CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 29 maggio 2009 (ZENIT.org).- Questo venerdì Benedetto XVI ha deplorato gli attacchi contro i cristiani verificatisi in varie regioni dell'India, nell'incontrarsi con la nuova ambasciatrice di questo paese presso la Santa Sede.

“Mi unisco ai responsabili religiosi e governativi del mondo che condividono il desiderio comune che tutti i membri della famiglia umana godano della libertà di praticare la religione e di impegnarsi nella vita civile senza timore di ripercussioni negative a causa del loro credo”, ha scritto il Papa nel discorso consegnato all'ambasciatrice Chitra Narayanan.

“Non posso non esprimere – ha aggiunto – la mia profonda preoccupazione per i cristiani che hanno sofferto per lo scoppio di violenza in alcune aree dell'India”.

“Oggi – ha scritto –, ho l'opportunità di esprimere il mio apprezzamento per gli sforzi che il suo Paese ha compiuto per gli afflitti, offrendo loro riparo e assistenza, conforto e riabilitazione, così come per le misure prese per condurre indagini e celebrare processi equi al fine di risolvere questi problemi”.

Infine, il Papa ha esortato “a mostrare rispetto per la dignità umana rifiutando l'odio e rinunciando alla violenza in tutte le sue forme”.

Da parte sua, l'ambasciatrice di New Delhi ha ricordato nel discorso rivolto al Santo Padre che “l'India è un Paese laico e democratico in cui i seguaci delle diverse fedi religiose hanno pari diritti” e che “il diritto alla libertà di religione è un diritto fondamentale previsto dalla costituzione dell'India all'articolo 25”.

Per questo, ha continuato, “i casi di violenza contro i cittadini, specialmente contro le minoranze, vengono condannati dal Governo dell'India e le azioni correttive rimangono la sua più grande priorità”, così come rimane “costante l'impegno nel promuovere il rispetto reciproco e la coesistenza pacifica non solo tra i popoli, ma anche tra le nazioni”.

“La Chiesa cattolica nel suo Paese – ha quindi assicurato il Papa – continuerà a svolgere un ruolo di promozione della pace, dell'armonia e della riconciliazione fra seguaci di tutte le religioni, in particolare attraverso l'educazione e la formazione nelle virtù della giustizia, della tolleranza e della carità”.

Ogni forma di autentica educazione, ha infatti precisato, mira “ad alimentare virtù morali e a preparare i giovani ad abbracciare le proprie responsabilità sociali con una sensibilità raffinata per ciò che è buono, giusto e nobile”.

I cristiani dell'India, specialmente nello stato dell'Orissa, sono stati travolti da un'ondata di violenza senza precedenti scoppiata all'indomani dell'uccisione, il 23 agosto del 2008, da parte di un gruppo maoista, di Swami Laxmanananda Saraswati, il leader degli estremisti del Visha Hindu Parishad, gruppo legato al  Bharatiya Janata Party, il più grande partito politico indiano, di impronta nazionalista-induista.

Saraswati da tempo conduceva una violenta campagna contro le conversioni al cristianesimo e di “rinascita dell’orgoglio nazionalista” per conquistare la presidenza dei singoli Stati, dopo la dura sconfitta subita alle elezioni nazionali del 2004 dal Bharatiya Janata Party.

Dopo la sua morte, sono state assaltate chiese, centri sociali e pastorali, conventi e orfanotrofi al grido: “Uccidete i cristiani e distruggete le loro istituzioni”.

Nel corso delle violenze, che hanno riguardato qualcosa come 392 villaggi, circa 500 persone hanno perso la vita, 54 mila sono stati gli sfollati, 180 chiese sono andate distrutte mentre una quarantina di scuole o centri di catechesi hanno subito danni.

Il cristianesimo è la terza religione in India, con circa trenta milioni di fedeli (il 2,4% della popolazione mentre i cattolici sono solo l'1%).