CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 6 maggio 2009 (ZENIT.org).- Per il cristianesimo la creazione e la materia non sono deprecabili anche se “ferite dalla nostra colpa”, dal peccato, perché l’Incarnazione di Dio le ha nobilitate.
E’ quanto ha detto questo mercoledì Benedetto XVI in occasione dell’Udienza generale dedicata a san Giovanni Damasceno (650 ca. – 750 ca.), monaco e teologo bizantino dei primi secoli della Chiesa.
Nato in una ricca famiglia cristiana, Giovanni fu un testimone privilegiato del culto delle icone, che giungerà ad essere uno degli aspetti più distintivi della teologia e della spiritualità orientale fino ad oggi.
Anch’egli, come molti altri della sua epoca, scelse il monastero alla vita di corte e come altri membri della gerarchia, lottò contro il divieto di rendere culto alle immagini sacre.
“Giovanni Damasceno fu […] tra i primi a distinguere, nel culto pubblico e privato dei cristiani, fra adorazione e venerazione – ha detto il Santo Padre –: la prima si può rivolgere soltanto a Dio, sommamente spirituale, la seconda invece può utilizzare un’immagine per rivolgersi a colui che viene rappresentato nell’immagine stessa”.
Nelle sue omelie dedicate alla questione, Giovanni Damasceno usava argomentazioni – ha continuato il Papa – “ricche di immagini tanto affascinanti”.
“Io non venero la materia – affermava l’antico teologo – ma il creatore della materia”.
“Non è forse materia il legno della croce tre volte beata?… E l’inchiostro e il libro santissimo dei Vangeli non sono materia? L’altare salvifico che ci dispensa il pane di vita non è materia?… E, prima di ogni altra cosa, non sono materia la carne e il sangue del mio Signore?”, si chiedeva.
“O devi sopprimere il carattere sacro di tutto questo, o devi concedere alla tradizione della Chiesa la venerazione delle immagini di Dio e quella degli amici di Dio”, spiegava Giovanni Damasceno.
“In collegamento con queste idee di fondo – ha proseguito Benedetto XVI – Giovanni Damasceno pone anche la venerazione dei santi, sulla base della convinzione che i santi cristiani, essendo stati resi partecipi della risurrezione di Cristo, non possono essere considerati semplicemente ‘morti’”.
Del resto, ha osservato il Pontefice, lo stesso mistero dell’Incarnazione è l’esempio più alto di materia che diventa “abitazione di Dio”.
“E così il Figlio di Dio – ha detto il Papa richiamando il teologo di Damasco –, pur sussistendo nella forma di Dio, abbassò i cieli e discese… presso i suoi servi… compiendo la cosa più nuova di tutte, l’unica cosa davvero nuova sotto il sole, attraverso cui si manifestò di fatto l’infinita potenza di Dio”.
“Dio vuole riposare in noi – ha concluso infine il Pontefice –, vuole rinnovare la natura anche tramite la nostra conversione, vuol farci partecipi della sua divinità”.