ROMA, domenica, 3 maggio 2009 (ZENIT.org).- “Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. (…) Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore”(Gv 10,11-15).
Il capitolo 10 del quarto Vangelo è la parabola di Giovanni. Il “discepolo che Gesù amava” non ha raccontato le grandi parabole dei sinottici, ma questa è la sua parabola, la parabola scaturita dal suo cuore, mentre come un agnellino se ne stava reclinato sul petto del buon Pastore nell’Ultima Cena. Occorre leggere questo capitolo dall’inizio, perché la sostanza della parabola è contenuta nei primi sei versetti, e concentrata nei due simboli del v.2: “Chi entra dalla porta è pastore delle pecore”.
C’è anzitutto il simbolo della porta: “Io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me sono ladri e briganti, ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (10,7-10). Gesù lo ribadisce due volte: è solo Lui la porta. Noi comprendiamo solo parzialmente il valore di questo simbolo, ma l’uomo della Bibbia vede subito un’unica porta, quella della città: soglia d’accesso e custodia difensiva.
Osserva G. Ravasi: “La porta, per l’orientale, è una sola: è la porta della città. E’ il grembo che si chiude. Fuori c’è il male, l’oscurità, il deserto, i predoni…Tutta la vita economica, sociale, giuridica, pulsa lì, attorno alla porta. La porta perciò è il simbolo della città. Si indica una parte per il tutto. Per questo le porte hanno un nome e sono importanti. Pensiamo alle porte di Gerusalemme. Gesù fa un’affermazione scandalosa, provocatoria: ‘Io sono la-porta-delle-pecore’. A Gerusalemme esiste effettivamente la porta delle pecore, ed era la porta di accesso al tempio. E Gesù osa dire: quella porta che introduce al tempio ora l’avete davanti a voi, ed è una porta viva; una porta che introduce al mistero stesso di Dio. Cristo si presenta come il nuovo tempio, il tempio della sua carne”.(G. R., Lettura della Bibbia, 1987).
Il paragone con il grembo è significativo, e permette di equiparare la città alla singola persona, anch’essa luogo brulicante di vita, aperta a mille stimoli e messaggi, esposta a pericoli d’ogni genere: dall’infezione letale di un piccolissimo virus, all’aggressione improvvisa di un folle; dalla tragedie delle calamità naturali, al vacillare pauroso della fede nel Signore risorto, che sola da speranza e senso pieno alla vita.
Per tutti e per ognuno Gesù è la porta, certa e sicura, che conduce alla conoscenza della verità su se stessi, sul mondo e sulla storia. Nella donna, in particolare, il grembo è la porta di accesso di Dio al miracolo della vita: per questo la contraccezione è un peccato tanto grave quanto è grave impedire a Dio di essere Dio, il Creatore della vita. La contraccezione falsifica profondamente l’amore umano perchè cambia l’uomo da pro-creatore in anti-Creatore. La conseguenza è che il sacro grembo della vita è devastato dal Mercenario, padre della menzogna sulla vita e omicida fin dal suo inizio nel grembo. Allora, cacciato il Pastore buono dalla porta della coscienza, nel cuore dell’uomo entra lo spirito cattivo che fa parlare il peccato e soffoca la voce della verità, la voce stessa della vita che è in lui.
Oggi lo smarrimento più grave del genere umano riguarda il significato e la verità della vita. Non si tratta solo di una vertigine esistenziale, ma di un diabolico progetto culturale, sociale e politico, affisso persino alla porta degli autobus cittadini: “Dio probabilmente non esiste. Dunque smetti di tormentarti e goditi la vita”. Commenta al riguardo il padre Cantalamessa: “L’elemento di maggior presa di questi slogan non è la premessa “Dio non esiste”, ma la conclusione: “Goditi la vita!”. Il messaggio sottinteso è che la fede in Dio impedisce di godere la vita, è nemica della gioia. Senza di essa ci sarebbe più felicità nel mondo!” (Predica per il Venerdì santo 2009).
Gesù oggi ci mette in guardia contro gli autori e i ripetitori di questi e altri simili messaggi: “In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante..(…)..sono ladri e briganti,..venuti per rubare, uccidere distruggere. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato” (Gv 10,1ss).
