di Anita S. Bourdin
ROMA, lunedì, 4 maggio 2009 (ZENIT.org).- Benedetto XVI è molto ben informato in quanto alla realtà della prevenzione dell’AIDS e parla di un “nuovo colonialismo del comportamento” che “scuote le società africane”, sostiene mons.Tony Anatrella.
Psicoanalista e specialista in psichiatria sociale, mons.Anatrella insegna a Parigi e a Roma ed è consultore del Pontificio Consiglio per la famiglia e del Pontificio Consiglio della salute.
Ha pubblicato in francese “L’amour et le préservatif” (Parigi, ed. Flammarion, 1995), un libro che continua ad essere d’attualità e che è stato ripubblicato con il titolo “L’amour et l’Eglise” (Parigi, ed. Champ-Flammarion).
La sua ultima opera pubblicata è “La tentation de Capoue”, – antropologia del matrimonio e della filiazione – (Parigi, ed. Cujas), un libro che si interroga sulle modifiche in corso, attraverso le quali si vorrebbe estendere il matrimonio e la filiazione, in modo surrettizio, anche alle coppie dello stesso sesso.
Mons. Tony Anatrella torna, in questa intervista, sulla polemica suscitata, soprattutto in Francia, dalle proposte del Papa in relazione alla prevenzione dell’AIDS.
Le proposte del Papa Benedetto XVI hanno suscitato una tempesta mediatica. Si tratta di un errore di comunicazione?
Mons. Anatrella: No! Il Papa ha parlato in modo chiaro. È molto ben informato sulle questioni relative alla trasmissione del virus HIV e dei problemi insiti nelle campagne di prevenzione. Ci interroga ponendo in questione una visione della prevenzione limitata al solo preservativo. Adotta un punto di vista antropologico e morale per criticare un orientamento sanitario che, da solo, non è in grado di interrompere la pandemia. In venticinque anni, queste campagne non sono riuscite in questo intento. Bisogna assumere un’altra prospettiva, in cui si faccia ricorso alla coscienza umana e al senso di responsabilità, al fine di conferire la capacità di dare senso ai comportamenti sessuali.
Ma questa prospettiva, per quello che possiamo vedere, difficilmente può essere compresa nel dibattito pubblico. Il preservativo è diventato una sorta di tabù indiscutibile che dovrebbe, curiosamente, contribuire alla definizione della sessualità. Non è invece questo un modo per mascherare gli interrogativi?
Si tratta di un dialogo fra sordi?
Mons. Anatrella: Senza alcun dubbio. Chi decide e prescrive le politiche sociali, diffonde e consolida una rappresentazione della espressione sessuale che è molto spesso strumentale e deleteria. L’atto sessuale cercato in quanto tale, per il piacere che provoca, non umanizza la sessualità né il rapporto umano. Porta con sé sofferenze e pesa sulla qualità del vincolo sociale. L’atto sessuale non ha senso se non è integrato in una relazione d’amore in cui non è vissuto solo come una risposta ad un impulso riflesso.
La Chiesa sostiene che solo l’amore che si inscrive in una prospettiva coniugale e familiare è fonte di vita, mentre la confusione relazionale e identitaria e i dibattiti di morte ci allontanano da questa prospettiva.
La prevenzione basata sul preservativo aggrava la pandemia dell’AIDS?
Mons. Anatrella: cosa dice il Papa esattamente? Lo cito perché le sue proposte sono state trasmesse solo parzialmente e, ancora una volta, distorte. “Penso che la realtà più efficiente, più presente sul fronte della lotta contro l’AIDS sia proprio la Chiesa cattolica, con i suoi movimenti, con le sue diverse realtà. Penso alla Comunità di Sant’Egidio che fa tanto, visibilmente e anche invisibilmente, per la lotta contro l’AIDS, ai Camilliani, a tante altre cose, a tutte le Suore che sono a disposizione dei malati. Direi che non si può superare questo problema dell’AIDS solo con soldi, pur necessari, ma se non c’è l’anima, se gli africani non aiutano (impegnando la responsabilità personale), non si può superarlo con la distribuzione di preservativi: al contrario, aumentano il problema. La soluzione può essere solo duplice: la prima, una umanizzazione della sessualità, cioè un rinnovo spirituale e umano che porti con sé un nuovo modo di comportarsi l’uno con l’altro; la seconda, una vera amicizia anche e soprattutto per le persone sofferenti, la disponibilità, anche con sacrifici, con rinunce personali, ad essere con i sofferenti. E questi sono i fattori che aiutano e che portano visibili progressi. Perciò, direi questa nostra duplice forza di rinnovare l’uomo interiormente, di dare forza spirituale e umana per un comportamento giusto nei confronti del proprio corpo e di quello dell’altro, e questa capacità di soffrire con i sofferenti, di rimanere presente nelle situazioni di prova. Mi sembra che questa sia la giusta risposta, e la Chiesa fa questo e così offre un contributo grandissimo ed importante. Ringraziamo tutti coloro che lo fanno”.
Il ruolo del Papa è di affermare che, senza una educazione e senza un senso di responsabilità, difficilmente si riuscirà a ridurre la diffusione del virus. La trasmissione del virus dell’AIDS è perfettamente evitabile. Non si riduce come un’influenza. È legato ai comportamenti e alle pratiche sessuali. Contando solo sul preservativo, facendo intendere che così si può “fare ciò che si vuole”, si corre il rischio di consolidare comportamenti che portano con sé problemi, evitando di affrontarli. Il preservativo non è un principio di vita. È la responsabilità che è principio di vita.
