di padre Angelo del Favero* 

 

ROMA, venerdì, 26 giugno 2009 (ZENIT.org).- “Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi.(...) Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità, lo ha fatto a immagine della propria natura. Ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo e ne fanno esperienza coloro che le appartengono” (Sap 1,13; 2,23-24).

La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva.(…) La bambina non è morta, ma dorme. (…) Prese la mano della bambina e le disse:Talita’ kum”. E subito la fanciulla si alzò e camminava. (…) E disse di darle da mangiare” (Mc 5,23.41-43).

Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, (…) udito parlare di Gesù venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: “Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti sarò salvata”. E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male. E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: “Chi mi ha toccato le vesti?”(…) E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: “Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va in pace e sii guarita dal tuo male” (Mc 5,21-43).

Le letture di questa XIII Domenica del T.O., in continuità con il messaggio di domenica scorsa, ci annunciano che la lotta perenne tra le forze del male e le forze del bene, tra la morte e la vita, è pre-destinata al trionfo cosmico e totale della vita.

Certo, si tratta di una vittoria non ancora definitiva, se guardiamo alla storia di questo mondo segnato tragicamente dalla sofferenza e dalla morte, ma tale vittoria è già assegnata ad ognuno come “bottino di guerra”, ottenuto da Gesù nell’agonia della Passione, come annuncia Paolo: “Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo considerati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati (Rm 8,36-37).Nel Vangelo di oggi vediamo che ovunque Gesù entri in contatto con la fatalità della malattia, il conto alla rovescia della morte viene fermato, e la vita torna a scorrere come un fiume verso il mare. E in realtà, quello che i nostri occhi vedono quando muore una persona, non è l’estinguersi del fiume della sua vita, ma solo il suo nascondersi dietro il sipario della morte biologica. Viene meno la visibilità corporea di quella vita immortale che fa essere ogni uomo, sin dal primo istante del concepimento.

Il motivo della vittoria della Vita sulla morte è che non esiste una sorgente della morte, mentre esiste da sempre e solo la Sorgente divina ed inestinguibile della Vita: “Ein Te la sorgente della vita” (Sal 36/35,10). Questa Sorgente è Dio Amore, è la Santissima Trinità rivelata da Gesù.

Sapere dove si trova la sorgente è già salvezza per chi sta morendo di sete, ma è vano se costui non conosce il modo di trovarla, o se, trovatala, non ha un secchio per attingere l’acqua che scorre in profondità. Il secchio per attingere la vita divina in fondo al pozzo dell’anima è la fede. Bere alla fonte non è possibile da lontano: solo una fede che consiste nell’incontro quotidiano con il Signore è in grado di abbeverare l’anima assetata di Acqua viva. Questo incontro, necessario e vitale, è la preghiera. La preghiera non è un’arte facoltativa per l’uomo. Il pittore e lo scultore possono vivere anche senza dipingere e scolpire, ma l’uomo non può vivere senza pregare, se vuole scoprire chi è, essere se stesso e vivere nella gioia. Si prega per vivere!

Ascoltiamo queste profonde parole: “Sì, per vivere veramente bisogna pregare. Perché? Perché vivere è amare, e una vita senza amore non è vita. E’ solitudine vuota, è prigione e tristezza. Vive veramente solo chi ama, e ama solo chi si sente amato, raggiunto e trasformato dall’amore. Come la pianta non fa sbocciare il suo frutto se non è raggiunta dai raggi del sole, così il cuore umano non si schiude alla vita vera e piena se non è toccato dall’amore. Ora, l’amore nasce dall’incontro con l’Amore di Dio e vive in questo incontro. Pregando ci si lascia amare da Dio e si nasce all’amore sempre di nuovo. Perciò chi prega vive nel tempo e nell’eternità. E chi non prega? Chi non prega è a rischio di morire dentro, perché gli mancherà prima o poi l’aria per respirare, il calore per vivere, la luce per vedere, il nutrimento per crescere e la gioia per dare un senso alla vita” (Mons. Bruno Forte, “Lettera sulla preghiera”).

Al riguardo, è famosa l’affermazione di sant’Ireneo: “Gloria di Dio è l’uomo vivente…”, ma non va disgiunta dalla seconda parte: “...e vita dell’uomo è la visione di Dio”.  Cosa significa? Significa la preghiera. Dobbiamo comprendere che pregare è “fare amicizia con Dio, intrattenendosi molte volte con Lui in un dialogo d’amore, nell’intimità, con la certezza di essere da Lui amati” (S. Teresa di Gesù, Vita; c.8, n.5). La santa di Avila esorta: “Vi chiedo solo che Lo guardiate…sappiate che questo vostro Sposo non vi perde mai di vista…non aspetta che un vostro sguardo per mostrarsi subito quale voi lo bramate” (Cammino di perfezione, c.26, n.3).

Guardare Dio è navigare in Cristo per mezzo della sua Parola. E’ possibile, è bellissimo, è facile. Basta volgere l’attenzione della mente e del cuore dentro di sé, dopo essere entrati ad occhi chiusi. Chiunque di noi è in grado di evocare alla memoria il volto della persona amata: l’anima la guarda, il cuore la possiede. Questo vuol dire Ireneo. Per la Bibbia vedere significa possedere. Nella preghiera l’attenzione fedele ed amorosa al volto di Gesù permette di “possedere” Dio, come un campo irrigato l’acqua: per essa siamo impregnati della sua Vita divina che trasforma la terra arida dell’anima in un giardino pieno di frutti squisiti.

