La Chiesa si oppone ai respingimenti degli immigrati clandestini

Impediscono l’integrazione e l’inserimento degli stranieri, denuncia

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ROMA, giovedì, 14 maggio 2009 (ZENIT.org).- I Vescovi italiani stanno esprimendo la propria contrarietà nei confronti del disegno di legge sulla sicurezza approvato questo giovedì alla Camera dei Deputati e che ora verrà trasmesso al Senato. Nei giorni scorsi hanno suscitato un ampio dibattito i respingimenti da parte dell’Italia di barconi di persone che cercavano di entrare clandestinamente nel Paese.

Il testo di legge introduce il reato di clandestinità, marciando nella direzione opposta a quella dell’“integrazione e dell’inserimento” degli stranieri in Italia, ha affermato il direttore dell’Ufficio pastorale degli immigrati e rifugiati della Fondazione Migrantes della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), padre Gianromano Gnesotto.

Nella proposta di legge sulla sicurezza, denuncia, viene “tenuto sotto silenzio” il tema “dell’integrazione, dell’inserimento nella società, per ottenere il quale sono prioritarie le strategie della difesa dell’unità familiare, dei ricongiungimenti familiari, dei minori tutelati”.

“Il pacchetto sicurezza non parla di questo e non avrà gli effetti propri di una società che vuole essere integrata”, ha avvertito il presule, esprimendo grande preoccupazione per le difficoltà per il riconoscimento dei figli nati in Italia da madri clandestine senza passaporto, “i bambini invisibili”.

Monsignor Giovanni Martinelli, Vescovo di Tripoli (Libia), si è chiesto “come è possibile rigettare sui libici un problema così vasto”, visto che proprio verso la Libia sono stati rispediti gli immigrati.

“E’ l’aspetto umanitario che conta per primo – ha dichiarato –: povera gente che cerca di fuggire dalla povertà, dall’ingiustizia, da una condizione di miseria insopportabile: come discernere tra queste persone allo sbando chi sarebbe da considerare ‘rifugiato politico’ e come rifiutare le altre?”.

Al termine del convegno nazionale sull’ecumenismo, svoltosi a Siracusa il 7 e l’8 maggio, è stato diffuso un comunicato firmato da cattolici, ortodossi ed evangelici in cui si esprime “preoccupazione vivissima per norme e provvedimenti nei confronti degli immigrati e dei rifugiati che rischiano di violare fondamentali diritti umani e di negare elementari principi di umanità, di tutela dell’infanzia e dell’unità familiare, di convivenza negli spazi pubblici e di libertà di espressione della propria tradizione religiosa”.

Lê Quyên Ngô Dình, presidente della Commissione migrazioni di Caritas Europa e responsabile dell’area immigrati della Caritas di Roma, ha dichiarato all’agenzia SIR che “qualsiasi respingimento in mare lede il diritto d’asilo” e che se non si affronta “seriamente” il tema della richiesta d’asilo “le violazioni dei diritti umani si moltiplicheranno”.

La reazione delle organizzazioni

La proposta di legge sulla sicurezza ha sollevato aspre critiche anche da parte delle organizzazioni a base religiosa.

Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, ha affermato che senza integrazione “non ci sarà nemmeno sicurezza”. L’introduzione del reato di clandestinità, ha osservato, sembra intendere “una superiorità dei cittadini italiani rispetto agli immigrati”.

Dal canto suo Andrea Olivero, presidente delle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani (Acli), ha espresso il “forte rammarico” dell’associazione per l’approvazione della proposta di legge da parte della Camera, sostenendo che l’introduzione del reato di clandestinità provocherà “forti limitazioni nell’esercizio dei diritti fondamentali”, favorendo “un clima pericoloso di paura e di sospetto, che alimenterà la clandestinità anziché combatterla”.

Per padre Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli, si tratta di una “violazione gravissima del diritto internazionale”, accusa sostenuta anche dal Servizio dei Gesuiti per i rifugiati (Jrs), per il quale i respingimenti sono “un attacco ai valori fondanti dell’Unione europea, oltre che un’aperta violazione del diritto internazionale”.

P.adre Beniamino Rossi, presidente dell’Agenzia scalabriniana per la cooperazione allo sviluppo (Ascs), chiede invece una “verifica politica sugli aiuti e la collaborazione dell’Italia e dell’Europa con il governo libico” nel contrasto all’immigrazione irregolare, poiché “di fatto l’Italia finanzia campi di detenzione e sostiene la prassi discriminatoria e vessatoria delle forze dell’ordine libiche”.

Franco Miano, presidente nazionale dell’Azione Cattolica, ha criticato “l’uso strumentale che la politica fa troppo spesso di grandi questioni come l’immigrazione”, mentre Pax Christi Italia dichiara in un documento che non si può “tollerare l’idea che esistano esseri umani di seconda e terza serie e che dentro e fuori l’Italia si formi un popolo di non-persone”.

Forti critiche sono arrivate anche dalla Federazione italiana comunità terapeutiche (Fict), il cui presidente, don Mimmo Battaglia, afferma che è impossibile “non interrogarsi sull’atteggiamento che l’Italia sta tenendo nei confronti delle navi cariche di umanità disperata in partenza dalle coste nordafricane”.

Carlo Cirotto, presidente nazionale dal Movimento ecclesiale di impegno culturale (Meic), ha esortato a trovare “vie politiche e diplomatiche, a livello nazionale ed internazionale, in modo che sia stroncata la tratta degli immigrati e sia sempre salvaguardata la loro dignità”.

L’Unità e Cooperazione per lo Sviluppo dei Popoli (Ucodep), ONG italiana impegnata in progetti per l’integrazione dei cittadini stranieri, ha infine definito i respingimenti una decisione “al di là di ogni legittimità giuridica”.

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ZENIT Staff

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