Ecco allora il secondo simbolo della parabola di Giovanni, quello del pastore. “C’è un pastore che esce dall’ovile con il suo gregge…D’improvviso si trovano in una zona tenebrosa, in una valle oscura, in cui ci sono dei pericoli: una gola che si restringe; i predoni, ecc. Eppure il gregge è sicuro, perché davanti cammina il pastore con il suo bastone. Non ci saranno pericoli. Egli scarta tutte le piste sbagliate. Quella che segue non può essere una pista di morte. Il pastore è assieme al suo gregge: è il suo tesoro, la sua vita; senza il gregge non potrebbe vivere. E’ per questo che da la vita. Ora, quando una pecora si allontana, il pastore lancia un nome, dato alla pecora come se fosse una persona. C’è quindi un rapporto personale. E agli occhi di Gesù questo rapporto diventa qualcosa di più profondo. Chiamare per nome vuol dire possedere la realtà. Gesù ci conosce in pieno. Ci tiene nelle mani. Ha il nostro nome. Nel mondo semitico possedere il nome è possedere tuta la realtà della persona. Qualcosa di simile avviene anche per noi. Ci facciamo chiamare per nome quando scatta l’intimità” (G. Ravasi).
Alla luce di questa radiosa spiegazione dei due simboli divini, efficaci ma forse culturalmente lontani dalle nostre case e città, a me pare che l’immagine più immediata e naturale per comprendere in termini attuali il Vangelo del buon Pastore, sia quella della maternità prima della nascita. Pensiamo solo a queste parole: “Egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori…e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce” (vv. 2-4). Viene in mente il dialogo della mamma con il suo bambino, silenzioso e nascosto, tutto e solo suo, un dolce e tenerissimo tu-per-tu che biologicamente inizia nel giorno stesso del dono della vita del figlio. Ella certo non lo chiama con gli strani nomi della biologia: zigote, embrione, morula, blastocisti, feto.., perché istintivamente pensa subito e dice con stupore: “aspetto un bambino!..il mio figlio!”.
Queste definizioni biologiche, scientificamente appropriate, valgono anche per gli animali, e sono perciò preferite dai falsi pastori, dai mercenari, dai lupi del grembo, da tutti coloro che non vogliono entrare nel recinto materno dalla porta (=riconoscere la piena e totale identità umana del concepito fin dalla fecondazione, la sua qualità personale di figlio, il valore intangibile della sua vita, la sua dignità infinita di persona creata a immagine e somiglianza di Dio), ma vi salgono “da un’altra parte”, quella del peccato della loro mente e del loro cuore.
Non inganniamoci: quest’altra parte, infatti, se pur spesso ha a che fare con l’ignoranza, come riconosce Pietro parlando nel tempio (“Av
ete ucciso l’autore della vita…Ora, fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, come pure i vostri capi” – At 3,15-17), molto di più fa parte di quella “congiura contro la vita” che il grande pastore e papa della vita ha smascherato apertamente: “Al di là delle intenzioni, che possono essere varie e magari assumere forme suadenti persino in nome della solidarietà, siamo in realtà di fronte a una oggettiva “congiura contro la vita”. (…) Non si può negare che i mass media sono spesso complici di questa congiura, accreditando nell’opinione pubblica quella cultura che presenta il ricorso alla contraccezione, alla sterilizzazione, all’aborto e alla stessa eutanasia come segno di progresso e conquista di libertà, mentre dipinge come nemiche della libertà e del progresso le posizioni incondizionatamente a favore della vita” (Enciclica Evangelium Vitae, n. 17).
Ricordiamo, infine, il tema celebrato dalla Chiesa in questa IV Domenica di Pasqua, Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata: “La fiducia nell’iniziativa di Dio e la risposta umana”; esso ha un preciso e fondamentale riferimento all’accoglienza della vita nel grembo. La vita è per eccellenza l’iniziativa di Dio, anche in quelle dolorose e difficili situazioni nelle quali la risposta umana, suggerita da falsi pastori, o dall’angoscia di una valle oscura, rischia di essere un rifiuto mortale. E’ allora che dobbiamo volgere lo sguardo a Maria, l’umile ancella del Pastore grande delle pecore: “E quale persona potrebbe più di Maria essere per noi stella di speranza – lei che con il suo “sì” aprì a Dio stesso la porta del nostro mondo; lei che diventò la vivente Arca dell’Alleanza, in cui Dio si fece carne, divenne uno di noi, piantò la sua tenda in mezzo a noi (Gv 1,14)?” (Benedetto XVI, Enciclica Spe salvi, n. 49).
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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.