Nella società attuale, il senso delle cose e delle parole viene sovvertito quando si afferma per esempio che “l’AIDS è la malattia dell’amore”. Si tratta piuttosto del contrario: è soprattutto l’espressione di un vagabondaggio affettivo e di una impulsività sessuale. Detto in altri termini, esiste una prevenzione conformista che elude i veri interrogativi sui comportamenti sessuali di oggi. Dobbiamo domandarci se non si dovrebbe considerare l’espressione sessuale con maggiore dignità e non favorire comportamenti e pratiche irriflessive.
Ci si deve domandare quale sia il senso dell’amore e della fedeltà. Non si tratta di proposte retrograde, come alcuni hanno detto, ma al contrario proposte che invitano a una riflessione che è anzitutto umana, prima che confessionale. Esiste un altro modo di orientare la prevenzione, che è più costruttivo della promozione del preservativo che induce a pratiche problematiche. Non è questo il modo per uscire dalla confusione denunciata da Benedetto XVI. Ripeto, avere come unico orizzonte i “profilattici” per lottare contro l’AIDS è insufficiente, se a questa lotta non si accompagna una riflessione psicologica, sociale e morale. La politica della salute pubblica ne beneficerebbe in umanità ed efficacia.
L’Africa sembra meno toccata da questa polemica rispetto alla Francia.
Mons. Anatrella: L’accoglienza che gli africani hanno dimostrato al Papa è stata straordinaria. I partecipanti erano numerosi e molto gioiosi. I discorsi di Benedetto XVI sono di elevata qualità e tracciano vie di speranza per questo continente. Purtroppo l’ossessione dei mezzi di informazione sul tema del preservativo ha oscurato l’importanza di questi discorsi. Potrebbe essere vista come una forma di pigrizia intellettuale e di annebbiamento della coscienza, e di una visione miope e parziale delle cose?
La verità è che chi è interessato alle proposte del Papa sa ascoltarle e accoglierle in generale. Inoltre, numerosi Paesi africani organizzano la prevenzione contro l’AIDS fondandosi su tre principi: “astinenza, fedeltà o preservativo” e questo genera effetti positivi. Gli occidentali sono incapaci di comprendere questo punto di vista. Noi riceviamo, d’altra parte, numerose reazioni dall’Africa di chi è stanco di vedere l’imposizione di modelli sessuali delle società occidentali, che per appoggiare questi modelli sono accompag
nati evidentemente da strumenti di protezione. Si tratta di un nuovo colonialismo del comportamento, che scuote le società africane. Alcuni si ribellano allo sviluppo di un “vagabondaggio” sconosciuto fino ad ora in Africa, dove il senso della fedeltà e della famiglia è ancora rispettato e apprezzato. Alcuni occidentali perdono il senso di questa dignità.
Esiste uno sfasamento fra l’Africa e i Paesi occidentali, rispetto alla sessualità. Prossimamente dovrò andare in Africa e mi sono reso conto, preparando le mie conferenze, che questo continente ha molte cose da insegnarci, mentre i nostri modelli occidentali di una sessualità fine a se stessa offuscano il vero senso della sessualità umana.
Come vede il ruolo dei mezzi di comunicazione e la posizione di chi prende le decisioni politiche e sociali?
Mons. Anatrella: Stiamo assistendo ad una sorta di linciaggio mediatico nel quale la malafede si mescola con giudizi sulle intenzioni e con interpretazioni tendenziose. Tutti si esprimono contro il Santo Padre e molto spesso senza tenere conto di ciò che veramente dice. Non è il Papa il problema. D’altra parte, i mezzi di comunicazione e le reazioni di alcuni responsabili della politica che dettano le norme sociali, rappresentano un grave problema. L’unanimità in questa questione è per lo meno sospetta. Il Papa appare disgustato, ma a ragione! La stampa potrebbe parlare con un minimo di rigore, cercando di dare una spiegazione, perché la verità delle proposte del Santo Padre sia restituita. Come di consueto, una frase citata fuori contesto scatena una serie di reazioni totalmente irrazionali. Come vuole che persone che non hanno altra informazione se non quella data dalla stampa possano reagire con serenità?
Credo che, in realtà, non si vuole sentire altro discorso se non quello del preservativo! Alcuni cercano di portare altri messaggi ma le reazioni dei giornalisti sono sempre le stesse: “È troppo complicato!”. Effettivamente il senso della vita e dell’amore è complesso, e per questo è necessario impiegare del tempo per spiegarlo. Ma questo tempo sembra non esserci nei mezzi di comunicazione.
Ne ho appena potuto fare l’esperienza: alla radio, alla televisione e nella stampa scritta, il tempo che ci viene concesso per rispondere è molto limitato, mentre questi dedicano ampio spazio ad ogni sorta di detrattore. Esistono professionisti della contestazione, che fanno parte di una piccola minoranza di cattolici estremisti, che si ergono a esperti e parlano dando un’interpretazione ideologica ben lontana dal pensiero cristiano. Esistono responsabili politici che, presentandosi come cattolici, cercano di smarcarsi dalle posizioni della Chiesa, adottando idee che nono sono coerenti con il suo insegnamento e dicono di opporsi in nome della fede, come se considerassero la propria fede come un magistero. Siamo succubi di un conformismo dominante che ci allontana dal buon senso e dalle semplici norme di una umanità così necessaria in materia di sessualità.
[Martedì 5 maggio, la seconda parte dell’intervista]