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Fiaba o realtà? Il curioso caso di Benjamin Button, film che il regista statunitense David Fincher ha ricavato, con l’aiuto dello sceneggiatore Eric Roth, da un racconto di Francis Scott Fitzgerald (una cinquantina di pagine nella raccolta The Jazz Age, pubblicata nel 1922), narra una storia fantastica alla quale la magia del cinema conferisce un tono sospeso tra l’incredibile e il verosimile. Il film, come il racconto dal quale deriva, si propone di sottoporre alla prova dei fatti una frase paradossale di Mark Twain, il quale sosteneva che la vita sarebbe molto più felice se gli esseri umani potessero nascere a ottant’anni e regredire gradualmente fino ai diciotto. Ecco dunque il «curioso» caso di un uomo che ringiovanisce, lui solo, mentre tutti gli altri invecchiano attorno a lui. La sua vita si svolge a rovescio partendo dalla tomba per arrivare passo dopo passo fino alla culla.
Diversità e solitudine
Nato a New Orleans nel 1918 mentre sono in corso i festeggiamenti per la fine della grande guerra, Benjamin ha la pelle grinzosa e il corpo logorato di un vecchio. Ringiovanirà, come si è detto, fino a raggiungere la piena forma verso i trenta-quarant’anni, per diventare poi un giovanotto, quindi un ragazzino e morire alla fine come un bebè che si addormenta tra le braccia della mamma. A interpretare questo ruolo è stato chiamato l’attore Brad Pitt, aiutato nei vari passaggi di età dall’intervento di trucchi cinematografici e da aggiustamenti attuati con la manipolazione delle immagini digitali.
Il racconto comincia quando la storia è già terminata. Nella New Orleans del 2005, mentre si sta avvicinando l’uragano Katrina, che avrà effetti devastanti sulla città, una donna consunta dagli anni (Cate Blanchet, anche lei invecchiata con accorgimenti tipici del trucco cinematografico), giace in un letto di ospedale in attesa della morte. La donna si chiama Daisy. L’assiste la figlia Caroline (Julia Ormond). Raccogliendo le energie che le rimangono, Daisy chiede alla figlia di leggerle un manoscritto nel quale un uomo (Benjamin Button) racconta la sua vita.
A mano a mano che la lettura procede, Caroline apprende che quell’uomo (mai sentito nominare in precedenza) è stato amato da sua madre ed è suo padre. Le parole del manoscritto prendono corpo sullo schermo in una serie di flash-back che narrano in ordine cronologico la vita di Benjamin. Tra un episodio e l’altro si ritorna nella camera di ospedale, dove le due donne (madre e figlia) completano e commentano il contenuto del manoscritto. L’uragano intanto si fa sempre più minaccioso. La fine del racconto (e del film) coincide con la fine di un mondo spazzato via dalle forze scatenate della natura.
La vita di Benjamin è caratterizzata fin da principio da forti contrasti. Sua madre muore nel darlo alla luce. Neonato e decrepito, provoca con il suo aspetto mostruoso l’orrore del padre, Thomas Button (Jason Flemyng), il quale vorrebbe disfarsene buttandolo nelle acque del Mississippi: ma, sorpreso dal sopraggiungere di una guardia, si limita ad abbandonarlo sulle scale di una casa di riposo per anziani, la Nolan House, dove viene trovato da Queenie (Taraji P. Henson), la custode nera, che, essendo senza figli, decide di accoglierlo come un dono del cielo.
Benjamin, al quale i medici predicono pochi giorni di vita, cresce e prende forza nella Nolan House a contatto con gli anziani che vi abitano e si abitua a considerare la vecchiaia come una condizione normale. Ognuno degli ospiti della casa ha caratteristiche personali alle quali l’età avanzata fa assumere l’aspetto di vere e proprie manie. Benjamin non si meraviglia delle loro stranezze. Impara da Queenie, donna dal grande cuore e dalla mentalità aperta, a non giudicare nessuno e ad accettare, oltre a quella degli altri, anche la propria diversità. Impara anche a considerare la morte, visitatrice frequente della Nolan House, come una presenza amica. La morte non ci separa dalle persone care, ma ci aiuta a comprendere quanto esse valgono per noi.
Mentre Quennie incarna stabilmente per Benjamin la figura della madre, il ruolo del padre viene assunto con il passare degli anni da diversi personaggi. Tizzy (Mahershalhashbaz Ali), cuoco nero della casa di riposo e compagno di Queenie, gli insegna a leggere e a scrivere oltre a fargli conoscere Shakespeare. Un pigmeo (Rampai Mohadi), ospite temporaneo della pensione, lo aiuta a uscire per la prima volta nella strada e gli fa capire che la solitudine non è appannaggio esclusivo degli emarginati, come loro due, ma riguarda tutti gli uomini, anche quelli che si considerano fortunati perché sono alti, bianchi e ricchi. Poi viene il capitano Mike (Jared Harris), che lo ingaggia come marinaio sul suo rimorchiatore e lo aiuta a raggiungere la maggiore età.
