di Giorgio Salina*
BRUXELLES, venerdì, 27 marzo 2009 (ZENIT.org) – Nelle settimane precedenti, in questa stessa rubrica abbiamo dato conto dei gravi episodi d’intolleranza che i cosiddetti tolleranti riservano alla Chiesa, al Santo Padre e, in sintesi, alla visione dell’uomo e della società della tradizione cattolica, consegnataci dalla Dottrina sociale.
Gli episodi di intolleranza hanno avuto una nuova conferma, se ce ne fosse stato ancora bisogno, dalle inconsulte e “stizzite reazioni alle parole del Papa dei Governi di Francia, Germania, Belgio, Spagna, della Commissione Europea, di dirigenti dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e del Fondo Monetario Internazionale”, come ha scritto Sandro Magister.
Dobbiamo notare che l’esperienza insegna davvero poco a questi intolleranti: dal discorso tenuto nell’Aula Magna dell’Università di Regensburg, il 12 settembre 2006, le scomposte ed enfatiche reazioni immediate alle parole del Papa, si sono sempre rivelate un boomerang. Una maggiore riflessione e “comprensione” del pensiero di Benedetto XVI ha sempre dimostrato l’infondatezza delle prime considerazioni istintive, superficiali e succubi del politically correct, che si crede faccia acquisire consenso. Studiosi, “laici e liberal”, come loro stessi si definiscono, che mai sarebbero intervenuti in questo dibattito, hanno dichiarato pubblicamente: «Il Papa ha ragione!».
Possiamo immaginare personaggi pubblici che dichiarino a giornali e televisioni «non se ne può più di questa Merkel, o di questo Gordon Brown, oppure di questo Sarkozy»? Quanto rimarrebbero al loro posto? Invece se lo dicono del Santo Padre, non solo restano al loro posto, ma in un primo momento possono anche aumentare la loro popolarità. In Europa soprattutto è uno sport molto praticato, con comportamenti davvero squallidi, perché, come rilevò sprezzante Stalin alla conferenza di Yalta, il Papa non ha divisioni al Suo comando.
In questo clima relativista delle Istituzioni europee, che nega “la verità”, che considera equivalenti tutte le opinioni, dove, come si è ulteriormente constatato, si manifesta la più assoluta intolleranza di coloro che si autodefiniscono tollerranti, si rivela tutta l’urgenza di una sana ed autentica laicità. Ma sia chiaro, non per garantire uno spazio alla cultura cattolica, alla visione cattolica dell’uomo e della società, questa sarà una conseguenza necessaria, ma per consentire l’autentica ricerca del “bene comune” scopo di tutte le Istituzioni politiche.
Come ha affermato recentemente il Cardinale Angelo Scola: «Nell’enciclica Deus Caritas Est, al numero 28, Benedetto XVI sostiene come la Chiesa non può e non deve prendere in mano la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. (…), affrontare l’azione politica come tale non è compito dei Pastori della Chiesa. Il compito immediato di operare per un giusto ordine della società è proprio dei fedeli laici». “Giusto ordine”, bene comune: unico scopo dell’azione politica, forma esigente di carità, come la definì Paolo VI, sono responsabilità dei fedeli laici, ma anche di tutti coloro, di qualsiasi cultura, che abbracciano questa modalità di servizio ai propri simili.
«Punto di partenza per questo nuovo impegno dei cristiani è una necessaria rivalutazione del concetto di laicità: “vi è l’urgenza di pensare una nuova laicità che garantisca l’espressione delle più profonde credenze di tutti. Per questo va individuato uno spazio in cui tutti i soggetti possano raccontare le loro esperienze di vita in vista di un riconoscimento”. Ai fedeli laici deve essere quindi permesso di rendere ragione della fecondità pubblica e sociale della loro fede. Testimoniare in ogni ambito le proprie convinzioni non lede i diritti di nessuno: ognuno proponga la sua visione, altrimenti è togliere qualcosa al bene comune». Contenuti di questa laicità sono i beni spirituali e materiali che ogni uomo interpreta e vive secondo la propria esperienza, raccontandoli perché siano riconosciuti.
Ed ecco qui di seguito il passaggio fondamentale che vogliamo sottoporre all’attenzione di tutti, non solo dei cattolici, perchè rappresenta una precondizione per un utile confronto, altrimenti improponibile: «Si mette così in moto la ricerca del “compromesso nobile”, da perseguire avendo sempre la coscienza che la convivenza civile è raggiungibile solo a mezzo di sacrifici. L’azione politica si situa così nell’orizzonte proposto dall’allora cardinale Ratzinger: “essere sobri, attuare ciò che è possibile e non reclamare con il cuore in fiamme l’impossibile”. La verità è invece che la morale politica consiste precisamente nella resistenza alla seduzione delle grandi parole con cui ci si fa gioco dell’umanità, dell’uomo e delle sue possibilità. Non è morale, quindi, il moralismo dell’avventura, lo è invece la lealtà che accetta le misure dell’uomo e compie, entro queste misure, l’opera dell’uomo».
Senza un serio e rispettoso confronto di tutte le posizioni non è possibile il “compromesso nobile” necessario alla nostra società, non ai cristiani, a tutta la società! L’intolleranza presente nelle Istituzioni europee ed internazionali rende impossibile esattamente questo: il compromesso nobile, cioè la ricerca dell’autentico bene comune.
Solo un autentico spazio in cui tutti i soggetti possano raccontare le loro esperienze di vita in vista di un riconoscimento, garantisce la libertà e la democrazia, cioè quel terreno di coltura in cui la politica dà il meglio di sè. Questo è un’altro argomento sul quale confrontarsi e giudicare i Candidati di ogni schieramento.
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* Giorgio Salina è Presidente dell’Associazione Fondazione Europa