Episcopato latinoamericano, bene comune globale e scarsità di risorse

Dichiarazione emessa insieme a MISEREOR

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di Nieves San Martín

BOGOTÁ, venerdì, 8 maggio 2009 (ZENIT.org).- Come parte della riflessione sui processi globali di giustizia e solidarietà, il Consiglio Episcopale Latinoamericano e del Caribe (CELAM) e MISEREOR, opera dell’episcopato tedesco per lo sviluppo, hanno realizzato un simposio con Vescovi ed esperti sul tema “Il bene comune globale di fronte alla scarsità di risorse”.

I partecipanti hanno emesso una dichiarazione, firmata dall’Arcivescovo di Aparecida (Brasile) e presidente del CELAM, monsignor Raymundo Damasceno Assis, e da monsignor Josef Sayer, direttore generale di MISEREOR.

Sono state analizzate, tra le altre cose, varie informazioni sui cambiamenti climatici, la crisi alimentare, la situazione idrica, l’avanzamento della deforestazione in Amazzonia, le tendenze verso gli agrocombustibili.

“Sullo sfondo della globalizzazione e del limite sempre più visibile dei beni del pianeta, così come della grave crisi del mercato sregolato, è necessario definire nuovamente il concetto di bene comune”, affermano gli autori della dichiarazione.

“La limitatezza delle risorse naturali e la loro distribuzione interessa la giustizia nelle sue varie dimensioni: le possibilità e l’accesso alle risorse nei Paesi che possiedono materie prime, lo scambio
tra i Paesi che le commerciano, il futuro delle generazioni”.

A ciò si aggiunge che “determinati beni naturali hanno il carattere di beni pubblici. L’uso della biosfera, dell’atmosfera e delle riserve d’acqua dolce è in genere realizzato in modo irrazionale. In vari Paesi, inoltre, si verifica la privatizzazione dei beni pubblici”.

“E’ necessario affermare chiaramente che un accesso all’acqua alla portata dei poveri è un diritto umano, fuori dalla logica del mercato, il che dovrebbe riflettersi sui sistemi di approvvigionamento”, ha sottolineato.

“L’attuale crisi del mercato finanziario ci mostra che l’autoregolamentazione dei mercati è un’illusione che ha portato a una ‘strada senza uscita’ e che la visione cristiana che l’economia deve servire l’essere umano e il suo benessere è stata messa da parte”, aggiungono.

“La crisi economica globale ora colpisce i Paesi in via di sviluppo più che i Paesi ricchi”, riconoscono i firmatari, constatando che “nelle delibere sulla riforma dell’ordine economico globale gli interessi dei Paesi in via di sviluppo e della loro popolazione impoverita non hanno la priorità”.

“I poveri sono le maggiori vittime dello sfruttamento sconsiderato a livello ecologico delle materie prime, della corruzione, dell’approfittare abusivamente dell’atmosfera e dell’acqua disponibile, delle scandalose conseguenze derivate da mercati finanziari al collasso e della crescente scarsità di beni”, affermano.

“Dobbiamo prendere coscienza del fatto che i cambiamenti climatici, la crisi energetica, la crisi finanziaria, la scarsità di cibo, la diminuzione delle risorse naturali, ecc. sono sfide talmente globali che devono essere assunte da tutti e, in particolare, da quei Paesi la cui responsabilità è maggiore nel generare le cause che minacciano la vita umana e l’integrità della creazione”.

Allo stesso modo, avvertono che “il momento di agire è questo, o sarà troppo tardi per tutti”, ed esortano a dare “risposte immediate, e a non seguire la pratica di adottare misure isolate e disarticolate che mirano solo a mantenere o a restaurare il sistema attuale”.

Gli autori della dichiarazione elencano anche le attuali sfide etiche e propongono alcune linee d’azione.

Circa le persone, propongono di “promuovere atteggiamenti che allontanino dal consumismo e dalla distruzione delle risorse naturali, portando ad atteggiamenti solidali nell’uso responsabile dei beni, all’interno di un comportamento etico che valorizzi più l’essere che l’avere e superi la mera ricerca di lucro o del beneficio individuale”.

A livello degli Stati nazionali, chiedono di “aumentare l’efficienza nell’uso delle risorse naturali” e che si garantisca “la piena vigenza dei diritti umani, sia quelli che hanno a che vedere con la cura e il sostentamento della vita (all’acqua, all’alimentazione, all’alloggio) che quelli che riguardano l’apporto e la partecipazione alla società civile (i diritti civili e politici)”.

E’ anche necessario “integrare nel sistema educativo il nuovo paradigma culturale che riconosce la limitatezza delle risorse naturali”.

Oggi, sostengono, “bisogna cercare di far sì che i delitti ecologici siano sanzionabili a livello penale nei tribunali dei diritti umani”.

Si conclude infine ricordando che Aparecida sfida a una rinnovata pastorale sociale: “Assumendo con nuova forza questa opzione per i poveri, esprimiamo chiaramente che ogni processo evangelizzatore implica la promozione umana e l’autentica liberazione, senza cui non è possibile un giusto ordine nella società”.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

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ZENIT Staff

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