Il Papa ricorda "l'inseparabile vincolo" tra la Chiesa e il popolo ebreo

Auspica il superamento di “ogni ostacolo che si frappone alla riconciliazione”

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AMMAN, sabato, 9 maggio 2009 (ZENIT.org).- L’antica tradizione del pellegrinaggio ai luoghi santi ricorda “l’inseparabile vincolo che unisce la Chiesa al popolo ebreo”, ha affermato Benedetto XVI questo sabato mattina nel discorso pronunciato visitando la Basilica del “Memoriale di Mosè”, sul Monte Nebo.

Dopo aver celebrato la Santa Messa in privato nella Cappella della Nunziatura Apostolica di Amman, il Pontefice si è recato al santuario dove, secondo la tradizione, il Signore mostrò a Mosè la Terra Promessa dopo la prova dei 40 anni nel deserto in seguito all’esodo dall’Egitto. Ad accoglierlo, tra gli altri, c’erano il Ministro Generale dell’Ordine dei Frati Minori, P. José Rodríguez Carballo, e il Custode di Terra Santa, p. Pierbattista Pizzaballa.

La Basilica di Mosè risale al IV secolo ed è costruita su un edificio precedente di età classica. Dal 1933 vi ha sede un monastero francescano e la zona è sede di numerosi scavi archeologici, che hanno portato anche al ritrovamento di una chiesa dedicata a Santo Stefano con una pavimentazione a mosaico che riproduce la storia di alcune città della Palestina.

Nel suo discorso, il Papa ha ricordato che fin dalle origini “la Chiesa in queste terre ha commemorato nella propria liturgia le grandi figure dell’Antico Testamento, quale segno del suo profondo apprezzamento per l’unità dei due Testamenti”.

“Possa l’odierno nostro incontro ispirare in noi un rinnovato amore per il canone della Sacra Scrittura ed il desiderio di superare ogni ostacolo che si frappone alla riconciliazione fra Cristiani ed Ebrei, nel rispetto reciproco e nella cooperazione al servizio di quella pace alla quale la Parola di Dio ci chiama!”, ha auspicato.

Secondo il Pontefice, era “giusto” che il suo pellegrinaggio avesse inizio proprio sul Monte Nebo, “dove Mosè contemplò da lontano la Terra Promessa”.

“Il magnifico scenario che ci si apre dinanzi dalla spianata di questo santuario ci invita a considerare come quella visione profetica abbracciava misteriosamente il grande piano della salvezza che Dio aveva preparato per il suo Popolo”, ha riconosciuto.

Nella Valle del Giordano, infatti, “nella pienezza dei tempi Giovanni Battista sarebbe venuto a preparare la via del Signore”. “Nelle acque del Giordano Gesù, dopo il battesimo ad opera di Giovanni, sarebbe stato rivelato come il Figlio diletto del Padre e, dopo essere stato unto di Spirito Santo, avrebbe inaugurato il proprio ministero pubblico. Fu ancora dal Giordano che il Vangelo si sarebbe diffuso, dapprima mediante la predicazione stessa e i miracoli di Cristo, e poi, dopo la sua risurrezione e l’effusione dello Spirito a Pentecoste, mediante l’opera dei suoi discepoli sino ai confini della terra”.

“Come Mosè, anche noi siamo stati chiamati per nome, invitati ad intraprendere un quotidiano esodo dal peccato e dalla schiavitù verso la vita e la libertà, e ci vien data un’incrollabile promessa per guidare il nostro cammino”, ha osservato il Pontefice.

L’esempio di Mosè “ci ricorda che anche noi facciamo parte del pellegrinaggio senza tempo del Popolo di Dio lungo la storia” e “siamo chiamati a portare avanti la missione del Signore, a rendere testimonianza al Vangelo dell’amore e della misericordia universali di Dio”.

“Siamo chiamati ad accogliere la venuta del Regno di Cristo mediante la nostra carità, il nostro servizio ai poveri ed i nostri sforzi di essere lievito di riconciliazione, di perdono e di pace nel mondo che ci circonda”, ha aggiunto.

Pur sapendo che, “come Mosè, non vedremo il pieno compimento del piano di Dio nell’arco della nostra vita”, “abbiamo fiducia che, facendo la nostra piccola parte, nella fedeltà alla vocazione che ciascuno ha ricevuto, contribuiremo a rendere diritte le vie del Signore e a salutare l’alba del suo Regno”, e che Dio “ci darà la forza di perseverare in gioiosa speranza anche tra sofferenze, prove e tribolazioni”.

Nel suo discorso, il Papa ha voluto anche esprimere la propria gratitudine “e quella dell’intera Chiesa” ai Frati Minori della Custodia “per la loro secolare presenza in queste terre, per la loro gioiosa fedeltà al carisma di san Francesco, come pure per la loro generosa sollecitudine per il benessere spirituale e materiale delle comunità cristiane locali e degli innumerevoli pellegrini che ogni anno visitano la Terra Santa”.

Nel suo indirizzo di saluto al Santo Padre, il Ministro Generale dei Frati Minori ha affermato che il fatto che il Papa si voglia fare “pellegrino” nella sua visita ricorda che “questa è la condizione del popolo di Dio”.

“In questo viaggio non è solo – ha detto al Pontefice -. Vogliamo accompagnarla, anzi seguirla, come un tempo il popolo di Israele aveva seguito Mosè e da lui si era lasciato condurre. Anche noi oggi ci sentiamo come nel deserto e abbiamo bisogno di chi ci conduce al Signore, di qualcuno che ci aiuti a conoscerlo sempre più come un Padre provvidente e misericordioso, come il Signore nostro Gesù Cristo ce lo ha rivelato”.

“Ci affidiamo a Lei. Porti le nostre suppliche al Signore e ci rivolga ancora una volta quella Parola, che è la sola a poterci donare la salvezza. Ci aiuti a riscoprire la bellezza della nostra vocazione, la bellezza di essere discepoli del Risorto – ha concluso -. Allora, come i discepoli, avremo il coraggio di lasciare alle spalle il nostro cenacolo comodo e sicuro per metterci di nuovo sulle strade del mondo, testimoniando a tutti la gioia della Pasqua”.

Dopo il suo intervento, Benedetto XVI si è affacciato alla balaustra dalla quale si ammira la Terra Santa. Nonostante un po’ di foschia, era possibile lasciar spaziare lo sguardo sulla regione. Dopo qualche istante di contemplazione, ha salutato i gruppi di pellegrini giunti per salutarlo, prima di riprendere il viaggio verso Madaba.

 

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ZENIT Staff

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