Sì, si prega per vivere e per tornare a vivere, come suggeriscono oggi rispettivamente l’incontro di Gesù con la donna affetta da emorragia e con la fanciulla ormai morta. Consideriamo la prima: che significato possiamo dare alle “note cliniche” di Marco?  Le perdite di sangue da dodici anni non vanno scritte in cartella, perché sono un messaggio simbolico. Il numero dodici nella Scrittura è qualitativo, non quantitativo: parla di pienezza, di perfezione, di totalità. Come a dire: un male doloroso più di ogni male, la quintessenza della sofferenza, con conseguenze più gravi della morte fisica.  

Più che ad una malattia cronica (metrorragia), pensiamo alla sindrome mortale dell’aborto volontario, poiché l’utero è l’organo della vita, la cui funzione meravigliosa, la gravidanza, viene oggi considerata e trattata alla stregua di una malattia, non senza l’inganno frequente di molti medici ed operatori che chiamano “regolazione mestruale” l’omicidio precoce nel grembo, o “contraccezione d’emergenza” l’uccisione chimica del bambino nella tuba uterina. In questa donna “impaurita e tremante” di Marco, la quale sa bene ciò che le è accaduto,  è raffigurata ogni donna consapevole di ciò che le è accaduto quel giorno  sul lettino dell’ospedale, o stamattina nel bagno di casa dopo l’assunzione della RU 486. Ma il messaggio è oltremodo consolante!

Anche per lei può accadere questa grazia: “Signore, mio Dio, a te ho gridato e mi hai guarito. Hai mutato il mio lamento in danza , mi hai tolto l’abito di sacco, mi hai rivestito di gioia” (Salmo 30/29,3.12). Com’è possibile? E’ illuminante: tutta la folla circonda Gesù assediandolo, ma a nessuno è comunicata una goccia di Vita, mentre colei che Lo sfiora toccandogli solamente il mantello, è invasa all’istante dalla sua forza divina. Come applicare anche a noi tutto questo?

I primi, che comprimono Gesù, sono coloro che pregano “recitando”, senza pensare a ciò che dicono né a chi lo dicono; la donna rappresenta invece coloro che si sforzano di fissare l’attenzione sul volto del Signore, facendosi largo tra la folla dei pensieri involontari e delle distrazioni, sapendo per fede che Egli è realmente presente, in ascolto, e li guarda amorevolmente mentre cercano a fatica di raggiungerlo e toccarlo dentro di sé mediante il raccoglimento della mente e  del cuore.

Benedetto XVI, quasi commentando la scena evangelica di oggi, ha spiegato magistralmente la natura e l’efficacia della fede con queste parole: “La fede è il dono, datoci nel Battesimo, che ci rende possibile l’incontro con Dio. Dio si nasconde nel mistero: pretendere di comprenderlo significherebbe volerlo circoscrivere nei nostri concetti e nel nostro sapere, e così irrimediabilmente perderlo. Mediante la fede, invece, possiamo aprirci un varco attraverso i concetti, perfino quelli teologici, e possiamo “toccare” il Dio vivente. E Dio, una volta toccato, ci trasmette immediatamente la sua forzaun torrente nascosto di vita divina. Quanto importante è per noi credere nella potenza della fede, nella sua capacità di stabilire un legame diretto con il Dio vivente!” (Incontro con i religiosi al Santuario di Jasna Gora, 26 Maggio 2006, La Traccia, p.557).

Indubbiamente la donna guarita è mossa dalla pura fede nella persona del Signore, riconosciuto come Dio potente e misericordioso. Senza la fede essa non avrebbe raggiunto Gesù, e se anche lo avesse raggiunto non lo avrebbe toccato, e se anche lo avesse toccato non sarebbe stata invasa dal torrente nascosto della sua vita divina.

Verosimilmente questa donna non sarebbe stata scossa dall’eventuale insuccesso del suo gesto, se a questa prova Gesù avesse voluto sottoporla. La sua è la fiducia stupenda e spontanea dei bambini, aliena da ogni obiezione e condizione. Quando un bambino ti guarda con il candore radioso del suo volto, ogni sua richiesta buona ha una forza irresistibile sull’anima, similmente al tocco della donna sul mantello di Gesù.  L’anima, infatti, riconosce in quel volto l’orma stessa del suo Creatore, e a Lui non può dire di no.

La fede, dal versante umano, è lo sguardo fiducioso della creatura al suo Signore, puro nella volontà di essere come quello di un bambino. La fede è anche qualcosa di divino, un’energia vitale che esce da Gesù ogni volta che con tremore e timore ci avviciniamo e tocchiamo il suo mantello, cioè entriamo in contatto vivo con la sua persona che parla nel Vangelo, ci ascolta nella preghiera e ci trasforma nell’Eucaristia. Allora è data l’esperienza opposta a quella descritta oggi dal libro della Sapienza quando dice: “Per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo e ne fanno esperienza coloro che le appartengono” (Sap 1,24). Chi sono costoro? Sono tutti quelli che cadono nel peccato mortale.

L’aborto è un peccato mortale in questo senso: che la morte entra a possedere l’anima della madre, a farla sua, interrompendo il flusso vitale della grazia. Allora solo il Signore della vita può prenderla per mano, chiamandola per nome: “Talità kum!  Fanciulla io ti dico: alzati!”. E’ questo il miracolo che si rinnova ogni giorno ed ogni volta nell’incontro sacramentale con Gesù, nel confessionale. Qui avviene esattamente quello che descrive Marco oggi: “Sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: “Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va in pace e sii guarita dal tuo male” (Mc 5,34).

 

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E' diventato carmelitano nel 1987. E' stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.