di Alessandra Nucci
ROMA, martedì, 12 maggio 2009 (ZENIT.org).- Sono molte le testimonianze, di cui molte ancora non censite, della rete di soccorsi organizzata dalla Chiesa cattolica sotto il Pontificato di Pio XII, per aiutare e salvare gli ebrei durante il fascismo e la seconda guerra mondiale.
In terra toscana, ad esempio, toccò fra gli altri alle Oblate dello Spirito Santo, l’ordine religioso fondato a fine Ottocento dalla Beata Elena Guerra, adoperarsi a favore dei discriminati razziali.
Stanti le condizioni di grave pericolo che correva chiunque si rendesse protagonista o testimone di operazioni di soccorso ai perseguitati, si aveva cura di non conservare oggetti che potessero costituire un minimo indizio o prova di tali attività.
L’unico modo dunque per far sì che non si perda ogni traccia di quella vera e propria epopea della solidarietà svolta da conventi e monasteri, congiuntamente alle iniziative di soccorso ebraico e al movimento cattolico nella Resistenza, è di raccogliere le testimonianze dei sopravvissuti a quegli eventi.
E’ quanto hanno cominciato a fare già da tempo le Oblate, o “Zitine” (chiamate così a Lucca dal nome di Santa Zita, scelta come patrona e modello per la congregazione), con la relazione scritta per il trentennale della resistenza dalla Madre Generale dell’epoca, e con le testimonianze sottoscritte anche da altre suore coinvolte.
La relazione della Madre Generale, Sr. Margherita Fontanarosa, attesta che arrivarono all’Istituto di Lucca da Roma, tramite la Sacra Congregazione dei Religiosi, delle disposizioni che ingiungevano di prodigarsi “in tutte le forme possibili” ad aiutare fattivamente i perseguitati.
Le suore ebbero una conferma di tali disposizioni dall’allora Arcivescovo di Firenze, Cardinale Elia Dalla Costa, quando a lui si rivolse Suor Redenta, un’Oblata convertita di famiglia ebraica, per avere il permesso di aiutare i propri congiunti imprigionati. “Sua Eminenza non solo comprese con particolare sentimento lo stato d’animo della giovane Suora – attestava la Madre – ma rispose con energia che ‘doveva’ farlo.”
Fra le testimonianze raccolte figura quella sottoscritta nel 2003 da Alfredo Andreini, di anni novanta, che attesta anch’egli come le tante comunità religiose che si mossero lo fecero “incoraggiate anche dal Papa (Pio XII)”.
I primi perseguitati accolti dalle Zitine furono la quindicina di parenti della religiosa che si era rivolta al Cardinal Dalla Costa, comprensive di signore, signorine e bambini, mentre gli uomini andarono in parte nella Casa delle suore a Matraia e in parte dai Padri Certosini di Farneta, destinati a pagare con la vita questa ospitalità.
Fra gli ebrei accolti vi fu la Signora Forti, zia dello scienziato Enrico Fermi, che chiese ed ottenne il permesso Ecclesiastico di farsi cattolica, così come fece il figlio professore.
L’assistenza, destinata inizialmente ai cittadini di Lucca, fu estesa anche agli ebrei di Pisa e Livorno. L’esempio di Lucca fu presto imitato dalla sede di Roma, molto più piccola ma che fu in grado di ospitare 25 donne ebree in pericolo.
Il soccorso non si limitava solo a fornire l’alloggio perché questa grande famiglia clandestina era bisognosa di tutto, a partire dal vitto: compito proibitivo in tempi in cui il mangiare dipendeva da una tessera di razionamento nominativa, che naturalmente le donne ebree non avevano.
Fu necessario anche fornire le vesti religiose per i travestimenti e l’accompagnamento nei pericolosi trasferimenti da una sede all’altra.