Ineluttabilità della morte
Con Mike, che ha il corpo coperto da tatuaggi eseguiti da lui, e pertanto si ritiene un artista, Benjamin girerà il mondo, imparerà a conoscere i piaceri della vita e, giunto nel porto russo di Murmansk, avrà modo di intrecciare un tenero rapporto con Elizabeth Abbott (Tilde Swinton), moglie insoddisfatta di un diplomatico britannico, che gli insegna a gustare il caviale con la vodka. Nel 1941 gli Stati Uniti entrano in guerra. Il rimorchiatore del capitano Mike è ingaggiato dalla marina statunitense per il recupero delle navi danneggiate in battaglia. Assistiamo a uno scontro navale durante il quale il capitano Mike perde la vita. «Puoi arrabbiarti, imprecare, maledire il destino, ma alla fine, quando viene la tua ora, non ti resta che mollare», sono le sue ultime parole. Assieme a quelle che Queenie ripete a Benjamin («Non puoi mai sapere cosa ti riserva il domani»), le parole di Mike definiscono la filosofia spicciola professata dai personaggi del film.
A un certo punto della sua vita, Benjamin si accorge che il padre Thomas, dopo averlo abbandonato sulle scale della Nolan House con 18 miserabili dollari infilati tra le pieghe dello scialle che avvolgeva il suo corpicino deforme, non ha mai cessato di tenerlo d’occhio e lo ha incontrato più volte senza rivelargli la propria identità. Quando Benjamin torna sano e salvo dalla guerra, Thomas, che è malato e sente avvicinarsi la morte, essendo rimasto solo e senza figli, decide di rivelare a Benjamin il segreto della sua nascita e di nominarlo erede della fabbrica di bottoni, di cui è titolare, con la quale ha fatto affari d’oro rifornendo l’esercito durante la guerra. Thomas è tormentato dai rimorsi e, a differenza del figlio, ha paura della morte. Benjamin lo accompagna dolcemente negli ultimi passi della vita e, per esaudire un suo desiderio, lo porta (caricandoselo sulle spalle) a vedere sorgere il sole sulle rive del lago Pontchartrain.
Il cuore del film è rappresentato dal rapporto tra Benjamin e Daisy. Nel 2005, mentre l’uragano Katrina incombe su New Orleans, lui è già morto da qualche anno. Il suo fantasma, evocato dalla sua voce che si sovrappone a quella di Caroline nella lettura del diario, sembra aleggiare nella camera di ospedale dove Daisy sta morendo. Il due si sono incontrati per la prima volta quando erano entrambi bambini, anche se lui aveva un aspetto da vecchietto grinzoso. Daisy si recava spesso alla Nolan House per fare compagnia alla nonna e vi si tratteneva talvolta anche di notte. Il loro rapporto era iniziato con giochi innocenti. Daisy aveva percepito immediatamente la presenza di un coetaneo sotto la corteccia ruvida del «mostriciattolo» che le stava davanti. I loro cuori palpitano all’unisono, ma le loro vie si separano quando Benjamin si imbarca sul rimorchiatore del capitano Mike, mentre Daisy si trasferisce a New York per frequentare la scuola di danza.
I due si incontrano di nuovo quando Benjamin torna dalla guerra. Daisy è sorpresa nel vedere un uomo diverso da quello che aveva lasciato. Cenano in un ristorante e lei trabocca di entusiasmo nel parlare dei successi che sta incontrando nella sua attività sul palcoscenico. Lui si sente travolto dalla foga di lei. Daisy appare a Benjamin come un essere superiore, per lui inattingibile. Più tardi, nella notte, lei danza davanti a lui in un gazebo. È la scena più bella del film. Daisy parla a Benjamin della vita libera che conduce a New York in un ambiente promiscuo e privo di inibizioni come è il mondo del balletto. Con lo stesso spirito di libertà gli si offre sull’istante, ma lui rifiuta. Non si sente pronto.
Dopo la morte del padre, che gli assicura fra l’altro una posizione economica ragguardevole, Benjamin raggiunge Daisy a New York. La guarda con occhi estasiati mentre si esibisce in teatro. Vorrebbe invitarla al ristorante, ma lei è presa dagli amici, che mescolano allegramente rapporti professionali e legami sentimentali. Benjamin se ne va deluso. Dopo qualche tempo, viene a sapere che Daisy, mentre si trovava a Parigi, è rimasta vittima di un incidente che le ha fratturato in più punti una gamba mettendo fine alla sua carriera di ballerina. Benjamin si precipita immediatamente nella Ville lumière e va a trovare Daisy in ospedale. Lui è in forma splendida e pieno d’amore. Ma questa volta è lei a respingerlo. Nella sua posizione di regina detronizzata non è disposta ad accettare l’elemosina di chi si trovava non molto tempo prima più in basso di lei.
