio Consiglio per i migranti e gli itineranti – finiscono sulle vie tortuose e insidiose dei viaggi della speranza o nelle onde del Mediterraneo”.

Persone che tentano di sfuggire alla guerra “che da decenni devasta l’Afghanistan, lo Sri lanka, la Somalia, l’Eritrea o il Congo, cinque paesi da cui proviene più della metà dei profughi che arrivano in Italia”, o alle malattie, alla fame, alla mancanza di lavoro “come nella Costa d’Avorio o in Nigeria, che toglie ogni speranza di una vita dignitosa”.

“Il mondo ricco a cui apparteniamo – ha sottolineato Vegliò – spesso non se ne accorge nemmeno”.

“Più che le cifre degli sbarchi – ha dichiarato a ZENIT padre Giovanni La Manna, S.I., direttore del Centro Astalli per i rifugiati di Roma – dovrebbe impressionarci il numero di chi non ce l’ha fatta a raggiungere l’Europa e quello, imprecisato, delle vittime che nemmeno conosciamo”.

“Proviamo tristezza e vergogna –– ha proseguito La Manna – per i respingimenti di tante persone verso la Libia operati dalle autorità italiane nelle ultime settimane. In questo modo si calpestano i diritti umani”. Se è vero che “non è possibile accogliere tutti nel nostro paese, va però salvaguardato il diritto di asilo per i rifugiati e questo non può avvenire né sulle imbarcazioni né tantomeno in Libia”.

“La veglia di stasera – ha aggiunto Franca Di Lecce, responsabile del Servizio rifugiati e migranti della Federazione delle chiese evangeliche (Fcei) – assume un valore simbolico maggiore proprio in considerazione delle norme in materia di immigrazione e sicurezza che si vorrebbero approvare. Molte di queste norme preoccupano le nostre chiese perché hanno un carattere vessatorio verso i migranti e, se approvate, inciderebbero pesantemente anche sugli immigrati regolari”.

“C’è una tragica continuità – ha affermato Di Lecce – nella violazione dei diritti umani sulle due sponde del Mediterraneo: le persone sfuggono dalla guerra e da situazioni che rendono loro impossibile vivere per approdare in un’Europa che continua a violare i diritti umani. La vera emergenza non è quella degli sbarchi, ma dei diritti umani a rischio”.

“Il 75% di coloro che sono arrivati in Italia via mare lo scorso anno – ha ricordato a ZENIT Laura Boldrini, rappresentante in Italia dell’alto Commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) – ha richiesto il diritto di asilo che, dopo attenta verifica, è stato concesso dalle autorità al 50% di essi. Questo deve far riflettere in merito alla pratica dei respingimenti verso i quali guardiamo con grande apprensione: il diritto al non respingimento è stabilito a livello internazionale dalla Convenzione di Ginevra del 1951”.

La comunità internazionale, secondo la Boldrini, deve “saper leggere i flussi delle migrazioni, capirne la composizione, essendo in grado di tutelare le persone mentre opera il controllo dei confini”. “Si tratta di una grande sfida – ha concluso Boldrini – ma sulla quale si gioca il futuro del diritto di asilo”.

“La sapienza del Vangelo, l’umanesimo cristiano che scaturisce dalla Chiesa – ha affermato mons. Vegliò nell’omelia – non è debolezza o ingenuità: è intelligenza e cultura, senso di responsabilità e capacità di edificare il bene comune”.

“Conceda il Signore che i nostri paesi benestanti si trasfigurino in un’arca di salvezza per uomini, donne e bambini che soffrono”, ha concluso l’arcivescovo facendo riferimento al cartoncino distribuito alla fine della celebrazione con un’immagine dell’arca di Noè che galleggia sulle acque del diluvio universale, raffigurata nel Duomo di Monreale.

Domenica su Rete 4, il cartoon su san Josemaría Escrivá

ROMA, venerdì, 26 giugno 2009 (ZENIT.org).- Domenica 28 giugno alle 8:05 su Rete 4 un lungometraggio animato sull’infanzia del fondatore dell’Opus Dei, san Josemaría Escrivá.

Attraverso alcuni episodi significativi, il cartone fa un ritratto del Santo da bambino, in cui emergono quei tratti caratteristici che lo porteranno, da adulto, a dedicare la sua vita al messaggio della santificazione dell’ordinario.

Il cartone racconta del clima di affetto e di fede che c’era nella sua famiglia, il rapporto del piccolo Josemaría con i suoi genitori, con le sorelle e con i compagni di scuola.