Un amore totale
Il momento dell’amore giungerà per i due qualche anno più tardi e sarà un amore travolgente e totale. Amore in fuga, perché il tempo scorre per Benjamin e Daisy in direzioni opposte. Lui ringiovanisce mentre lei invecchia. Il loro incontro pertanto sarà necessariamente breve. I due non possono permettersi di sciupare neppure un secondo. Vivono in una casa non ammobiliata, che resterà tale finché dura il loro rapporto. La gravidanza di Daisy e la nascita di una bambina, che si chiamerà Caroline come la mamma di Benjamin, morta quando lui è nato, mette fine all’idillio. Benjamin si rende conto che sua figlia, per crescere bene, ha bisogno di un vero padre, non di un compagno di giochi. Daisy, che nel frattempo ha aperto una scuola di danza, non può occuparsi di due figli: Caroline che cresce e Benjamin che regredisce fino allo stadio infantile.
L’amore non consiste in quello che uno riceve, ma in quello che sa dare. Benjamin vende tutto quello che ha. Consegna i soldi a Daisy e parte per un viaggio senza meta. Quando torna è poco più che un adolescente. Daisy nel frattempo ha sposato un vedovo distinto e garbato, che la aiuta a far crescere Caroline. Rimasta vedova a sua volta, dopo che sua figlia ha raggiunto la maggiore età, Daisy ha tutto il tempo da dedicare a Benjamin, vecchio-bambino che ha perso la memoria della sua vita passata, tornato nella Nolan House. Gli ospiti di un tempo, compresi Queenie e Tizzy, hanno ormai raggiunto la loro stabile dimora nel mondo dei più. Daisy è la mamma tra le cui braccia si addormenta Benjamin-bebè giunto al termine del suo cammino.
Tra le metafore delle quali il film si avvale per comunicare allo spettatore significati che vanno al di là di quelli che possono essere colti a prima vista, ce n’è una che apre e chiude la pellicola. Nel 1918 la stazione ferroviaria di New Orleans viene dotata di un nuovo grande orologio, la cui costruzione è affidata a monsieur Gateau, un orologiaio cieco, che in quella stazione ha abbracciato per l’ultima volta, assieme alla moglie, il figlio ventenne partito per la guerra e ritornato cadavere, chiuso in una bara di legno, in quella stessa stazione. Al momento della solenne inaugurazione dell’orologio, presente Teddy Rooswelt (Ed Metzger), tutti si accorgono che le lancette, invece di scorrere in avanti, vanno indietro. «Non vorrei offendere nessuno — dice Gateau —, ma le lancette che segnano il tempo a rovescio esprimono il desiderio, comune a molti di noi, che i nostri ragazzi, morti in guerra, possano tornare un giorno a riprendere nella vita la loro attività normale».
Il cinema asseconda le parole dell’orologiaio con una carrellata, proiettata al contrario rispetto al senso nel quale è stata girata, dove si vedono i soldati al fronte che invece di cadere morti, durante un assalto alla baionetta, si alzano da terra e corrono all’indietro. A questa inquadratura segue quella già vista, con il figlio di Gateau che abbraccia i genitori e sale sul treno, proiettata questa volta al contrario.
Lo strano caso di Benjamin Button è un film ricco di trovate simili, che non possiamo elencare per esteso. Opere di questo genere offrono un’occasione per riflettere non soltanto sulla natura del linguaggio cinematografico, ma anche sul rapporto tra la vita di ognuno e la storia più ampia (che qui abbraccia un intero secolo con due guerre mondiali che hanno modificato la faccia del pianeta) nella quale si inserisce, sulla natura del vero amore, sulla solitudine di chi sa di essere diverso e quella ancora più dolorosa di chi lo ignora, sulla instabilità dell’ora presente e sulla incompiutezza della vita terrena, che dal finito si protende necessariamente verso l’infinito.
All’inizio del millennio, il vecchio orologio della stazione di New Orleans viene sostituito con uno nuovo, elettronico, che procede ovviamente in avanti. Nell’ultima immagine del film troviamo il vecchio orologio, che va alla rovescia, abbandonato in un magazzino, sommerso progressivamente dall’acqua dell’inondazione provocata dall’uragano. Eco di una dolce apocalisse, che fa da contrappunto alle tante apocalissi catastrofiche che il cinema americano non cessa di riversare sugli schermi in un’epoca come la nostra, caratterizzata dallo sgretolarsi di un vecchio ordine mondiale e dal desiderio diffuso di un cambiamento che aiuti l’umanità a camminare verso nuovi orizzonti.
© La Civiltà Cattolica 2009 II 335-340 quaderno 3814